La crisi del mondo moderno
Definire la «democrazia» come il sistema in cui il popolo si governa da sé, è una vera impossibilità, una cosa che non può avere neanche una semplice esistenza di fatto, sia nella nostra epoca che in qualunque altra; non bisogna lasciarsi ingannare dalle parole:
è contraddittorio ammettere che gli stessi uomini possano essere, ad un tempo, governanti e governati, poiché, per impiegare il linguaggio aristotelico, uno stesso essere non può essere «in atto» e «in potenza» nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto. Si tratta infatti di una relazione che presuppone necessariamente la presenza di due termini: non potrebbero esserci dei governati se non ci fossero dei governanti, foss’anche illegittimi e senz’altro diritto al potere che quello attribuitosi da loro stessi; ma, nel mondo moderno, la grande abilità dei dirigenti consiste nel far credere al popolo che si governi da sé; ed il popolo si lascia convincere tanto più facilmente per quanto più è adulato e, d’altronde, esso è incapace di riflettere quel tanto che è necessario per accorgersi di quanto, in tutto questo, vi è di impossibile.
È per creare questa illusione che è stato inventato il «suffragio universale», in base al quale si suppone che sia l’opinione della maggioranza a fare le leggi, ma non ci si accorge che l’opinione è qualcosa che può essere manovrata e modificata molto facilmente, dato che, con l’aiuto delle suggestioni appropriate, è sempre possibile provocare delle correnti che si muovano in una qualsiasi direzione determinata; non ricordiamo più chi ha parlato di «fabbricare l’opinione», ma si tratta di una espressione totalmente esatta, anche se bisogna dire, peraltro, che non sono certo sempre i dirigenti apparenti ad avere in realtà a loro disposizione i mezzi necessari per ottenere un tale risultato.
Quest’ultima considerazione permette certo di comprendere qual è il motivo per cui l’incompetenza dei politici più «in vista» sembra non avere che un’importanza molto relativa; ma, siccome non si tratta di smontare il meccanismo di ciò che si potrebbe chiamare la «macchina di governo», ci limiteremo a segnalare che questa stessa incompetenza offre il vantaggio di alimentare l’illusione di cui dicevamo prima: in effetti, è solo a queste condizioni che i politici in questione possono apparire come l’emanazione della maggioranza, essendo cioè a sua immagine, poiché la maggioranza, qualunque sia l’oggetto su cui è chiamata ad esprimersi, è sempre costituita da incompetenti, il cui numero è incomparabilmente più grande di quello degli uomini che sono in grado di pronunciarsi in piena cognizione di causa.
Questo ci porta immediatamente a dire in che cosa è essenzialmente erronea l’idea che la maggioranza debba fare le leggi; infatti, anche se quest’idea, per forza di cose, è soprattutto teorica e non corrisponde ad alcuna realtà effettiva, resta sempre da spiegare come essa abbia potuto radicarsi nello spirito moderno e quali siano le tendenze di quest’ultimo a cui essa corrisponde e che soddisfa almeno in apparenza.
Il difetto più visibile è quello stesso che abbiamo appena indicato: il parere della maggioranza non può essere che l’espressione dell’incompetenza, sia che derivi dalla mancanza di intelligenza o dall’ignoranza pura e semplice; e a questo proposito si potrebbero far intervenire certe osservazioni di «psicologia collettiva», ricordando in particolare il fatto assai conosciuto che, in una folla, l’insieme delle reazioni mentali che si producono fra gli individui che la compongono, sfocia nella formazione di una sorta di risultante che non è neanche al livello della media, ma al livello degli elementi più bassi.
D’altra parte, è anche opportuno far notare che certi filosofi moderni, volendo trasporre nell’ordine intellettuale la teoria «democratica» che fa prevalere il parere della maggioranza, hanno fatto, di ciò che essi chiamano il «consenso universale», un preteso «criterio di verità»:
ora, anche supponendo che possa esistere effettivamente una questione sulla quale tutti gli uomini fossero d’accordo, un tale accordo non proverebbe niente di per sé; inoltre, se questa unanimità esistesse veramente, cosa che è tanto più dubbia per quanto vi sono sempre degli uomini che non hanno alcuna opinione su una qualunque questione e che perfino non si sono mai posti il problema, sarebbe in ogni caso impossibile constatarla di fatto, di modo che, ciò che si invoca a favore di una opinione e si assume come indice della sua verità si riduce ad essere solamente il consenso della maggioranza, addirittura limitata ad un ambito necessariamente molto ristretto nello spazio e nel tempo.
In questo dominio appare ancora più chiaramente come la teoria manchi di base, poiché qui è più facile sottrarsi all’influenza del sentimento, il quale invece entra in giuoco quasi inevitabilmente quando si tratta del dominio politico; ed appare anche chiaro che è questa influenza che costituisce uno dei principali ostacoli alla comprensione di certe cose, perfino in coloro che peraltro avrebbero una capacità intellettuale più ampiamente sufficiente per pervenire facilmente a questa comprensione; gli impulsi emotivi impediscono la riflessione, ed una delle più volgari abilità dei politici consiste nel trar partito da questa incompatibilità.
Ma volendo approfondire meglio la questione, ci si può chiedere: che cos’è esattamente questa legge della maggioranza invocata dai governanti moderni e da cui essi pretendono di trarre la loro sola giustificazione?
È, molto semplicemente, la legge della materia e della forza bruta, la stessa legge in virtù della quale una massa trascinata dal proprio peso schiaccia tutto quello che incontra al suo passaggio; ed è in questo che si trova precisamente il punto di giunzione fra la concezione «democratica» e il «materialismo», ed è anche questo che permette che questa stessa concezione sia strettamente legata alla mentalità attuale.
Si tratta, insomma, del completo capovolgimento dell’ordine normale, poiché viene proclamata la supremazia della molteplicità come tale, supremazia che, di fatto, esiste solo nel mondo materiale; al contrario, nel mondo spirituale, e più semplicemente ancora nell’ordine universale, è l’unità che sta in cima alla gerarchia, poiché essa è il principio da cui procede ogni molteplicità; ma, allorché il principio viene negato o è perduto di vista, non resta altro che la pura molteplicità, che si identifica con la stessa materia.
D’altra parte, l’allusione che abbiamo appena fatto alla pesantezza, implica più di un semplice paragone, poiché la pesantezza rappresenta effettivamente, nel dominio delle forze fisiche intese nel senso più ordinario del termine, la tendenza discendente e compressiva, che comporta per l’essere una limitazione sempre più stretta e, al tempo stesso, si muove verso la molteplicità, figurata qui da una densità sempre più grande; e questa tendenza è quella stessa che segna la direzione secondo la quale si è sviluppata l’attività umana dall’inizio dell’epoca moderna.
Inoltre, è il caso di notare che la materia, in forza del suo potere di divisione e al tempo stesso di limitazione, è quello che la dottrina scolastica chiama il «principio di individuazione», il che riallaccia le considerazioni esposte adesso con quanto abbiamo detto precedentemente a proposito dell’individualismo: e si potrebbe dire che questa di cui si tratta è anche la tendenza «individualizzante», quella in base alla quale si effettua ciò che la tradizione giudeo-cristiana designa come la «caduta» degli esseri che si sono separati dall’unità originaria,
La molteplicità, considerata al di fuori del suo principio, e quindi in modo da non poter più essere ricondotta all’unità, è, nell’ordine sociale, la collettività concepita come se fosse semplicemente la somma aritmetica degli individui che la compongono; e in effetti è così, dal momento che non è più collegata ad alcun principio superiore agli individui; sotto quest’aspetto, la legge della collettività è proprio quella legge della maggioranza su cui si basa l’idea «democratica».
Scritto da René Guénon
Nessun commento:
Posta un commento