Bettino Craxi definì Ernesto Galli Della Loggia “intellettuale dei miei stivali”. L’espressione scatenò l’odio della categoria verso il capo socialista, l’ultimo dirigente politico ad avere avuto – piacesse o no – un progetto nazionale per l’Italia. Mal gliene incolse e l’ostracismo vendicativo dei potenti lo fece morire in Tunisia, esule o latitante, a seconda dell’opinione di chi legge. Chi è venuto dopo ha fatto rimpiangere la vecchia classe dirigente anche a chi la avversava.
Chissà che penserebbe Bettino della vendita contemporanea della rete di telecomunicazioni italiana al fondo americano KKR e della cessione di Ita – ex Alitalia- a Lufthansa. L’infrastruttura più importante della nazione, la rete delle telecomunicazioni attraverso cui passano le conversazioni, gli affari, i dati, le transazioni di tutti noi, l’economia e ogni decisione strategica e riservata, va a un soggetto estero controllato dal deep State americano.
Nella compagine azionaria di KKR figurano i maggiori fondi di investimento del pianeta, con sede negli Usa e interessi dappertutto. Più scontata la fine della compagnia aerea “di bandiera”, da anni in crisi tra mala gestione, debiti e incapacità di reggere la concorrenza. Due spaccati diversi del declino nazionale: economico, finanziario, industriale, culturale, politico. Non ha ascolto la voce di chi sostiene la necessità di riannodare i fili di un pensiero economico alternativo al liberismo sistemico, diventato ordoliberismo per l’inserimento dei suoi postulati ideologici nelle legislazioni, nelle costituzioni, nei trattati internazionali.
Dagli intellettuali dei miei stivali siamo passati ai sovranisti dei miei stivali. Campano di paroloni sull’interesse nazionale, sventolano il tricolore con la lacrimuccia a bagnare le ciglia, ma alla prova dei fatti sono uguali ai loro avversari. Il patriottismo sembra diventato, se non “l’ultimo rifugio delle canaglie” (Samuele Johnson) una rappresentazione tra le altre, uno spettacolo ad uso degli ingenui. Dietro il palcoscenico si prendono le decisioni e si ride degli spettatori (paganti).
Intanto Tim è entrato nella disponibilità di un governo straniero, per una somma – ventitré miliardi – sino a poco tempo fa ritenuta inadeguata dagli analisti e dal socio francese Vivendi. Inutile fare la storia della colonizzazione economica e finanziaria dell’Italia a partire dal fatidico 1992, l’anno del Britannia, della liquidazione del vecchio sistema politico, della spartizione delle Partecipazioni Statali.
Inutile rammentare il ruolo antinazionale dei vertici di Bankitalia, dei ministeri e delle imprese pubbliche, le privatizzazioni a basso prezzo, la vendita a scampoli del patrimonio industriale, finanziario e di ricerca costruito sin dagli anni Trenta del secolo scorso. Vano rilevare la menzogna spudorata di chi afferma che le privatizzazioni servono a diminuire il debito pubblico. Anche i fatti possono essere invertiti: il debito pubblico continua ad aumentare perché il meccanismo infernale del prestito a interesse ne rende impossibile la restituzione. A chi, poi?
Ozioso constatare l’assenza italiana – per dismissione – dai settori industriali più importanti; senza effetto rammentare che il destino della siderurgia è stato affidato a soggetti convinti di sostituire Ilva con l’allevamento di cozze nel golfo di Taranto. Agli italiani non interessa: da un lato, in quanto rinchiusi nel “particulare” di cui parlava Francesco Guicciardini già cinquecento anni fa; dall’altro perché fare il tifo per gli interessi altrui è sport nazionale ancora più antico: quella tra Guelfi e Ghibellini – papato e impero – è una divisione che risale al XIII secolo. Inutile, infine, perché le culture prevalenti sono nemiche dell’Italia: quella clericale, quella post comunista e quella globalista vincente. Ha deciso il sacro mercato: Roma locuta, causa finita. Applausi. I padroni del discorso in regime di monopolio fanno credere qualsiasi cosa.
Chi ancora strologa – dal governo o dall’opposizione – di interesse nazionale mente spudoratamente. Meglio la sincerità di Più Europa e le intemerate globaliste di Renzi o Calenda. Almeno prendono atto della realtà. Quanto ai sovranisti, stendiamo un velo pietoso, rammentando solo le imprese più mirabolanti dei “patrioti” avvolti nel tricolore come la cantante Gea della Garisenda al tempo di Tripoli bel suol d’amore. Siamo strozzati dal vassallaggio (o servitù della gleba?) agli Usa e alla Nato, a cui offriamo adesso anche un altro pezzo di territorio, in cui avrà sede il comando operativo per l’Europa. Un bersaglio in più nella guerra che preparano contro i nostri interessi.
Hanno cancellato la partecipazione italiana alla Via della Seta cinese, per certi versi discutibile, ma un’opportunità a lungo termine per un territorio cruciale nelle rotte commerciali. Privi di una qualsiasi politica energetica (Berlusconi ne aveva una, e fu la sua fine, al di là dei sicari giudiziari) compriamo a prezzi maggiorati prodotti che prima ottenevamo a condizioni favorevoli. Gli italiani se ne accorgono nelle bollette, gravate anche dalla fine delle tariffe controllate.
Forniamo all’Ucraina armi che non verranno pagate (Kiev è in default) i cui costi sono scaricati sul peggioramento – o la soppressione – dello Stato sociale. L’UE fa ciò che vuole e tutto ciò che chiedono è “un posto di peso” nella Commissione Europea. Fingono di non sapere che le regole impongono ai commissari di non tenere conto dell’interesse della nazione di provenienza. Ordoliberismo.
Fiato sprecato ricordare che un padre nobile della cultura nazionale, Nicolò Machiavelli, sosteneva che la sovranità ha due pilastri imprescindibili: l’esercito e la facoltà di battere moneta. Sulle forze armate eterodirette (in ossequio ai protocolli riservati della sconfitta di ottant’anni fa, che chiamiamo liberazione) meglio il silenzio per carità di Patria, anzi del “nostro paese”, come se fosse Roncobilaccio o Isola del Cantone. Meglio tacere sull’extraterritorialità delle cento basi Usa e Nato. In quanto alla moneta, è della Banca Centrale Europea, un’ istituzione finanziaria immune da controlli e non di proprietà pubblica, sottratta alla legislazione degli Stati e dell’Unione. La Banca d’Italia vi possiede quote di estrema minoranza e i suoi azionisti (si deve dire “partecipanti”) sono istituti di credito non più in mani italiane, Unicredit e Intesa San Paolo su tutti.
Parlare quindi di sovranità nazionale desta ilarità, a partire dalla gerarchia delle fonti giuridiche che mettono ai margini la legislazione italiana e la stessa costituzione “più bella del mondo”. Parola di un comico, Roberto Benigni.
I “gioielli di famiglia” sono stati venduti e il sistema Italia non controlla più gran parte dei suoi asset strategici né le “utilities”, le società “ di pubblica utilità” che gestiscono l’erogazione di servizi pubblici (acqua, rifiuti, rete elettrica, gas). La previdenza privata (assicurazioni sanitarie e pensioni) diventa un obbligo per le generazioni più giovani; i contratti di lavoro la prevedono sempre più e le somme corrisposte dai lavoratori entrano nel sistema di detrazioni e deduzioni fiscali.
L’erario perde gettito e i miliardi versati sono incamerati da soggetti internazionali controllati dai fondi di investimento. La necessità di remunerare a breve termine i grandi investitori (il Mercato misura di tutte le cose) dirotta somme crescenti all’estero. Oligarchia “estrattiva” del nostro reddito – la fulminante definizione di Marco Della Luna – con la complicità dei governi.
La vera domanda è la seguente: a che cosa serve lo Stato italiano? Qual è la funzione della Repubblica, oltre la retorica e i concretissimi interessi di chi la controlla, ceto politico, alta burocrazia, grandi fornitori? Non ha ragione, a questo punto, chi invoca ulteriori cessioni di sovranità, la fine della finzione ad uso delle masse, poiché la sovranità non appartiene al popolo, se mai gli è appartenuta? Non è meglio, allo stato dei fatti, smantellare l’impalcatura pubblica e affidarsi all’amministrazione (governance) tecnocratica globale, di cui l’UE è il terminale politico, la BCE quello finanziario, la Nato il gendarme armato e il sistema di intrattenimento e spettacolo con sede a Hollywood il fornitore di valori e l’organizzatore dei circenses di massa?
Domande niente affatto retoriche, se valutiamo la realtà dell’Italia contemporanea. Di che cosa siamo padroni? Quali decisioni possiamo prendere autonomamente? I governi esercitano il potere conferito dal popolo o amministrano pro tempore una macchina sgangherata e disfunzionale per conto di soggetti esterni?
Purtroppo occorre prendere atto che nella realtà globalizzata uno Stato nazionale delle dimensioni del nostro, in declino economico e in rotta demografica, con poche risorse naturali (che peraltro non ricerchiamo e non sfruttiamo) ha scarse possibilità di contare qualcosa e di assicurare il bene comune dei cittadini. Il dilemma è enorme , tuttavia qualcosa occorre pur opporre alla fine programmata, a pezzi e bocconi – della sovranità, dell’economia, dell’interesse nazionale, dello stesso Popolo Italiano.
Soprattutto, serve il coraggio della verità, a partire della constatazione che la sovranità – popolare e nazionale – è pressoché finita e lo Stato chiamato Italia è una costosa finzione per tranquillizzare un popolo tenuto all’oscuro dei fatti. Mentre si dibatte su chi presiederà l’Unione Europea, sfugge che anche Bruxelles è una pedina in un gioco i cui protagonisti sono altrove. Pochi bastian contrari scuotono la testa per la cessione della nostra rete di telecomunicazioni, un’operazione che coinvolge molti altri paesi, le cui reti stanno passando sotto il controllo privato dei padroni globali.
Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, non di bolscevichi attardati o di estremisti di destra, ammette che detenere un sistema di telecomunicazioni richiede investimenti a lungo termine (una bestemmia per azionisti il cui orizzonte è la trimestrale di cassa) e questi determineranno, per gli utenti, nuovi aumenti di tariffe.
E’ poi assai dubbio che KKR pagherà le tasse in Italia: i giganti sono deterritorializzati e agiscono in regime di confusione giuridica e caos tributario, tra società scatole cinesi e paradisi fiscali. Tecnicamente, l’acquisizione della rete Tim è in capo a un’entità il cui capitale è di cinquantamila euro. Chi pagherà i ventitré miliardi dell’affare, dunque?
Tranquilli, la finanza ha una soluzione per ogni (suo) problema. Noi popoli superflui non avremo niente e saremo felici (di pagare di più). Intanto, qualcuno sta mettendo gli artigli sull’ingente risparmio privato degli italiani; la transizione green fa presagire un attacco di dimensioni storiche al bene più caro, la casa di proprietà.
I sovranisti disinformati non sanno chi sono i veri proprietari della nostra Nazione?
Ignorano che sono i più giganteschi evasori ed elusori fiscali del pianeta, altro che idraulici e piccole partite IVA?
Gran parte dell’opinione pubblica ignora – nessuno la informa – che pochi colossi transnazionali sono o stanno diventando i padroni degli ultimi grandi asset italiani. Sono i fondi di investimento, un agglomerato diventato potentissimo negli ultimi vent’anni, motore e centro di comando della globalizzazione (e della conseguente “glebalizzazione”, un termine coniato da Diego Fusaro).
Nella seconda parte tracceremo una breve mappa delle proprietà italiane dei padroni del mondo.
Scritto da Roberto Pecchioli
Le opinioni espresse nei contributi degli ospiti riflettono esclusivamente l'opinione del rispettivo autore e non corrispondono necessariamente a quelle della redazione de Lo Schiaffo 321. fonte: Ereticamente*
*Ereticamente
“La visione del mondo non si basa sui libri, ma su di una forma interiore e su una sensibilità, aventi carattere non acquisito, ma innato. Si tratta essenzialmente di una disposizione e di un atteggiamento, non già di teoria o di cultura, disposizioni che non concernono il solo dominio mentale ma investono anche quello del sentire e del volere, informano il carattere, si manifestano in reazioni aventi la stessa sicurezza dell’istinto, danno evidenza ad un lato significato dell’esistenza. (…) Se la nebbia si solleverà apparirà chiaro che è la visione del mondo ciò che, di là da ogni cultura, deve unire o dividere tracciando invalicabili frontiere dell’anima: che anche in un movimento politico essa costituisce l’elemento primario, perché solo una visione del mondo ha il potere di cristallizzare un dato tipo umano e quindi di dare un tono specifico ad una data Comunità."
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