Deportazioni, bombardamenti, infamie, stupri, saccheggi, devastazione morale, sangue innocente ed una Patria che da allora è, di fatto, una colonia anglofrancoamericana a tutti gli effetti. Riportiamo, per le lettrici ed i lettori de Lo Schiaffo 321, un'attenta analisi in merito, scritta da Daniel Moscardi per la Cruna dell'Ago, uno spazio in rete libero e senza paraocchi ideologici,
Bisogna trovare la strada giusta per la pacificazione nazionale dal punto divista storiografico, oggi più che mai, fazioso e abbastanza di parte. Sono passati tanti anni da quel settembre 1943 ed è giunta l'ora di fare i conti con il Passato, per capire il Presente ed affrontare il Futuro, senza odio fratricida e senza rancore.
Buona lettura.
L’8 settembre: il tradimento e la caduta dell’Italia in mano all’anglosfera
Eisenhower definì l’intera faccenda dell’armistizio concluso tra l’Italia e le potenze alleate “uno sporco affare”, dal quale gli italiani ne uscivano con una pessima immagine.
La guerra, almeno la prima parte, finiva nel peggiore dei modi per l’Italia, non tanto e non solo per le disastrose conseguenze materiali, quanto per l’irricuperabile giudizio negativo che daranno degli italiani amici e nemici, e che vedremo poi confermato nel punitivo trattato di pace che l’Italia sarà costretta a firmare a guerra finita, nel febbraio del 1947 a Parigi.
Se si esamina da vicino come vengono condotte dal nuovo governo italiano insediatosi all’indomani del colpo di stato del 25 Luglio 1943 le trattative per arrivare ad una resa verrebbe da pensare ad una farsa se non si trattasse del preludio alla tragedia che portò all’Italia altri 20 mesi di guerra civile dopo che i più alti vertici istituzionali della Nazione, Re e famiglia reale per primi, avevano abbandonato gli italiani, soprattutto i militari, al loro destino.
Ogni popolo dovrebbe avere interesse a promuovere lo studio di quei fatti della storia – maestra di vita – che abbiano rivelato debolezze ed insuccessi, per poter trarne insegnamento alle generazioni future. In Italia accade esattamente il contrario. Se gli avvenimenti sono stati positivi e fortunati, si glorificano i fatti e gli uomini che li hanno guidati e qualsiasi tentativo di sana critica viene considerato come sacrilego, vero e proprio attentato all’intoccabile patrimonio nazionale. Se gli avvenimenti sono stati sfortunati, la documentazione ufficiale viene nascosta o comunque resa di difficile accesso, con l’eventuale sigillo finale del segreto di Stato.
Quanto suddetto può essere sicuramente applicato a qualsiasi periodo della storia nazionale, a partire – se vogliamo – dalle tre guerre d’indipendenza del secolo diciannovesimo, tutte caratterizzate da grossolani disastri militari, (la battaglia navale di Lissa rimane da manuale), continuando con la disfatta di Caporetto dell’ottobre 1917 (della quale Badoglio fu uno dei principali responsabili, rimanendo inspiegabilmente intoccato), per arrivare allo sfacelo del settembre 1943 che ebbe come risultato pesantissimi vincoli politici, economici, finanziari tuttora in vigore.
Vincoli che rendono tuttora impossibile le interpretazioni di eventi fondamentali nella recente storia nazionale come le vari stragi e delitti eccellenti che si sono susseguiti dalla fine della guerra ad oggi. E’ di questi giorni il ritorno alla ribalta della strage di Ustica del Giugno 1980 che è da interpretare principalmente sotto la lente della limitata o inesistente sovranità dello Stato Italiano.
L’Italia cessava infatti di esistere come Stato sovrano sotto una tenda allestita a Cassibile, nella Sicilia Orientale, in un uliveto dal comando alleato alle 17.15 di venerdì 3 Settembre 1943 per mano di un insignificante generale che non parlava una parola di inglese e che appariva – agli alti ufficiali alleati presenti alla firma – come uno dei tanti ristoratori italiani di Little Italy a Nuova York. Si chiamò resa incondizionata, Unconditional surrender.
Giuseppe Castellano
E proprio da servile ristoratore italiano il generale Giuseppe Castellano ci mise del suo, peraltro senza che gli fosse richiesto. Comunicò infatti agli ufficiali alleati che il Quartier Generale delle forze tedesche in Italia – e quindi anche il feld maresciallo Kesserling – si trovava non a Roma, bensì a Frascati. Inutile dire che di li a poco piovvero su Frascati tonnellate di bombe sganciate da molteplici incursioni aeree alleate, con centinaia di morti della popolazione locale e nessun danno ai tedeschi.
Ma anche dopo la firma di Castellano gli alleati continuarono a non fidarsi degli italiani, e tanto per far capire chi comandava, ordinarono una ennesima imponente incursione aerea su Napoli con quasi 500 fortezze volanti. E quelli che teoricamente erano (ancora) nostri alleati, ovvero i tedeschi?
La sera di venerdì 3 settembre, almeno 3 ore dopo la firma della resa a Cassibile, Badoglio riceve dopo forti insistenze l’ambasciatore tedesco a Roma, Rodolfo Rahn, al quale testualmente dichiara: “La diffidenza del governo del Reich mi riesce incomprensibile. Ho dato la mia parola e la manterrò.” Il giorno successivo, sabato 4 settembre, sempre l’ambasciatore Rahn incontra il Capo di S.M. Generale Ambrosio, il quale rassicura Rahn “della ferrea volontà italiana di continuare la guerra a fianco dei tedeschi”.
Mercoledì 8 settembre, 5 giorni dopo la firma della resa, l’ambasciatore Rahn si reca questa volta in visita ufficiale dal Re, Vittorio Emanuele III. Nel suo rapporto a Berlino, Rahn scrive: “Al termine della conversazione il Re ha sottolineato di nuovo la decisione di continuare la guerra a fianco della Germania, con la quale l’Italia è legata per la vita e per la morte”.
Lo stesso giorno, alle 17.15, Radio Algeri, controllata dagli americani, diffonde la notizia della avvenuta capitolazione italiana. Alle 19.42 la voce di Pietro Badoglio, precedentemente incisa su disco, ordina per radio alle forze armate Italiane di cessare i combattimenti, aggiungendo però che le forze armate “reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre, come un branco di traditori fuggitivi, Badoglio e una schiera di ufficiali superiori, il Re e la famiglia reale abbandonavano Roma, raggiungevano Brindisi e si consegnavano agli alleati. Va aggiunto che Badoglio ebbe cura nel frattempo di far espatriare moglie e figlia in Svizzera.
Una diserzione a tutti gli effetti. E con infamia, passibile della applicazione degli artt. 51 e 84 del Codice Penale militare di guerra in vigore al momento. E molto ci sarebbe da investigare sul fatto che tutto il convoglio di disertori fuggitivi passò indenne attraverso le linee tedesche, con relativi posti di blocco.
Poi, a guerra finita, il trattato di pace di Parigi del febbraio 1947, che Benedetto Croce chiamò in realtà un “dettato di pace” tante e tali punitive erano le condizioni. Un giornale, il Corriere d’Informazione, uscì il giorno successivo alla firma del trattato con questo titolo: “Alle 11.35 firmata a Parigi la nostra dura condanna”.
Una dura condanna che riserva alla nascente Repubblica Italiana, come si direbbe in inglese “insult to injury”, ovvero la beffa oltre al danno con l’articolo 16 del trattato, che impone all’Italia di non poter giudicare, o inquisire tutti coloro, compresi gli appartenenti alle forze armate, che hanno “espresso simpatia o agito in favore delle potenze alleate”.
Una infamia questa riservata solo all’Italia, nessun articolo simile fu imposto nei trattati con Germania e Giappone, e che in sostanza si legge così: “Tutti quelli che hanno attivamente collaborato contro l’Italia, consentendo di fatto la morte di migliaia di loro connazionali sui campi di battaglia (ma soprattutto in mare) non possono essere in alcun modo toccati”.
Vale la pena concludere con una battuta: “Italiani, non fidatevi”. Neanche dei Generali che scrivono libri sul mondo al contrario.
Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo
Nessun commento:
Posta un commento