I fischi, gli insulti, le urla di rabbia e qualche sputo tennero a battesimo l'idea di Protezione Civile nazionale.
Il tristemente famoso commissario straordinario dei terremoti in Friuli ed Irpinia nel 2016 venne intervistato da Alessandro Franzi su Linkiesta.it. Il titolone del pezzo non lascia spazio a dubbi: ci vollero i fischi (Irpini) a Pertini per farla nascere
Giuseppe Zamberletti, varesino deceduto nel 2019, fu parlamentare della Democrazia Cristiana, commissario del governo in Friuli e in Irpinia, quindi primo ministro con delega alla Protezione civile nel 1982. Nato il 17 dicembre 1933, da una famiglia di ristoratori, fu avviato alla politica dall'intellettuale democristiano Lorenzo Morcelli, direttore de “La Prealpina del lunedì”.
Definito politicamente un "Cavallo di razza", riuscì a dialogare con Enrico Berlinguer davanti alle macerie del Friuli, si scontrò senza remore con Ciriaco De Mita ed il malaffare del terremoto in Irpinia. In ambito internazionale, su incarico diretto di Giulio Andreotti, riuscì a mette in salvo con tre navi della Marina Militare Italiana un migliaio di profughi che fuggirono dai loro paesi per motivi politici o economici a bordo di imbarcazioni, anche di fortuna, note come «carrette del mare» o boat-people vietnamiti. Il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio, tutelato dalla legge del 24 febbraio 1992 numero 225 è un suo successo indelebile, ma fu la vergogna di Pertini, dopo l'inevitabile rabbia Irpina dopo il 23 novembre 1980, a dettar legge nel vero senso della parola.
«La necessità della Protezione Civile permanente fu evidente dopo il terremoto in Friuli. Ma dobbiamo partire da un po’ prima. Entrai in Parlamento nel 1968 e mi fu affidata la legge sulla riorganizzazione dei Vigili del Fuoco. Quel testo prevedeva due cose: la possibilità di far organizzare dai prefetti i volontari in caso di emergenza e la possibilità per il governo di nominare commissari straordinari dopo le catastrofi.
Sì, ma non era la stessa cosa. Perché quella Legge non organizzava un sistema permanente di Protezione civile. Sul tema dei volontari si consumò anche un problema politico. Arrivavamo dall’esperienza degli ‘angeli del fango’ di Firenze, cinquant’anni fa esatti, e volevamo dare la possibilità ai volontari di iscriversi in un elenco della prefettura anche in ‘tempo di pace’. Ma questa norma scatenò una reazione dura del Pci.
Era Nilde Iotti a seguire l’iter di quella legge in Parlamento. I comunisti pensavano che ci fosse il pericolo di un uso politico di quei volontari. Questo mi rese molto difficile far approvare la legge, finché non togliemmo l’elenco dei prefetti sostituendolo con un censimento delle associazioni attive sul territorio.
La legge fu approvata nel 1970, poi fui nominato sottosegretario all’Interno, con due deleghe: la Polizia e i Vigili del Fuoco. Ministri erano prima Luigi Gui e poi Francesco Cossiga. Fu sotto Cossiga che venne il terremoto del Friuli. Il futuro Picconatore sassarese e il presidente del Consiglio, Aldo Moro, partirono subito per il Friuli. Io fui nominato commissario. Ma il commissario, mi resi conto una volta giunto sul posto, non aveva un esercito alle sue spalle, l’esercito doveva metterlo insieme sul posto, quando l’emergenza era già iniziata. Un po’ di potere di coordinamento, lo avevo, certo. Ma non avevo i dati e i mezzi a disposizione diretta. Ogni corpo si muoveva autonomamente, disse il Zambo.
Le operazioni in Friuli erano andate bene e, passata l’emergenza, le forze politiche ed il Parlamento avevano archiviato il tema. Ricordo che bisognava bussare a molte porte per parlarne, ma a nessuno importava più farlo. Tutto cadde, finché non arrivò il terremoto dell’Irpinia.
Successe qualcosa di più. Il povero presidente Pertini arrivò sul posto il giorno dopo il terremoto – badi bene, il giorno dopo – quando la gente aspettava ancora i Vigili del Fuoco. I cittadini del posto videro arrivare la colonna delle autorità al seguito del presidente e pensavano che si trattasse della colonna d’emergenza per i soccorsi. Pertini fu quindi accolto in un modo terribile. E lui non ci era abituato. Quando il presidente della Repubblica arrivò in Irpinia, il governo non si era ancora riunito per nominare il commissario straordinario, lo avrebbe fatto qualche ora dopo.
Beh, Pertini è stato determinante. Finita l’emergenza Irpinia, Pertini si impuntò con il governo guidato da Giovanni Spadolini per creare una struttura ad hoc. Non senza resistenze politiche. Anzitutto perché molti ministeri, a partire da quello dell’Interno, temevano di perdere potere con un nuovo dipartimento che avrebbe dovuto coordinare diverse forze che erano proprio di loro competenza.
E poi c’erano in ballo gli equilibri fra i partiti. Se Pertini si impuntava perché io entrassi nel governo con quel ruolo di coordinamento, nessuno dei partiti era disponibile a cedere un posto a un nuovo ministro. Sarei stato un ministro in più per la Dc, capisce?
La soluzione escogitata fu alla fine questa: per decreto nasceva il dipartimento della protezione civile, io venivo nominato alto commissario ma con il rango di ministro senza portafoglio. Insomma, partecipavo alle riunioni del governo ma senza dirlo troppo in giro (Zamberletti scoppia in una risata, NdA).
Per la prevenzione, nel nostro paese, manca purtroppo la cultura. Non bastano, per questo, i poteri di intervento quando le catastrofi si avverano. In passato si è più volte provato, per esempio, a introdurre un libretto di condominio che certifichi le caratteristiche di tutte le case, per capire quali sono a rischio e quali no. Ma è sempre stata una battaglia persa, perché questo strumento influirebbe sui valori immobiliari, quindi si preferisce tacere. La storia è sempre la stessa, dopo un terremoto si discute di quello che bisogna fare, ma poi ce ne si dimentica».
Chissà cosa pensò il Presidente più amato dagli Italyani nel 1982, quando nella storica finale dei mondiali di calcio si vide il celebre striscione verde dei tifosi Irpini in trasferta. Lui era in tribuna d'onore, ovviamente, e proprio nel settore opposto del Bernabeu di Madrid spiccava quella delegazione biancoverde al seguito degli Azzurri guidati da Bearzot. Il dramma del terremoto in Irpinia era ancora palpabile e gli anni di piombo erano appena agli sgoccioli. La ricostruzione prese una brutta piega a causa di infiltrazioni camorristiche e della dilagante corruzione della Prima Repubblica. Gli appelli di Pertini contro la speculazione caddero nel nulla e le sue parole, ancora oggi, pesano come macigni. Negò di essere stato contestato dai terremotati, ma lasciamo a voi il giudizio umano.
Come figura istituzionale, invece, parlano i fatti dal 9 luglio 1978 al 29 giugno 1985. Dal bacio sulla bara del Maresciallo Tito, passando per troppi misteri irrisolti e i tanti lutti tra fiumi di lacrime e lampi di cattiveria. Proverbiale era la sua vanità. Un giornalista, Antonio Ghirelli, riferì uno sferzante giudizio di Saragat, che spiegherebbe il suo arrivo in provincia di Avellino, prima dei soccorsi e degli aiuti, non curante degli inviti alla prudenza degli addetti alla sua sicurezza.
«Sandro è un eroe, soprattutto se c'è la televisione». Adorava gli abiti firmati, le scarpe Gucci, mentre predicava il socialismo e il pauperismo. Un Bertinotti ante litteram o un esempio mitologiko perpetuo per i/le nipot* della resistenza, gli stessi che attribuiscono a lui la famosa frase, mai pronunciata: "Quando un governo non fa ciò che vuole il popolo, va cacciato via anche con mazze e pietre".
Sia la Fondazione che l'Associazione Pertini, più volte interpellate negli anni hanno sempre smentito che possa aver detto quella cosa. Chi la usa attribuendola al Presidente, lo fa per strumentalizzare l'opinione pubblica e ingannarla che sia lecito l'uso della violenza antifascista.
Resta il ricordo stereotipato, impacchettato e distribuito in un'Italia sfascista, succube dei poteri forti, nonché della malavita organizzata coperta dall'alto. L'Italyetta campione del mondo, concesse solo a lui il palcoscenico internazionale, che riuscì a dar lustro ad una figura buona per le canzonette di Toto Cutugno da dare in pasto alle masse. Pseudo eroe artefatto, evanescente e schiavo degli assetti politici di un Pentapartito, a sua volta, succube della logica partorita dalla guerra fredda tra Capitalisti Angloamericani e Comunisti filosovietici.
Mentre Pertini in aereo giocava tranquillo e beato a carte con la Nazionale, in Campania si continuava a sparare a causa della "pericolosa" ricostruzione nelle aree colpite dal doppio sisma (80/81). Il folcloristico partigiano con la pipa spenta, invece, in quelle drammatiche ore era impegnato a criticare aspramente, in primis, i Ministri corsi in Spagna per la vetrina Mundial.
I legittimi festeggiamenti per la vittoria occuparono le prime pagine dei giornali, ma non coprirono lo schifo della cronaca nera, sporca di sangue rosso bolscevico. In strada venne trucidato il vice Questore Antonio Ammaturo, capo della Squadra mobile di Napoli. Il 15 luglio 1982 Ammaturo venne freddato appena uscito dalla propria abitazione per recarsi in Questura con l'auto di servizio guidata dall'agente scelto Pasquale Paola.
Due uomini scesi da una vettura aprirono il fuoco contro l'auto, assassinandone gli occupanti. Gli autori del fatto risultarono appartenere alle Brigate Rosse. Gli antifascisti armati riuscirono anche a fuggire, ma furono arrestati alcuni mesi dopo insieme ad altri complici, implicati nell'incredibile sequestro Cirillo del 27 aprile 1981 e nell'agguato a Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano, datato sempre 27 aprile, ma del 1982. Alla fine degli anni Sessanta i kompagni di Pertini, appartenenti ai gruppi di ex partigiani rossi emiliani, custodivano e tenevano in efficienza armi usate durante la resistenza. Da uno di questi depositi alle porte di Reggio Emilia provenivano i due mitra Sten sequestrati dalla polizia durante un' irruzione in un covo brigatista nell'82. Il quadro dei rapporti tra le Br e i vecchi quadri comunisti, profondamente delusi dalle scelte di Togliatti e Pertini, è legato da una lunga e terrificante scia di sangue. Rossa bolscevica.
Va ricordato, infine, l'iracondo Sandrino che urlò agli operai di Marghera, nel pieno infuriare del terrorismo rosso: «Sono stato un brigatista rosso anch'io» per poi negare che le Brigate fossero Rosse, giudicandoli solo «briganti», per camuffare quel vergognoso filo rosso tra BR e partigiani.
Quasi 3mila morti, 280mila sfollati, interi paesi andati distrutti: il terremoto dell'Irpinia del 1980, con la sua magnitudo di 6,9, portò una devastazione anche morale. Il Presidente nel messaggio a reti unificate disse che il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi. Vero, care lettrici e cari lettori?
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