I sostenitori dell’itanglese tendono spesso a contraddirsi. Non è inusuale che nella stessa frase neghino il fenomeno, o lo minimizzino, per poi però anche dire che è un’ottima cosa, bella, moderna, inevitabile, e «comune a tutte le altre lingue». Analizziamo una a una le gemme più tipiche alla fiera dell’anglomania.
8. Ma era già successo così nei secoli passati con i francesismi.
RISPOSTA: Sul serio?
Se sei nel mezzo di un uragano, ti fa sentire meglio negare l’evidenza dicendo che «anche ieri ha piovigginato»?
Certo, c’era una volta in cui entrarono bidet, manicure, brioche e molti altri, ma il paragone è assurdo. Gli adolescenti italiani del 19º secolo non condivano le loro conversazioni con l’equivalente francese di bro, cool, fail, cringe, hater, influencer e IMHO. I governi di Cavour e Giolitti non battezzavano leggi e provvedimenti e interi ministeri in francese come si fa oggi con i vari Jobs Act, Cashback, Ministero del Welfare, navigator, road map e governance. Le Poste italiane non chiamavano le loro spedizioni livraison o sputacchiavano equivalenti gallici di reverse paperless.
E, a proposito, quando il primo tronco ferroviario venne inaugurato il 3 ottobre 1839 dal re Ferdinando II di Borbone, le persone non ci si affrettava a dire le chef de train, come oggi con train manager invece di capotreno. E i convegni e dibattiti pubblici, venivano forse propagandati chiamandoli discours come si fa oggi con gli onnipresenti talk? Davvero la superficialità del mondo contemporaneo ha raggiunto livelli tali che linguisti di professione possano con nonchalance (avete visto che sto facendo?) mettere sullo stesso piano i francesismi puri (attenzione, non parliamo di adattamenti) dei secoli XIX e XX con l’anglomania a 360 gradi degli ultimi 20 anni? Insomma, non perdiamo tempo.
Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete.
Fonte: https://campagnapersalvarelitaliano.com/favole-itanglomani/
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