Cap. 7 - Una civiltà materiale
Tuttavia, poniamoci per un istante dal punto di vista di coloro che identificano il loro ideale con il «benessere» materiale e che, a questo titolo, si compiacciono di tutti i miglioramenti che il «progresso» moderno apporta all’esistenza: sono proprio sicuri di non essere stati abbindolati?
È vero che gli uomini oggi sono più felici che in altri tempi perché dispongono di mezzi di comunicazione più rapidi o di altre cose del genere, e perché hanno una vita più agitata e più complicata?
A noi sembra che sia tutto il contrario: lo squilibrio non può essere la condizione per una vera felicità; d’altronde, più un uomo ha dei bisogni, più rischia di mancare di qualcosa e di conseguenza di essere infelice; la civiltà moderna mira a moltiplicare i bisogni artificiali e, come abbiamo detto in precedenza, essa crea sempre molti più bisogni di quanti ne possa soddisfare, poiché, una volta incamminati per questa via, è molto difficile fermarsi e non v’è alcuna ragione di limitarsi ad arrivare solo fino ad un certo punto.
Gli uomini non potevano provare alcuna sofferenza per il fatto di essere privi di cose che non esistevano ed alle quali non avevano mai pensato; invece, adesso essi soffrono necessariamente se queste cose vengono loro a mancare, poiché si sono abituati a considerarle come necessarie, e, di fatto, per loro sono realmente divenute necessarie. Quindi si sforzano, con tutti i mezzi, di acquisire ciò che può loro procurare tutte le soddisfazioni materiali, le sole che siano in grado di apprezzare: si tratta solo di «guadagnare denaro», perché è questo che permette di ottenere quelle cose, e più se ne ha più se ne vuole avere, perché si scoprono incessantemente dei bisogni sempre nuovi; e questa passione diviene l’unico scopo di tutta la vita.
Da qui la concorrenza feroce, che certi «evoluzionisti» hanno elevato alla dignità di legge scientifica col nome di «lotta per la vita», e la cui conseguenza logica è che i più forti, nel senso più strettamente materiale del termine, sono i soli ad avere diritto all’esistenza. Da qui anche l’invidia, e perfino l’odio, che provano coloro che non possiedono la ricchezza, nei confronti di quelli che la possiedono; e come potrebbe essere diversamente per degli uomini a cui sono state predicate le teorie «egualitarie»?
Come potrebbero non rivoltarsi nel constatare che intorno a loro esiste la disuguaglianza nella forma che per essi è la più sensibile, perché la più grossolana?
Se la civiltà moderna dovesse un giorno crollare sotto la spinta degli appetiti disordinati che essa ha generato nella massa, bisognerebbe esser proprio ciechi per non scorgervi il giusto castigo per il suo vizio fondamentale, o, per escludere ogni fraseologia morale, per non vedervi il «contraccolpo» della sua azione nel dominio stesso in cui questa si è esercitata.
È detto nel Vangelo: «Chi di spada ferisce, di spada perisce»; colui che scatena le forze brute della materia perirà schiacciato da queste stesse forze, che non può più dirigere fin da quanto imprudentemente le ha messe in movimento e che non può vantarsi di trattenere indefinitamente in questa loro marcia fatale; forze della natura o forze delle masse umane, o le une e le altre insieme, poco importa, visto che sono sempre le leggi della materia ad entrare in giuoco ed a spezzare inesorabilmente colui che ha creduto di poterle dominare senza prima essersi elevato al di sopra della materia stessa.
E il Vangelo dice ancora: «Ogni casa divisa contro se stessa crollerà»; anche queste parole si applicano esattamente al mondo moderno, con la sua civiltà materiale che può suscitare ovunque, per sua stessa natura, solo lotta e divisione. La conclusione che si può trarre è fin troppo facile:
senza bisogno di fare appello ad altre considerazioni e senza tema di smentita, è possibile predire a questo mondo una tragica fine, a meno che non sopraggiunga a breve scadenza un cambiamento radicale che si spinga fino ad un vero e proprio capovolgimento.
Sappiamo bene che certuni ci rimproverano, parlando del materialismo della civiltà moderna come stiamo facendo qui, di trascurare certi elementi che sembrano costituire quanto meno un’attenuazione di questo stesso materialismo; ed in effetti, se non ce ne fossero, è molto probabile che questa civiltà sarebbe già perita miseramente.
Dunque, non contestiamo minimamente l’esistenza di tali elementi, ma anche su questo argomento non bisogna farsi soverchie illusioni: per un verso, fra questi elementi non possiamo far rientrare ciò che, nel dominio filosofico, si presenta con etichette come quelle dello «spiritualismo» e dell’«idealismo», né tampoco possiamo farvi rientrare ciò che, nelle tendenze moderne, è solo del «moralismo» e del «sentimentalismo»; ci siamo già spiegati a sufficienza su queste cose e ricorderemo solamente che, secondo noi, si tratta di punti di vista altrettanto «profani» di quello del materialismo teorico o pratico, dal quale essi si discostano più in apparenza che in realtà; per altro verso, se esistono ancora dei resti di vera spiritualità, essi si sono mantenuti fino ad oggi malgrado lo spirito moderno e contro di esso.
Questi resti di spiritualità, per tutto ciò che è propriamente occidentale, è possibile trovarli solamente nell’ordine religioso; ma noi abbiamo già detto fino a che punto oggi la religione è sminuita e come i suoi stessi fedeli abbiano di essa una concezione ristretta e mediocre, a tal punto che ne hanno eliminato l’intellettualità, la quale fa tutt’uno con la vera spiritualità; in queste condizioni, se certe possibilità permangono ancora, è solo più allo stato latente, e attualmente il loro ruolo effettivo si riduce a ben poca cosa.
Ciò non significa che non si debba ammirare ugualmente la vitalità di una tradizione religiosa che, perfino così riassorbita in una sorta di virtualità, persiste a dispetto di tutti gli sforzi che sono stati tentati da diversi secoli per soffocarla ed annientarla; e se si volesse riflettere, ci si accorgerebbe che in tale resistenza è presente qualcosa che implica una potenza «non umana»; ma, ancora una volta, questa tradizione non appartiene al mondo moderno, essa non è uno dei suoi elementi costitutivi, essa è l’esatto contrario delle sue tendenze e delle sue aspirazioni. Questo bisogna dirlo francamente, senza cercare delle vane conciliazioni:
fra lo spirito religioso, nel vero senso della parola, e lo spirito moderno non può esserci che antagonismo; ogni compromissione può solo indebolire il primo e tornare utile al secondo, la cui ostilità non per questo verrebbe meno, poiché lo spirito moderno non può volere che la distruzione completa di tutto ciò che nell’umanità riflette una realtà superiore all’umanità stessa.
Si dice che l’Occidente moderno sia cristiano, ma è un errore: lo spirito moderno è anticristiano perché è essenzialmente antireligioso; ed è antireligioso perché, ancora più in generale, è antitradizionale; è questo che ne costituisce il carattere proprio, che ne fa ciò che esso è.
Certo, qualcosa del Cristianesimo è passato fin nella civiltà anticristiana della nostra epoca, i cui rappresentanti più «avanzati», come si autodefiniscono nel loro linguaggio tutto speciale, non han potuto e non possono fare a meno di subire ancora una certa influenza cristiana, quantomeno indiretta e sia pure involontariamente e perfino inconsciamente; ed è così perché una rottura col passato, per radicale che sia, non potrà mai essere assolutamente completa e tale da sopprimere ogni continuità.
Andiamo perfino oltre, e diciamo che tutto ciò che può esserci ancora di valido nel mondo moderno gli è venuto dal Cristianesimo, o quantomeno attraverso il Cristianesimo, il quale ha condotto con sé tutta l’eredità delle tradizioni anteriori, eredità che ha conservato vivente nei limiti consentiti dallo stato dell’Occidente e di cui porta sempre le possibilità latenti; ma chi mai, oggigiorno, perfino fra coloro che si dichiarano cristiani, ha ancora la coscienza effettiva di tali possibilità?
Dove sono, perfino nello stesso Cattolicesimo, gli uomini che conoscono il senso profondo della dottrina che professano esteriormente, gli uomini che non si accontentano di «credere», in maniera più o meno superficiale e più col sentimento che con l’intelligenza, ma che «sanno» realmente la verità della tradizione religiosa che considerano la loro?
Vorremmo avere la prova che ne esistano almeno alcuni, poiché, per l’Occidente, si tratterebbe della più grande e forse della sola speranza di salvezza; ma dobbiamo confessare che, fino ad oggi, non ne abbiamo incontrato nessuno; bisogna forse supporre che, al pari di certi saggi dell’Oriente, essi si tengono nascosti in qualche eremo quasi inaccessibile o bisogna rinunciare definitivamente a quest’ultima speranza?
L’Occidente è stato cristiano nel Medio Evo, ma non lo è più; se si dice che può ancora ridiventarlo, nessuno più di noi si augura che sia così e che avvenga ancor prima di quanto lasci pensare tutto ciò che vediamo intorno a noi; ma non ci si illuda: ad un tal giorno il mondo moderno cesserà d’esistere.
Scritto da René Guénon
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