Ora, dal momento che la religione è propriamente una forma della tradizione, ne consegue effettivamente che lo spirito antitradizionale non può essere che antireligioso: esso incomincia con lo snaturare la religione e, non appena può, finisce col sopprimerla del tutto.
Il Protestantesimo presenta un fattore di illogicità, costituito dal fatto che pur sforzandosi di «umanizzare» la religione, ne lascia ancora sussistere, malgrado tutto e almeno in teoria, un elemento sopra-umano: che è la rivelazione; esso non osa spingere la negazione fino in fondo, ma mettendo questa rivelazione in balia di tutte le discussioni che sono la conseguenza di interpretazioni puramente umane, di fatto la riduce ben presto a non essere più niente; e quando si vede della gente che, pur continuando a dichiararsi «cristiana», non ammette neanche più la divinità del Cristo, è permesso pensare che costoro, forse senza rendersene conto, sono molto più vicini alla negazione totale che al vero Cristianesimo.
D’altronde, simili contraddizioni non devono stupire più di tanto, poiché esse, in tutti gli ambiti, sono uno dei sintomi della nostra epoca di disordine e di confusione, esattamente come la divisione incessante del Protestantesimo è solo una delle numerose manifestazioni di quella dispersione nella molteplicità che, come abbiamo detto, si ritrova ovunque nella vita e nella scienza moderne. D’altra parte, è naturale che, con lo spirito di negazione che lo anima, il Protestantesimo abbia dato vita a quella «critica» dissolvente che, in mano ai pretesi «storici delle religioni», è divenuta un’arma per combattere ogni religione; ed è altrettanto naturale che, col pretendere di non riconoscere altra autorità che quella dei Libri sacri, abbia contribuito in larga parte alla distruzione di questa stessa autorità, vale a dire di quel minimo di tradizione che esso ancora conservava; la rivolta contro lo spirito tradizionale, una volta cominciata, non poteva fermarsi a metà strada.
A questo punto si potrebbe fare un’obiezione: non è possibile che, pur separandosi dall’organizzazione cattolica, il Protestantesimo, per il fatto stesso di ammettere i Libri sacri, abbia conservato la dottrina tradizionale in essi contenuta? Ma è l’introduzione del «libero esame» che contrasta in modo assoluto con una tale ipotesi, dal momento che esso dà spazio a tutte le fantasie individuali; d’altronde, la conservazione della dottrina presuppone un insegnamento tradizionale organizzato, tramite il quale si mantiene l’interpretazione ortodossa, e di fatto un tale insegnamento, nel mondo occidentale, si identificava col Cattolicesimo.
Senza dubbio, è possibile che in altre civiltà possano esserci delle organizzazioni dalle forme molto diverse da quest’ultima e che svolgono la funzione corrispondente; ma è della civiltà occidentale, con le sue particolari condizioni, che stiamo parlando. Non è possibile, dunque, far valere, per esempio, il fatto che in India non esiste alcuna istituzione paragonabile al Papato:
il caso è del tutto differente, innanzi tutto perché non si ha a che fare con una tradizione a forma religiosa nel senso occidentale del termine, di modo che i mezzi con i quali essa si conserva e si trasmette non possono essere gli stessi; secondo poi, visto che lo spirito indù è ben diverso dallo spirito europeo, nel primo caso la tradizione potrebbe avere di per sé una potenza che non avrebbe nel secondo caso senza l’appoggio di una organizzazione molto più strettamente definita nella sua costituzione esteriore.
Noi abbiamo già detto che la tradizione occidentale, dal Cristianesimo in poi, dovette necessariamente rivestire una forma religiosa; ora, sarebbe troppo lungo spiegarne qui tutte le ragioni, poiché esse potrebbero essere pienamente comprese solo facendo appello a delle considerazioni assai complesse; certo è che si tratta di uno stato di fatto che non ci si può rifiutare di tenere in conto, ed allora occorre anche ammettere tutte le conseguenze che ne derivano in relazione all’organizzazione più adatta per una simile forma tradizionale.
D’altra parte, come dicevamo prima, è più che certo che solo nel Cattolicesimo si è mantenuto ciò che ancora sussiste, malgrado tutto, dello spirito tradizionale in Occidente; ed allora, ciò significa che, almeno lì, si può parlare di una conservazione integrale della tradizione, al riparo da ogni attacco dello spirito moderno?
Sfortunatamente, non sembra che sia così, o, per essere più esatti, se il deposito della tradizione è rimasto intatto, il che è già molto, è assai dubbio che il suo significato profondo sia ancora compreso realmente, perfino da un’élite poco numerosa, poiché, se fosse altrimenti, l’esistenza di quest’ultima si manifesterebbe indubbiamente tramite un’azione o piuttosto tramite un’influenza che in effetti non constatiamo in nessun luogo. Si tratta dunque, più verosimilmente, di ciò che chiamiamo volentieri una conservazione allo stato latente, in grado di permettere sempre, a coloro che ne saranno capaci, di ritrovare il senso della tradizione, anche quando esso non fosse attualmente conosciuto da nessuno;
d’altronde, sparsi qua e là nel mondo occidentale, al di fuori del dominio religioso, vi sono ancora molti segni o simboli provenienti da antiche dottrine tradizionali, simboli che si sono conservati senza essere compresi. In simili casi, per risvegliare ciò che è così immerso in una sorta di sonno e per restaurare la comprensione perduta, è necessario un contatto con lo spirito tradizionale pienamente vivente; e, lo ripetiamo ancora una volta, è soprattutto per questo che l’Occidente avrà bisogno dell’aiuto dell’Oriente se vuol riprendere coscienza della propria tradizione.
Ciò che abbiamo appena detto si riferisce propriamente alle possibilità che, in forza del suo principio, il Cattolicesimo porta in se stesso in maniera costante ed inalterabile; ne consegue che in questo caso l’influenza dello spirito moderno si limita necessariamente ad impedire, per un periodo più o meno lungo, che certe cose vengano effettivamente comprese. Per contro, parlando dello stato presente del Cattolicesimo, se con questo si volesse intendere il modo in cui è considerato dalla grande maggioranza dei suoi stessi aderenti, si sarebbe ben obbligati a constatare un’azione più positiva dello spirito moderno, sempre che una tale espressione si possa impiegare per qualcosa che, in realtà, è essenzialmente negativo.
Sotto questo aspetto, noi ci riferiamo, non solo a dei movimenti chiaramente definiti, come quello che è stato proprio chiamato col nome di «modernismo» e che non era altro che un tentativo, fortunatamente sventato, di infiltrazione dello spirito protestante all’interno della stessa Chiesa cattolica; ma soprattutto ad una condizione di spirito molto più generalizzata, più diffusa e più difficilmente percepibile, dunque ancora più pericolosa, e perfino tanto più pericolosa per quanto spesso accade che non sia affatto percepita da coloro stessi che ne sono affetti: in fondo ci si può credere sinceramente religiosi e non esserlo. affatto, ci si può perfino chiamare «tradizionalisti» senza avere la minima nozione del vero spirito tradizionale, ed anche questo è uno dei sintomi del disordine mentale della nostra epoca.
La condizione di spirito alla quale alludiamo è, innanzi tutto, quella che consiste nel «minimizzare» la religione, se così si può dire, nel farne qualcosa che si può mettere da una parte, qualcosa a cui ci si accontenta di assegnare un posto ben delimitato e il più ristretto passibile, qualcosa che non ha alcuna influenza reale sul resto dell’esistenza, che è isolata da quest’ultima come in una sorta di compartimento stagno; quanti sono oggi i cattolici che, nella vita di tutti i giorni, hanno dei modi di pensare e d’agire sensibilmente diversi da quelli dei loro contemporanei più «areligiosi»?
Il fatto è chi esiste un’ignoranza quasi completa dal punto di vista dottrinale e perfino l’indifferenza nei confronti di tutto ciò che si riferisce alla dottrina; per molti, la religione è semplicemente una questione di «pratica», di abitudine, per non dire di «routine», ci si astiene accuratamente dal cercare di comprendervi checchessia e si arriva perfino a pensare che è inutile comprendere o che, forse, non vi è nulla da comprendere; del resto, se si comprendesse veramente la religione, come sarebbe possibile lasciarle un posto così mediocre fra le proprie preoccupazioni?
La dottrina si trova dunque, di fatto, dimenticata o ridotta quasi a niente, il che si accosta singolarmente alla concezione protestante, perché si tratta di un effetto delle medesime tendenze moderne contrarie ad ogni intellettualità; e la cosa più deplorevole è che l’insegnamento che in genere viene dato, invece di reagire ad una tale condizione di spirito, la favorisce e vi si adatta fin troppo bene: si parla sempre di morale e non si parla quasi mai di dottrina, con la scusa che non potrebbe essere compresa; allo stato attuale la religione non è più che «moralismo», o almeno sembra che nessuno voglia vedervi ciò che essa realmente è, e cioè tutt’altro che un «moralismo».
Tuttavia, se qualche volta si finisce col parlare ancora di dottrina, molto spesso lo si fa per sminuirla, discutendone con degli avversari dopo essersi portati sul loro stesso terreno «profano», il che conduce inevitabilmente a concessioni delle più ingiustificate; accade così, in particolare, che ci si creda obbligati a tener conto, in maniera più o meno ampia, dei pretesi risultati della «critica» moderna, quando invece, ponendosi da un altro punto di vista, sarebbe la cosa più facile dimostrarne tutta l’inanità; ora, in tali condizioni, che ne è effettivamente del vero spirito tradizionale?
Questa digressione, a cui siamo stati condotti nell’esaminare le manifestazioni dell’individualismo nel dominio religioso, non ci sembra sia stata inutile, poiché mostra che il male, in questo campo, è ancora più grave e più esteso di quanto si potrebbe credere a prima vista; d’altra parte, essa non si discosta molto dalla questione in oggetto, e la nostra ultima considerazione vi si connette perfino direttamente, poiché è sempre l’individualismo che introduce dappertutto lo spirito di discussione.
È molto difficile far comprendere ai nostri contemporanei che vi sono delle cose che, per la pro stessa natura, non si possono discutere; l’uomo moderno, invece di cercare di elevarsi alla verità, pretende di farla discendere al suo livello ed è indubbiamente per questo che vi sono molti che, quando si parla loro di «scienze tradizionali» o perfino di metafisica pura, immaginano che si tratti solo di «scienza profana» e di «filosofia».
Nel dominio delle opinioni individuali è sempre possibile discutere, poiché non si oltrepassa l’ordine razionale, e perché, non facendo appello ad alcun principio superiore, si finisce facilmente col trovare degli argomenti più o meno validi per sostenere il «pro» ed il «contro»; in molti casi, si può perfino condurre la discussione indefinitamente senza pervenire ad alcuna conclusione, ed è in tal modo che quasi tutta la filosofia moderna finisce con l’essere costituita da equivoci e da questioni mal poste.
Lungi dal chiarire i problemi, come si suppone ordinariamente, la discussione molto spesso non fa altro che spostarli, se non addirittura renderli ancora più oscuri; e il risultato più abituale è che ognuno, nello sforzarsi di convincere il proprio avversario, si rafforza più che mai nella propria opinione e vi si rinchiude in maniera ancora più esclusiva di prima. In fondo, in tutto ciò non si tratta di giungere alla conoscenza della verità, ma di aver ragione malgrado tutto, o quantomeno di persuadersene quando non si possono persuadere gli altri, il che, fra l’altro, dispiacerà ancor di più per il fatto che vi si mischia sempre quel bisogno di «proselitismo» che è anch’esso uno degli elementi più caratteristici dello spirito occidentale.
Talvolta, l’individualismo, nel senso più ordinario e più basso del termine, si manifesta in una maniera ancora più apparente: non è infatti vero che si vedono continuamente delle persone che vogliono giudicare l’opera di un uomo sulla base di ciò che essi conoscono della sua vita privata, come se fra le due cose potesse esserci un qualunque rapporto?
E segnaliamo di sfuggita che è la stessa tendenza, unita alla mania del particolare, che genera l’interesse che viene attribuito ai minimi particolari dell’esistenza dei «grandi uomini», la stessa che genera l’illusione che si possa spiegare tutto ciò che costoro hanno fatto, tramite una sorta di analisi «psico-fisiologica»; tutto questo è molto significativo per chi vuol rendersi conto di ciò che è veramente la mentalità contemporanea.
Scritto da René Guénon.
Nessun commento:
Posta un commento