domenica 27 novembre 2022

IL FANTASMA DELLA PRINCIPESSA CAUDINA - Misteri

IL FANTASMA DELLA PRINCIPESSA CAUDINA 

Il fantasma di Maria d'Avalos continuerà a far parlare di sé per sempre. La storia si svolge a Napoli e rientra tra le tristi leggende legate alle storie d'amore finite male. Poco più di un mese fa, precisamente il 17 ottobre scorso, in piena notte di un lunedì qualsiasi, un gruppo di studentesse universitarie Partenopee, tra cui un paio originarie della Valle Caudina, hanno sentito le urla strazianti di una giovane donna in lacrime a due passi da Palazzo San Severo in piazza San Domenico Maggiore.

L'episodio sarebbe passato in sordina, vista la casualità e la miriade di urla notturne, tutte diverse per intensità e origine. Invece, oltre alle urla che invocavano aiuto e vendetta, una delle ragazze giura di aver visto un fantasma di donna cosparsa di ferite da arma da taglio, sanguinante con una testa in mano. In questi casi la soggezione gioca un ruolo di rilievo, ma la splendida Principessa di Montesarchio, probabilmente, non troverà mai pace.

'A PRINCIPESSA DI MONTESARCHIO

Questa è la storia di un femminicidio: efferato, spietato, crudele. Niente di diverso, invero, da quelli a cui ci hanno abituato le cronache del nostro tempo, se non fosse per il fatto che il delitto avvenne nel 1590. Era una nobildonna, appena ventottenne quando fu uccisa. Il marito-assassino era un musicista, o meglio, un “madrigalista”, il più famoso di quel secolo e dei secoli a venire. Questa, dunque, è la storia di Maria d’Avalos e Carlo Gesualdo, tratta da "Cultura al Femminile".

Maria d’Avalos era nata a Napoli nel 1562. Era figlia di Carlo d’ Avalos, principe di Montesarchio, e di Sveva Gesualdo, principessa di Venosa. Apparteneva, dunque, a una delle più prestigiose famiglie della nobiltà napoletana. Un avo di Maria, Ferrante d’Avalos, aveva sposato la famosa poetessa Vittoria Colonna. Il padre Carlo aveva avuto come padrino di battesimo l’imperatore Carlo V.

A tredici anni, Maria fu data in sposa al principe Federico Carafa, da cui ebbe due figli: Ferdinando, morto in età infantile, e Beatrice, che si spense all’età di dodici anni, nella prima notte di nozze, per il prematuro congiungimento carnale: “le si ruppe una vena nel petto”. Rimasta vedova, nel 1581, sposò in seconde nozze Alfonso Gioieni, figlio maggiore di una nobile famiglia siciliana. Lui mori nel 1585.

Maria D’Avalos, a quel punto, andò a vivere sull’isola di Ischia, dove vi rimase fino a quando la famiglia non le trovò un altro marito. La scelta cadde sul principe Carlo Gesualdo di Venosa, un nobile che aveva parenti potenti come San Carlo Borromeo e il papa Pio IV. I due si sposarono il 28 aprile del 1586. Lui era più giovane di lei di quattro anni ed era anche suo cugino di primo grado perché la madre di Maria era sorella di Fabrizio Gesualdo, il padre di Carlo. Per sposarsi dovettero avere una dispensa papale dall’allora Papa Sisto V.

Papa Sisto V

Torquato Tasso, che aveva conosciuto Carlo Gesualdo a Napoli durante uno dei tanti incontri tra poeti, suonatori e cantori dell’epoca, celebrò la loro unione con un sonetto. Carlo Gesualdo sposò Maria perché “avendo avuto due mariti in precedenza, aveva dato sufficienti segni di fertilità”. Lei non ebbe voce in capitolo in quella scelta, ma certamente il “signore di Venosa” non le era indifferente perché aveva il fascino dell’artista e faceva molta presa su una ragazza che, seppur vedova due volte, ancora sognava l’amore. I primi anni di matrimonio, infatti, furono felici.

Maria e Carlo andarono a vivere in un palazzo di fronte alla chiesa di S. Domenico Maggiore, lo stesso edificio che in seguito divenne di proprietà della nobile famiglia di Sangro e fu abitato da Raimondo di Sangro Principe di Sansevero, famoso studioso e alchimista del ‘700. Oggi è conosciuto come Palazzo di Sangro (o Palazzo Sansevero).

La “fecondità” della sposa, così importante per Carlo, non fu smentita e, l’anno dopo il matrimonio, nacque Emanuele. La serenità coniugale, però, durò ben poco perché Carlo era spesso assente, sempre più assorbito dalla composizione dei suoi madrigali, a cui si dedicava in maniera quasi ossessiva. Maria aveva meno di trent’anni anni e, a Napoli, era famosa per la sua straordinaria bellezza. Attirava il desiderio di molti uomini, tra cui Giulio Gesualdo, zio del marito, che si dichiarò alla giovane donna ottenendone un netto rifiuto. Fu un ricevimento danzante a cambiare la vita della giovane donna.

In quell’occasione, Maria conobbe Fabrizio Carafa d’Andria, un uomo “bello come Adone” (era denominato “l’Arcangelo”). Lui era sposato con Maria Carafa ed aveva quattro figli. I due si innamorarono e divennero amanti, sempre più imprudenti, nonostante ricorressero a ingegnosi stratagemmi per non farsi scoprire.

Gesualdo venne informato della “tresca” proprio da quello zio Giulio che aveva tentato invano di cornificarlo. Decise, così, di tendere una trappola ai due amanti. Finse di allontanarsi dalla città, con la scusa di una battuta di caccia agli Astroni. Maria, in un primo momento, ebbe qualche sospetto, ma il desiderio di vedere il suo Fabrizio era superiore alla prudenza. Invitò l’amante a casa sua, avendo solo cura di mettere una cameriera a guardia della stanza da letto, che però, presa dalla stanchezza, nel cuore della notte si addormentò. Carlo rientrò durante la notte, con i suoi accoliti, e massacrò a colpi di archibugio e coltellate la moglie ed il suo amante (decapitato).

Non contento dello scempio compiuto, fece collocare i corpi insanguinati e nudi dei due amanti sulle scale del Palazzo di Sangro, affinché il popolo potesse vedere le conseguenze dell’offesa portata al principe. Era la notte del 16 Ottobre 1590. Fu quella la notte in cui ebbe inizio la leggenda.

La Leggenda di Maria D’Avalos

Pare che il corpo di Maria sia stato violato anche dopo la morte: esposto nella Chiesa di San Domenico Maggiore, prima di essere sepolto insieme a quello dell’amante in un’arca monumentale, un monaco domenicano ne abusò senza ritegno, aggiungendo scempio allo scempio. Pare anche che, da allora, nelle notti buie, il fantasma della povera donna si aggiri nei pressi del Palazzo di Sansevero, continuando a piangere ed urlare senza pace.

“Piangete o Grazie, e voi piangete Amori,

feri trofei di morte, e fere spoglie

di bella coppia cui n’invidia e toglie,

e negre pompe e tenebrosi orrori.

…………

Piangi Napoli mesta in bruno ammanto,

di beltà di virtù l’oscuro occaso

e in lutto l’armonia rivolga il canto…”

(dal sonetto “In morte dei due nobilissimi amanti” di Torquato Tasso, nella foto sotto)

Curiosità

Torquato Tasso scrisse ben quattro sonetti per celebrare la morte di Maria e Fabrizio, nonostante l’amicizia di vecchia data con Carlo Gesualdo. Quest’ultimo aveva anche musicato vari testi del Tasso, tra cui il primo Libro dei Madrigali. Carlo Gesualdo non gli perdonò mai questo affronto.

Carlo Gesualdo subì un processo in cui fu assolto, per ordine del Viceré, “stante la notorietà della causa giusta”! La colpa di Maria d’Avalos appariva, per il diritto del tempo, indubbia: suo marito, godendo della facoltà di farlo, aveva agito al fine di vendicare il suo onore e quello della sua famiglia. Forse è superfluo, ma non inutile, sottolineare che il “delitto d’onore” è rimasto nelle nostre leggi fino agli anni Ottanta del Novecento. L’assassino si ritirò nel suo Feudo di Gesualdo, in Irpinia. Si risposò con Eleonora d’Este e riprese la sua attività di madrigalista.

Impunito e mai pentito (pare*) per il delitto commesso, Carlo Gesualdo visse una stagione di proficua attività creativa in un’atmosfera d’avanguardia, qual era quella di Ferrara, sede della corte d’Este, partecipando anche ai meravigliosi concerti tenuti dalle Dame di Ferrara, in quei convivi a cui solo “gli eletti” potevano partecipare. Di Maria d’Avalos, quella moglie massacrata, umiliata e violata, ne conservava il ricordo? Come aveva potuto il suo animo d’artista, per antonomasia sensibile e raffinato, cancellare l’immagine, l’ardore, lo sguardo e le emozioni di colei che aveva stretto tra le braccia in tante notti d’amore? I sentimenti di Carlo Gesualdo, contrariamente ai suoi madrigali, non ci sono pervenuti…

Sappiamo che la sua seconda moglie, Eleonora, fu infelice a causa dei maltrattamenti e dell’avarizia di quel marito ombroso e collerico che la tenne praticamente prigioniera. Sappiamo, inoltre, che lui morì, in preda alla follia, “assalito ed offeso da una gran moltitudine di demoni”, dedicandosi a pratiche masochiste per espiare le sue colpe. E la bella e sfortunata Maria d’Avalois?

A distanza di quattrocento anni dalla sua morte, Maria d’Avalos torna a far parlare di sé attraverso un ulteriore mistero. Negli anni ‘90 l’Università di Pisa ricevette l’incarico di scoperchiare le tombe in cui riposavano gli scheletri dei due amanti. Vi erano dei resti mortali: si identificò quello di Fabrizio Carafa, ma di Maria d’Avalos non vi era traccia. I Napoletani ne sono convinti: Maria d’Avalos è ancora lì, nella strada prospiciente il Palazzo Sansevero e, se volete vederla- e sentirla- non vi resta che andare in Via San Domenico Maggiore, attendere il buio della notte e aspettare che arrivi…

Chi è riuscito a vederla dice che è ancora una Donna bellissima!

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immagini tratte dalla rete
*Nel 1609 Carlo Gesualdo, mosso da forti sensi di colpa per quell’orrore commesso, commissionò al pittore Giovanni Balducci una tela, Il Perdono di Carlo Gesualdo. La tela, conosciuta anche con il nome di La Pala del Perdono, cela tutti segni del suo pentimento. Il dipinto è conservato nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Gesualdo Avellino.

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