Ma abbiamo parlato fin troppo della filosofia, alla quale non è il caso di attribuire un’importanza eccessiva, quale che sia il posto che essa sembra occupare nel mondo moderno; dal punto di vista in cui ci poniamo, essa è soprattutto interessante per il fatto che, in una forma la più chiaramente definita possibile, esprime le tendenze di questo o quel momento, molto più di quanto le crei veramente; e se è possibile dire che essa le dirige, fino ad un certo punto, ciò è vero solo in maniera secondaria e in un secondo momento.
È certo che tutta la filosofia moderna ha origine con Cartesio, ma l’influenza che questi esercitò all’inizio sulla sua epoca e in seguito su quelle successive, influenza che non si è limitata alla sola filosofia, non sarebbe stata possibile se le sue stesse concezioni non avessero corrisposto a delle tendenze preesistenti, le quali in definitiva erano quelle della generalità dei suoi contemporanei; lo spirito moderno si è riconosciuto nel cartesianesimo e, per suo tramite, ha preso coscienza di sé in maniera più chiara di quanto fosse accaduto fino ad allora.
D’altronde, in qualsivoglia dominio, un movimento così apparente come è stato il cartesianesimo in relazione alla filosofia è sempre una risultante piuttosto che un vero punto di partenza; non si tratta di qualcosa di spontaneo, ma del prodotto di tutto un lavoro latente e diffuso; se un uomo come Cartesio è particolarmente rappresentativo della deviazione moderna, se si può dire che da un certo punto di vista egli la incarna in qualche modo, certo è che egli non è il solo né il primo responsabile, ed occorrerebbe riandare molto più indietro nel tempo per trovare le radici di una tale deviazione. Del pari, il Rinascimento e la Riforma, considerate molto spesso come le prime grandi manifestazioni dello spirito moderno, portarono a compimento la rottura con la tradizione molto più di quanto la provocarono; per noi, l’inizio di tale rottura risale al XIV secolo, ed è a questa data, e non uno o due secoli dopo, che in realtà occorre far cominciare i tempi moderni.
Su questa rottura con la tradizione dobbiamo ancora soffermarci, poiché è da essa che è nato il mondo moderno, i cui caratteri specifici potrebbero essere riassunti in uno solo: l’opposizione allo spirito tradizionale; e la negazione della tradizione è sempre individualismo. Del resto, ciò è in perfetto accordo con quanto precede, poiché, come abbiamo già spiegato, a principio di ogni civiltà tradizionale si trovano l’intuizione intellettuale e la dottrina metafisica pura; e nel momento in cui si nega il principio, si negano anche tutte le sue conseguenze, almeno implicitamente, mentre tutto l’insieme di ciò che merita veramente il nome di tradizione, per ciò stesso si ritrova distrutto. Da questo punto di vista, abbiamo già detto cos’è accaduto per le scienze, quindi non ci ripeteremo, e considereremo adesso un altro aspetto della questione, in cui le manifestazioni dello spirito antitradizionale sono forse ancora più immediatamente visibili, dal momento che si tratta di cambiamenti che hanno interessato direttamente la stessa massa occidentale.
In effetti, le «scienze tradizionali» del Medio Evo erano riservate ad un’élite più o meno ristretta, ed alcune di esse erano perfino appannaggio esclusivo di scuole molto chiuse, tanto da costituire un «esoterismo» nel senso più ristretto del termine; ma, per altro verso, nella tradizione vi era qualcosa di comune a tutti indistintamente, ed è di questa parte esteriore che intendiamo parlare adesso. Esteriormente, la tradizione occidentale aveva allora una forma specificamente religiosa, rappresentata dal Cattolicesimo, ed è dunque al dominio religioso che dobbiamo guardare per considerare la rivolta contro lo spirito tradizionale, rivolta che, quando assunse una forma definita, venne chiamata Protestantesimo; ed è facile rendersi conto che si trattò proprio di una manifestazione dell’individualismo, al punto tale che si potrebbe dire che non era nient’altro che lo stesso individualismo considerato nella sua applicazione alla religione.
Ciò che caratterizza il Protestantesimo, come ciò che caratterizza il mondo moderno, non è che una negazione, quella negazione dei principi che è l’essenza stessa dell’individualismo; ed anche in questo caso ci si trova al cospetto di uno degli esempi più evidenti dello stato di anarchia e di dissoluzione che ne è la conseguenza.
Chi dice individualismo dice necessariamente rifiuto di ammettere un’autorità superiore all’individuo, ed anche una facoltà di conoscenza superiore alla ragione individuale: le due cose sono inseparabili. Di conseguenza, lo spirito moderno doveva rifiutare ogni autorità spirituale, nel vero senso della parola, e cioè ogni autorità che ha la sua fonte nell’ordine sopra-umano; e al tempo stesso doveva rigettare ogni organizzazione tradizionale, la quale si basa essenzialmente su tale autorità, quale che fosse peraltro la forma da essa rivestita, forma che naturalmente differisce a seconda delle diverse civiltà. Ed in effetti fu questo che accadde:
all’autorità dell’organizzazione qualificata per interpretare legittimamente la tradizione religiosa dell’Occidente, il Protestantesimo pretese sostituire ciò che chiamò il «libero esame», vale a dire un’interpretazione lasciata all’arbitrio di chiunque, perfino degli ignoranti e degli incompetenti, e fondata unicamente sull’esercizio della ragione umana.
Si ebbe quindi, nel dominio religioso, l’equivalente di ciò che doveva essere il «razionalismo» nell’ambito filosofico: una porta aperta a tutte le discussioni, a tutte le divergenze, a tutte le deviazioni; e il risultato fu quello che doveva essere: la dispersione in una moltitudine sempre crescente di sette, di cui ciascuna rappresentava solo l’opinione particolare di alcuni individui.
E dal momento che in simili condizioni non era possibile intendersi sulla dottrina, ecco che questa passò ben presto in secondo piano, e fu l’aspetto secondario della religione che venne ad occupare il primo posto: ci riferiamo alla morale; da qui la degenerazione in «moralismo», così evidente nel Protestantesimo attuale. Si è trattato di un fenomeno parallelo a quello che abbiamo segnalato nei confronti della filosofia: la dissoluzione dottrinale, la sparizione degli elementi intellettuali della religione; fattori che dovevano condurre ad una conseguenza inevitabile: partendo dal «razionalismo» si doveva cadere nel «sentimentalismo», ed è nei paesi anglosassoni che si possono trovare gli esempi più eclatanti.
Insomma, non si trattò più di religione, foss’anche sminuita e deformata, ma semplicemente di «religiosità», vale a dire di vaghe aspirazioni sentimentali che non si giustificano con alcuna conoscenza reale; ed a quest’ultimo stadio corrispondono teorie come quelle di Guglielmo James, il quale si spinge fino a vedere nel «subcosciente» il mezzo con cui l’uomo può entrare in comunicazione col divino. Qui, gli ultimi prodotti della decadenza religiosa si fondono con quelli della decadenza filosofica: l’«esperienza religiosa» si aggrega al «pragmatismo», in nome del quale l’idea di un Dio limitato si caldeggia come più vantaggiosa rispetto a quella di un Dio infinito, in quanto che si possono provare per lui dei sentimenti paragonabili a quelli che si provano nei confronti di un uomo superiore; al tempo stesso, con l’appello al «subcosciente», si finisce col riunirsi allo spiritismo ed a tutte le «pseudo-religioni» caratteristiche della nostra epoca, che abbiamo preso in esame in altri nostri lavori.
Per altro verso, la morale protestante, eliminando sempre più la base dottrinale, finisce col degenerare in ciò che si chiama la «morale laica», la quale conta fra i suoi sostenitori i rappresentanti di tutte le varietà del «Protestantesimo liberale», nonché tutti gli avversari dichiarati di ogni idea religiosa; in fondo, negli uni e negli altri prevalgono le stesse tendenze, la sola differenza è che non tutti si spingono lontano alla stessa maniera nello sviluppo logico di tutto ciò che vi si trova implicato.
Scritto da René Guénon.
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