Cap. 7 - Una civiltà materiale
Da tutto ciò che precede, ci sembra risulti già chiaramente che gli Orientali hanno pienamente ragione allorché rimproverano alla civiltà occidentale moderna di essere solo una civiltà materiale: è proprio in questo senso che essa si è esclusivamente sviluppata e, da qualunque punto di vista la si consideri, ci si trova sempre in presenza di conseguenze più o meno dirette di tale materializzazione.
Tuttavia, è necessario completare quanto abbiamo detto in proposito, e spiegare innanzi tutto i diversi significati con cui può essere assunto un termine come quello di «materialismo», poiché, anche se noi lo impieghiamo per caratterizzare il mondo contemporaneo, vi saranno di quelli che, non credendosi affatto dei «materialisti» pur pretendendo di essere molto «moderni», non mancheranno di protestare e di convincersi che si tratta di una vera calunnia; una messa a punto, dunque, si impone, al fine di dissipare a priori tutti gli equivoci che potrebbero sorgere in proposito.
È assai significativo che il termine stesso di «materialismo» dati solo dal XVIII secolo; esso venne inventato dal filosofo Berkeley, che se ne servi per designare le teorie che ammettono l’esistenza reale della materia; è appena il caso di dire che non si tratta certo di questo, dato che tale esistenza non è minimamente in causa. Un po’ più tardi, lo stesso termine assunse un significato più ristretto, quello che da allora ha conservato: esso indica una concezione in base alla quale non esiste nient’altro che la materia e ciò che da essa deriva; ed è il caso di notare la novità di una tale concezione, cioè il fatto che essa è essenzialmente un prodotto dello spirito moderno e che corrisponde, dunque, ad almeno una parte delle tendenze proprie di esso[1].
Ma è soprattutto in un’altra accezione, molto più ampia e tuttavia molto chiara, che noi intendiamo parlare di «materialismo»: tale termine infatti rappresenta tutta una condizione di spirito che, di per sé, è indipendente da ogni teoria filosofica, mentre la concezione prima esposta non rappresenta che una sola delle sue tante manifestazioni. Questa condizione di spirito è quella che consiste nel dare, più o meno coscientemente, la preponderanza alle cose di ordine materiale ed alle preoccupazioni ad esse connesse, sia che queste ultime conservino ancora una certa apparenza speculativa oppure che siano puramente pratiche; e non si può contestare seriamente che in realtà è proprio questa la mentalità dell’immensa maggioranza dei nostri contemporanei.
Tutta le scienza profana che si è sviluppata nel corso degli ultimi secoli non è altro che lo studio del mondo sensibile, in cui essa è esclusivamente rinchiusa ed i cui metodi non sono applicabili che a questo solo dominio; ora, questi metodi sono proclamati «scientifici» ad esclusione di tutti gli altri, il che equivale col negare ogni scienza che non si riferisca alle cose materiali.
Tuttavia, fra coloro che la pensano così, e perfino fra coloro che si sono dedicati in modo particolare alle scienze in questione, ve ne sono molti che rifiuterebbero di dichiararsi «materialisti» e di aderire alla teoria filosofica che porta questo nome; ve ne sono perfino di quelli che fanno volentieri professione di fede religiosa e la cui sincerità non può essere messa in dubbio; ma la loro attitudine «scientifica» non differisce sensibilmente da quella dei materialisti dichiarati.
Si è spesso discusso, dal punto di vista religioso, se la scienza moderna dovesse essere denunciata come atea o come materialista, e in genere la questione è stata posta malamente; è certo che questa scienza non fa espressamente professione di ateismo o di materialismo e che si limita ad ignorare certe cose per partito preso, senza pronunciarsi nei loro confronti con una negazione formale, come fanno questi o quei filosofi; ne consegue che, per quanto la riguarda, si può solo parlare di un materialismo di fatto, di ciò che noi chiamiamo volentieri materialismo pratico; ma in tal modo il male è forse ancora più grave, poiché è più profondo e più esteso.
Un’attitudine filosofica può essere qualcosa di molto superficiale, perfino tra i filosofi «di professione»; per di più, vi sarebbero di quelli che indietreggerebbero di fronte alla negazione, ma che invece si adattano di fronte alla completa indifferenza; ed è questa la cosa più temibile, poiché, per negare un qualcosa occorre sempre pensarci, per poco che sia, mentre invece in questo caso si finisce col non pensare più in alcuna maniera.
Quando si vede una scienza esclusivamente materiale che si presenta come la sola scienza possibile, quando gli uomini sono abituati ad ammettere come fosse una verità indiscutibile che non può esserci della conoscenza valida al di fuori di quest’ultima, quando tutta l’educazione data a questi uomini tende ad inculcare loro la superstizione di questa scienza, cosa questa che costituisce propriamente lo «scientismo»: com’è possibile che tali uomini non siano praticamente dei materialisti, e cioè che tutte le loro preoccupazioni non siano volte verso la materia?
Per i moderni, niente sembra esistere al di fuori di ciò che si vede e si tocca, o quanto meno, anche se essi ammettono teoricamente che possa esistere qualcos’altro, si affrettano poi a dichiararlo, non solo sconosciuto, ma «inconoscibile», il che li dispensa dall’occuparsene.
Tuttavia, vi sono anche di quelli che cercano di farsi un’idea di un «altro mondo», ma dal momento che per far questo ricorrono all’immaginazione, essi se lo configurano sul modello del mondo terrestre e vi trasferiscono tutte le condizioni d’esistenza proprie di quest’ultimo, ivi compresi lo spazio ed il tempo e perfino una sorta di «corporeità»;
noi abbiamo presentato altrove degli esempi particolarmente sorprendenti di questo genere di rappresentazioni grossolanamente materializzate, quando abbiamo parlato delle concezioni degli spiritisti; ma, se questi erano dei casi estremi, in cui un tale carattere è esagerato fino alla caricatura, sarebbe un errore credere che lo spiritismo e le sette con esso più o meno apparentate abbiano il monopolio di questo genere di cose.
Del resto, in maniera più generale, l’intervento dell’immaginazione nei domini in cui essa non può apportare alcunché, e che dovrebbero esserle interdetti, è un fatto che dimostra molto chiaramente l’incapacità degli Occidentali moderni ad elevarsi al di sopra del sensibile; molti non riescono ad operare alcuna differenza fra «concepire» ed «immaginare», ed alcuni filosofi, come Kant, arrivano perfino a dichiarare «inconcepibile» o «impensabile» tutto ciò che non è suscettibile di rappresentazione. Di modo che, tutto ciò che si chiama «spiritualismo» o «idealismo» è, molto spesso, nient’altro che una sorta di materialismo trasposto; e ciò è vero non solo per quello che noi abbiamo chiamato «neo-spiritualismo», ma anche per lo stesso spiritualismo filosofico, nonostante esso si consideri come l’opposto del materialismo.
A dire il vero, spiritualismo e materialismo, intesi nel senso filosofico, non possono comprendersi l’uno senza l’altro: essi sono semplicemente le due metà del dualismo cartesiano, la cui separazione radicale è stata trasformata in antagonismo; e da allora, tutta la filosofia oscilla fra questi due termini senza essere in grado di superarli.
Lo spiritualismo, a dispetto del suo nome, non ha niente in comune con la spiritualità; la sua disputa con il materialismo non può che lasciare perfettamente indifferenti coloro che si pongono da un punto di vista superiore e che si accorgono che questi contrari sono, in fondo, prossimi ad essere dei semplici equivalenti, e la cui pretesa opposizione, su molti punti, si riduce ad essere una volgare disputa sulle parole.
Scritto da René Guénon
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