La crisi del mondo moderno
Cap. 9 - Qualche conclusione
Esiste oggi, in Occidente, un numero più grande di quel che si crede di uomini che incominciano a prendere coscienza di ciò che manca alla loro civiltà; e se costoro si limitano a delle imprecise aspirazioni e a delle ricerche molto spesso sterili, ed accade persino che siano completamente fuorviati, ciò è dovuto al fatto che mancano loro dei dati reali che nulla può sostituire e che non esiste alcuna organizzazione che possa fornire loro la necessaria direzione dottrinale.
Beninteso, non ci riferiamo a coloro che sono riusciti a trovare questa direzione presso le tradizioni orientali e che, per ciò stesso, sono intellettualmente al di fuori del mondo occidentale; costoro, infatti, che peraltro possono essere annoverati solo fra i casi eccezionali, non potrebbero minimamente far parte integrante di una élite occidentale; in realtà essi sono un prolungamento delle élite orientali e potrebbero divenire un elemento di collegamento fra queste ultime e l’élite occidentale, il giorno in cui questa riuscisse a costituirsi; ma tale élite, in qualche modo per definizione, può essere solo costituita tramite un’iniziativa specificamente occidentale, ed è in questo che risiede tutta la difficoltà.
Questa iniziativa può realizzarsi solo in due modi: o l’Occidente trova i mezzi in se stesso per operare un ritorno diretto alla sua tradizione, ritorno che equivarrebbe ad un risveglio spontaneo delle possibilità latenti; o alcuni elementi occidentali compiono questo lavoro di restaurazione con l’aiuto di una certa conoscenza delle dottrine orientali, conoscenza che tuttavia non potrà essere per loro assolutamente immediata, visto che devono rimanere degli occidentali; ma che potrà essere ottenuta per una sorta di influenza di secondo grado, esercitata attraverso degli intermediari come quelli di cui abbiamo appena parlato.
La prima di queste due ipotesi è assai poco verosimile, poiché essa implica che in Occidente esista almeno un posto in cui lo spirito tradizionale si sia conservato integralmente, e noi abbiamo detto che, nonostante certe affermazioni, questa esistenza ci sembra estremamente dubbia; ne consegue che è la seconda ipotesi che merita di essere presa in considerazione.
In tal caso, anche se non si tratta di una necessità assoluta, sarebbe opportuno che questa élite in formazione prendesse come punto d’appoggio una organizzazione occidentale avente già un’esistenza effettiva; ora sembra proprio che in Occidente non sia rimasta che una sola organizzazione che possiede un carattere tradizionale e che conserva una dottrina suscettibile di fornire al lavoro in questione una base appropriata: ed è la Chiesa cattolica. Senza nulla cambiare della forma religiosa sotto la quale essa si presenta al di fuori, basterebbe restituire alla dottrina cattolica il significato profondo che essa ha realmente, ma di cui i suoi rappresentanti attuali sembrano non avere più coscienza, come sembra che non abbiano più coscienza della sua unità essenziale con le altre forme tradizionali; e d’altronde le due cose sono inseparabili.
Si otterrebbe così la realizzazione del Cattolicesimo nel vero senso della parola, visto che etimologicamente questo termine esprime l’idea di «universalità», cosa che dimenticano un po’ troppo coloro che vorrebbero farne solo la denominazione esclusiva di una forma speciale e puramente occidentale senza alcun effettivo legame con le altre tradizioni; e si può dire che, nello stato attuale delle cose, il Cattolicesimo ha solo un’esistenza virtuale, poiché non vi si ritrova la coscienza dell’universalità; ma è parimenti vero che l’esistenza di una organizzazione che porta un tal nome è indice di una base possibile per una restaurazione dello spirito tradizionale nella sua completa accezione, tanto più che, nel Medio Evo, essa è già servita al mondo occidentale da supporto per questo stesso spirito.
In definitiva, si tratterebbe solo di una ricostituzione di ciò che è già esistito prima della deviazione moderna, con gli adattamenti necessari alle condizioni di un’altra epoca; e se certuni si meraviglieranno o protesteranno contro una simile idea, è perché essi stessi, a loro insaputa e forse loro malgrado, sono imbevuti dello spirito moderno al punto tale da aver completamente perduto il senso di una tradizione di cui conservano solo l’involucro.
Sarebbe importante sapere se il formalismo della «lettera», che è sempre una delle varietà del «materialismo» come lo abbiamo definito prima, ha definitivamente soffocato la spiritualità, o se quest’ultima si è solo oscurata momentaneamente e può risvegliarsi ancora all’interno della stessa organizzazione esistente; ma solo gli avvenimenti che seguiranno potranno permettere di rendersene conto.
D’altronde, è anche possibile che questi stessi avvenimenti, presto o tardi, impongano ai dirigenti della Chiesa cattolica, come una necessità ineluttabile, ciò di cui essi non comprenderanno direttamente l’importanza dal punto di vista dell’intellettualità pura; e sarebbe sicuramente spiacevole se, per indurli a riflettere, occorressero delle circostanze talmente contingenti come quelle derivanti dal dominio politico, considerate al di fuori di ogni principio superiore; tuttavia, bisogna pur ammettere che l’occasione di uno sviluppo delle possibilità latenti dev’essere offerta a ciascuno dai mezzi che sono più alla portata della sua comprensione attuale.
È questo il motivo che ci induce ad affermare che: di fronte all’aggravarsi di un disordine che si generalizza sempre più, è il caso di appellarsi a tutte le forze spirituali che ancora esercitano un’azione nel mondo esteriore, sia in Occidente che in Oriente; e da parte occidentale noi non vediamo altri che la Chiesa cattolica. Se, in tal modo, questa potesse entrare in contatto con i rappresentanti delle tradizioni orientali, potremmo solo felicitarci per questo primo risultato, che potrebbe rappresentare proprio il punto di partenza per ciò che noi abbiamo in vista, poiché indubbiamente ci si renderebbe subito conto che un’intesa semplicemente esteriore e «diplomatica» è illusoria e non può condurre alle conseguenze volute, di modo che occorrerebbe giungere esattamente a ciò con cui si sarebbe dovuto normalmente cominciare, vale a dire alla considerazione dell’accordo sui principi, accordo la cui condizione necessaria e sufficiente è che i rappresentanti dell’Occidente riprendano veramente coscienza di questi principi, come è sempre stato per quelli dell’Oriente.
La vera intesa, lo ripetiamo ancora una volta, può effettuarsi solo dall’alto e dall’interno e quindi nel dominio che si può chiamare indifferentemente intellettuale o spirituale, visto che per noi questi due termini hanno in fondo lo stesso significato; in un secondo momento, partendo da lì, l’intesa verrebbe a stabilirsi necessariamente anche in tutti gli altri domini, esattamente come quando posto un principio non resta che dedurre, o piuttosto «esplicitare», tutte le conseguenze che in esso sono implicite. In questo senso è possibile che si presenti un solo ostacolo: quello del proselitismo occidentale, il quale non si decide ad ammettere che talvolta si devono avere degli «alleati» che non siano dei «sudditi»; o, per essere più esatti, quello del difetto di comprensione di cui questo proselitismo non è che uno degli effetti; sarà superato questo ostacolo?
Se la risposta sarà no, l’élite, per costituirsi, potrà solo contare sullo sforzo di coloro che sono qualificati per la loro capacità intellettuale, al di fuori di ogni ambiente definito, e naturalmente potrà contare anche sull’aiuto dell’Oriente; il suo lavoro sarà reso più difficile e la sua azione non si potrà esercitare che a più lunga scadenza, poiché dovrà creare da sé tutti gli strumenti, invece di trovarseli pronti come nell’altro caso; ma noi non pensiamo minimamente che queste difficoltà, per grandi che possano essere, siano di natura tale da impedire che si compia ciò, che in un modo o nell’altro, dev’essere compiuto.
Scritto da René Guénon
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