La Metafisica orientale*
René Guénon
Terza Parte
Se la conoscenza puramente teorica fosse fine a se stessa, se la metafisica dovesse fermarsi qui, si tratterebbe già di qualcosa, sicuramente, ma di qualcosa di affatto insufficiente. Nonostante la certezza vera, ancora più forte di una certezza matematica, che è già connessa con una simile conoscenza, si tratterebbe in fondo, in un ambito incomparabilmente superiore, soltanto di quel che è nel suo campo inferiore, terrestre e umano, la speculazione scientifica e filosofica.
Non questo deve essere la metafisica; che altri si interessino a un «gioco mentale» o a quel che può sembrar tale, sono affari loro; per noi, le cose di questo genere sono piuttosto indifferenti, e noi pensiamo che le curiosità dello psicologo debbano essere totalmente estranee al metafisico. Per quest’ultimo ciò che conta è il conoscere quel che è, e conoscerlo in modo tale da essere, realmente ed effettivamente, tutto quel che si conosce.
Quanto al mezzi della realizzazione metafisica, sappiamo perfettamente qual è l’obiezione che possono opporre, per quanto li riguarda, coloro che credono di dover contestare la possibilità di simile realizzazione. Tali mezzi, in effetti, devono essere alla portata dell’uomo; essi devono, almeno per i primi stadi, adattarsi alle condizioni dello stato umano, giacché è in questo stato che si trova attualmente l’essere che, partendo da esso, dovrà prendere possesso degli stati superiori.
È perciò in forme che appartengano al mondo in cui si situa la sua presente manifestazione che l’essere assumerà un punto d’appoggio per elevarsi al di sopra di questo stesso mondo; parole, segni simbolici, riti o procedimenti preparatori di qualsivoglia genere, non hanno altra ragion d’essere né altra funzione: come già abbiamo detto, sono supporti e nulla più.
Ma ‑ dirà qualcuno ‑ come può avvenire che simili mezzi puramente contingenti producano un effetto che li oltrepassa immensamente, che è di un tipo del tutto diverso da quello a cui essi stessi appartengono?
Faremo subito notare che in realtà si tratta solo di mezzi accidentali, e che il risultato che essi aiutano a ottenere non è affatto un effetto loro; essi mettono l’essere nelle disposizioni necessarie per raggiungerlo più facilmente, ed è tutto. Se l’obiezione che stiamo esaminando fosse in questo caso valevole, essa sarebbe pure valevole nel caso dei riti religiosi, nel caso dei sacramenti, ad esempio, nei quali la sproporzione tra il mezzo e il fine non è minore; alcuni di coloro che avanzano un’obiezione di questo genere, forse a questo non hanno pensato.
Per quel che ci riguarda, noi non confondiamo un semplice mezzo con una causa nel senso vero della parola, e non riteniamo la realizzazione metafisica un effetto di checchessia, perché essa non è la produzione di qualcosa che non esista ancora, ma la presa di coscienza di ciò che è, in modo permanente e immutabile, al di fuori di ogni successione di tempo o d’altro genere, giacché tutti gli stati dell’essere, considerati nel loro principio, sono in perfetta simultaneità nell’eterno presente.
Non abbiamo perciò nessuna difficoltà a riconoscere che non c’è comune misura tra la realizzazione metafisica e i mezzi che portano a essa o, se si preferisce, che la preparano. È questa del resto la ragione per cui nessuno di questi mezzi è rigorosamente necessario, d’una necessità assoluta; o per lo meno, non c’è che una sola preparazione che sia veramente indispensabile, ed è la conoscenza teorica.
Quest’ultima, d’altra parte, non potrebbe spingersi molto lontano senza un mezzo che di conseguenza dobbiamo ritenere come quello che avrà la funzione più importante e più costante: tale mezzo è la concentrazione; e si tratta di qualcosa di assolutamente estraneo, perfino contrario, alle abitudini mentali dell’Occidente moderno, nel quale tutto tende solo alla dispersione e al cambiamento incessante. Nei confronti di questo mezzo, tutti gli altri sono soltanto secondari: essi servono soprattutto a favorire la concentrazione, e inoltre ad armonizzare tra di loro i diversi elementi dell’individualità umana, allo scopo di preparare la comunicazione effettiva tra tale individualità e gli stati superiori dell’essere.
Questi mezzi potranno del resto, al punto di partenza, variare quasi indefinitamente, giacché, per ciascun individuo, dovranno essere appropriati alla sua speciale natura, conformi alle sue attitudini e alle sue disposizioni particolari. In seguito le differenze andranno diminuendo, giacché si tratta di vie molteplici che tendono tutte verso un medesimo scopo; e a partire da un determinato stadio sarà scomparsa ogni molteplicità; ma allora i mezzi contingenti e individuali avranno terminato di avere la loro funzione.
Questa funzione, per far vedere che non è affatto necessaria, certi testi indù la paragonano a quella di un cavallo, con l’aiuto del quale un uomo arriverà più velocemente e più facilmente al termine del suo viaggio, ma senza il quale potrebbe lo stesso pervenirvi.
I riti, le procedure diverse indicate in vista della realizzazione metafisica, si potrebbero trascurare e tuttavia, mediante la sola fissazione costante dello spirito e di tutte le potenze dell’essere sullo scopo di tale realizzazione, si potrebbe raggiungere alla fine tale scopo supremo; sennonché, se ci sono mezzi che rendano lo sforzo meno penoso, perché trascurarli volontariamente?
Forse che significa confondere il contingente con l’assoluto il tener conto delle condizioni dello stato umano, giacché è da questo stato, esso stesso contingente, che siamo attualmente obbligati a partire per la conquista degli stati superiori, e poi dello stato supremo e incondizionato?
Indichiamo adesso, secondo gli insegnamenti che sono comuni a tutte le dottrine tradizionali dell’Oriente, le tappe principali della realizzazione metafisica. La prima, che in certo qual modo è soltanto preliminare, si ottiene nell’ambito umano e non si estende ancora al di là dei limiti dell’individualità. Essa consiste in un’estensione indefinita di tale individualità, di cui la modalità corporea, la sola a essere sviluppata nell’uomo comune, non rappresenta se non una minima porzione; è da questa modalità corporea che occorre partire di fatto, da cui l’impiego ‑ per incominciare ‑ di mezzi presi nell’ordine sensibile, i quali però dovranno avere una ripercussione nelle altre modalità dell’essere umano.
La fase di cui parliamo è in fondo la realizzazione o lo sviluppo di tutte le possibilità che sono virtualmente contenute nell’individualità umana, le quali di quest’ultima costituiscono quasi altrettanti prolungamenti molteplici che si estendono in diversi sensi al di là del dominio corporeo e sensibile; ed è attraverso tali prolungamenti che si potrà in seguito stabilire la comunicazione con gli altri stati.
Questa realizzazione dell’individualità integrale è indicata da tutte le tradizioni come la restaurazione di quello che esse chiamano lo «stato primordiale», stato che è considerato lo stato dell’uomo vero, e che già sfugge a certe limitazioni caratteristiche dello stato ordinario, in particolare alla limitazione dovuta alla condizione temporale. L’essere che abbia raggiunto tale «stato primordiale» è ancora soltanto un individuo umano, non è ancora in effettivo possesso di nessuno stato sovraindividuale; e tuttavia è da allora affrancato dal tempo, la successione apparente delle cose si è per lui trasmutata in simultaneità; egli possiede coscientemente una facoltà che è sconosciuta all’uomo comune e che può essere denominata il «senso dell’eternità».
Ciò riveste un’importanza estrema, perché colui che non può uscire dal punto di vista della successione temporale e vedere ogni cosa in modo simultaneo, è incapace della minima concezione di ordine metafisico. La prima cosa da fare per chi voglia pervenire veramente alla conoscenza metafisica, è di porsi fuori del tempo, diremmo volentieri nel «non tempo», se una simile espressione non dovesse sembrare troppo strana e inusitata. Tale coscienza dell’intemporale può del resto essere raggiunta in certo qual modo, indubbiamente molto incompleto, ma tuttavia già reale, ben prima che sia ottenuto nella sua pienezza quello «stato primordiale» del quale abbiamo appena parlato.
Ci si chiederà forse: perché chiamare in questo modo lo «stato primordiale»? La ragione di ciò consiste nel fatto che tutte le tradizioni, compresa quella dell’Occidente (giacché la stessa Bibbia altro non dice), si accordano nell’insegnare che tale stato è quello che era normale alle origini dell’umanità, mentre lo stato presente non è che il risultato di una decadenza, l’effetto di una sorta di materializzazione progressiva prodottasi nel corso delle età, per la durata di un certo ciclo. Noi non crediamo nell’«evoluzione», nel senso che i moderni danno a questa parola; le ipotesi cosiddette scientifiche immaginate da questi ultimi non corrispondono affatto alla realtà.
Qui non è però possibile fare più di una semplice allusione alla teoria dei cicli cosmici, teoria che è sviluppata in modo particolare nelle dottrine indù; ciò equivarrebbe a esorbitare dal nostro argomento, poiché la cosmologia non è la metafisica, quantunque ne dipenda piuttosto intimamente; essa ne è soltanto un’applicazione all’ordine fisico, e le vere leggi naturali non sono che conseguenze, in un ambito relativo e contingente, dei principi universali e necessari.
Scritto da René Guénon
* Conferenza tenuta il 17 dicembre 1925 a La Sorbonne di Parigi tratto da Scienza Sacra.
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