La famiglia Gramsci tra il comunismo di Antonio e il fascismo di Mario
La vicenda umana e politica di Antonio Gramsci è universalmente conosciuta in tutto il mondo, anche se, sino a non molti anni fa, di questa vicenda si conosceva solo la vulgata creata a tavolino dall’intelligente e spregiudicato leader del comunismo, Palmiro Togliatti, uomo di fiducia di Stalin.
In realtà, oggi sappiamo che Togliatti fu per undici anni l’abilissimo persecutore occulto del suo compagno di partito. Questo Gramsci lo capì per tempo e lo manifestò in una sua lettera dal carcere. Quello che allora intuì era che se da un lato l’arresto della polizia fascista lo salvava dal pericolo di una condanna a morte da parte di Stalin, in quanto filo trotskista, dall’altro non impediva una irrevocabile scomunica da parte del partito e dell’internazionale comunista.
L’implacabile censura togliattiana fu esercitata soprattutto nell’eliminare dalle lettere dal carcere tutte quelle scritte dal pensatore sardo a Mussolini, col fine evidente di tener su la leggenda del tiranno sanguinario che aveva fatto morire in carcere Gramsci.
Un altro aspetto della censura ha riguardato la vicenda della famiglia di Gramsci. Antonio era il quarto di sette figli. Le sorelle erano tre: Grazietta, Emma e Teresina. Quest’ultima, insegnante elementare, segretaria femminile del fascio di Ghilarza, il grosso centro allora in provincia di Cagliari, ebbe un ruolo importante, scrivendo anche lei a Mussolini, per alleviare e ridurre la prigionia del fratello. Dei fratelli, Gennaro, il primogenito, fu l’unico della famiglia a manifestare idee socialiste. Contabile in una fabbrica di ghiaccio a Cagliari, divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione socialista della città. Il fratello più piccolo era Carlo, ufficiale nella Grande guerra, di idee sardiste. Antonio voleva tanto bene al fratello, che per lui fece qualcosa di incredibile: nel 1924 si rivolse al primo federale fascista di Cagliari, nonché deputato, Paolo Pili, affinchè trovasse un lavoro a Carlo. Lo stesso Pili raccontò l’episodio in una intervista del 1975:
“…Nino era un tipo terribile, eravamo in un periodo in cui era sempre ingrugnito, non parlava mai con nessuno, neppure con il suo gruppo di comunisti. Un giorno, nel corridoio dei passi perduti (Camera dei deputati, nda), mi tirò per la giacchetta, gli chiesi: ‘Come mai ti avvicini a una bestia immonda come me?’, mi rispose di non dire stupidaggini e ci sedemmo.
Ricordo, che in quel momento Mussolini e Federzoni uscirono insieme dall’aula e, vedendomi con Gramsci, fecero un viso così curioso che non posso dimenticarmelo, specialmente Mussolini, un viso divertito insomma. Gramsci mi ricordò che le sorelle si erano sposate ricamando per la gente e che Carlo, pur volendo lavorare, non riusciva a trovare alcun posto, mi pregò di trovargliene uno qualsiasi. Gli risposi che appena tornato in Sardegna avrei chiamato Carlo per prenderlo a pugni perché egli stesso sarebbe dovuto venire da me, evitando così a lui, Nino, il dispiacere, certamente grande, di dover chiedere simili cose. Comunque gli promisi di sistemarlo subito, prendendolo con me stesso, nel settore economico della segreteria del partito. E così feci tenendolo sempre con me. Quando Gramsci fu arrestato facemmo di tutto per consentirgli di scrivere, di leggere e altro…”.
Infine, Mario, il fratello quasi coetaneo di Antonio. La sua figura è stata pressoché ignorata dalla storiografia ufficiale gramsciana non solo per la evidente disparità dei ruoli svolto dai due fratelli, ma perché sia da parte della sinistra, che degli stessi familiari, si è teso, se non ad ignorare, quantomeno a sminuire la militanza fascista di Mario.
C’è però da aggiungere che, in tempi più recenti, la verità su Mario Gramsci si fece strada persino all’estero. John Cammett, il maggior bibliografo di studi gramsciani, nel 1997, in un articolo dell’ “International Gramsci Society Newsletter”, intitolato: “Antonio’s other brother”, dedicato a Mario, definisce “tragico” il senso della vita del fratello poco più giovane di Antonio (soli due anni) e parla di lui come un “volontario entusiasta” di tutte le guerre cui prese parte.
Mario nacque a Sorgono nel 1893. Adolescente di carattere gioviale ed estroverso, irrequieto e chiassoso, esattamente il contrario di Antonio che era invece posato e taciturno. Eppure i due si facevano buona compagnia e il loro divertimento consisteva nel cimentarsi in improvvisazioni poetiche che mettevano alla berlina i personaggi del loro paese.
Mario studiò in seminario, ma, ad un certo punto, buttò via la tonaca e così parlò ai propri familiari: “Voglio sposarmi, io l’idea di farmi prete non ce l’ho. Piuttosto mandateci Nino (Antonio, nda) in seminario. Lui alle ragazze non ci pensa e il prete può farlo”. Nel dicembre 1911 riuscì ad arruolarsi nell’Esercito. Partecipò alla Prima guerra mondiale ed anche nel dopoguerra continuò ad indossare la divisa conseguendo il grado di sottotenente.
A Varese, dove risiedeva, sposò Anna Maffei Parravicini dell’aristocrazia lombarda. In un’intervista del 1975, Anna parla così del cognato: “Mario voleva farmi conoscere suo fratello, per il quale ha sempre avuto un grande affetto e, nonostante le divergenze, una grande ammirazione. Nino era molto impegnato nella sua attività di organizzatore politico, poi nel 1921 trovò il tempo di venire a Varese… ci rimase una ventina di giorni”.
Fascista della prima ora e primo segretario del Fascio di Varese, rimase ferito gravemente in uno scontro con i ‘sovversivi’. Partecipò anche alla Marcia su Roma. Ma, pur nel contrasto politico, i rapporti tra i due furono sempre ottimi:
Mario scrisse al fratello in carcere lettere affettuosissime sino a quasi tutto il 1927. Il rapporto si guastò probabilmente quando la moglie di Mario inviò una lettera a Ghilarza ai familiari di Antonio, nella quale lamentava che la detenzione del cognato ostacolava la brillante carriera politica del marito. La cosa non appare tanto campata per aria visto che la nomina di Mario a Federale fascista della provincia di Varese, data per certa in tanti scritti biografici su Gramsci e persino nell’intervista di Paolo Pili, non risulta nell’annuario dei federali fascisti.
Volendo chiarire la questione, Mario andò a trovare Antonio in carcere nel novembre del 1927. In quell’occasione si ruppe il rapporto fra i due per motivazioni mai chiarite, anche perché sono andate perdute, o sono state fatte sparire, certe lettere che avrebbero potuto spiegare il fatto. Mario a un certo punto lasciò la carriera militare per dedicarsi al commercio dei generi coloniali. Partì poi volontario in Africa orientale e, all’età di 47 anni, partecipò, sempre come volontario, al Secondo conflitto mondiale. Combatté in Libia, nel 4° Reggimento “Libico”, col grado di capitano.
Fatto prigioniero dagli australiani nel dicembre 1940, fu internato prima in Egitto e poi in Australia. Dopo l’8 settembre 1943 divenne prigioniero non collaboratore. Rientrò a Varese molto provato dalla prigionia, nel settembre 1945. Due mesi dopo, a novembre, morì a soli 52 anni. Non molti più di Antonio che alla morte aveva 46 anni.
Scritto da Angelo Abis
Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321".
Immagini tratte dalla rete. Fonte: storiainrete.com
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