Le Forche Caudine? Un vivace e turbolento periodico letterario, politico e satirico.
La vecchia storia di Caudium ispirò un fogliaccio dell'Ottocento post-unitario, con una tiratura nazionale tra le migliori nell'Europa dell'epoca. La rivista battagliera dedicata alla "nostra" battaglia del 321 avanti Cristo, purtroppo, durò appena due anni. Le migliaia di lettrici e di lettori ebbero tra le mani le colonne cartacee più polemiche e abbastanza turbolenti della nuova Italia, nata almeno sulla carta burocratica da pochissimo. Infatti, il primo scandalo degno di nota portò alla prematura, ma necessaria chiusura de Le Forche Caudine.
Le Forche Caudine fu fondato da Pietro Sbarbaro, ottimo giornalista, sociologo e deputato repubblicano. Noto esponente del Partito Repubblicano Italiano ed agitatore della corrente contro Guerrazzi, fu sempre contrario alla politicizzazione delle nascenti società operaie in chiave Marxista. Il forcaiolo caudino fu destituito nel 1872 all'Università di Modena per ragioni prettamente politiche. Nel 1874 ottenne la cattedra di diritto amministrativo a Macerata; ma fu nuovamente allontanato dalla cattedra, dopo l'ennesimo processo politico.
TARANTELLE
Dal 1878 insegnò scienza della pubblica amministrazione nell'Università di Napoli ed è in questa occasione che sbocciò l'amore per la Valle Caudina. In quel periodo il direttore avrebbe riscoperto la storia delle Forche Caudine, tanto da voler dedicare all'evento un giornale di spessore, aggressivo, battagliero, ironico e pronto a tutto al costo di 10 centesimi a settimana.
Sbarbaro fu clamorosamente destituito dall'ateneo partenopeo dall'onorevole Guido Baccelli ministro dell'istruzione in persona nel 1883. Dopo le tarantelle in Campania si dedicò esclusivamente al giornalismo d'inchiesta, sfogando la rabbia verso le ingiustizie. Diresse con slancio "Le Forche Caudine", esponendosi a calunnie, querele, arresti. Nonostante tutto e tutti fu eletto nel 1886 e e rieletto nel 1889 come deputato per il collegio di Pavia.
Lo spirito dei guerrieri Caudini si era impossessato della sua penna. La veemenza delle sue polemiche gli valse un processo per diffamazione, la chiusura de Le Forche Caudine e la condanna al carcere.
Partito da posizioni di sinistra democratica, organo di denuncia della dilagante corruzione del boom economico edilizio di fine secolo, finì su posizioni moraliste protofasciste denunciando in particolare, con netto anticipo, gli scandali collegati alla Banca Romana. Il giornale si mise in evidenza soprattutto per la perseveranza nella ricerca della verità nel malaffare italiano e per la sua incorruttibilità. Attaccò duramente deputati "venderecci", ministri con "frasario da libertini", scrocconi e cortigiani, persino signore presentate come "sgualdrine".
A determinare la fine del giornale Le Forche Caudine fu proprio una clamorosa inchiesta sui sospetti movimenti di denaro intorno alla Banca Romana, scandalo che poi determinerà la caduta del governo di Giovanni Giolitti e l'arresto di Costanzo Chauvet, direttore de Il Popolo Romano e uno dei più duri oppositori di Sbarbaro. Per dirla con un’espressione assai cara a Carlo Emilio Gadda, “quer pasticciaccio brutto della Banca Romana” esplose come una bomba sulla gaudente Roma Umbertina di fine secolo.
Le Forche Caudine, in breve tempo, calamitò su di sé le accuse dell'intera classe politica, con convergenze tra destra e sinistra. Fu proprio una denuncia per diffamazione, legata alle inchieste sulla Banca Romana, a far finire in carcere il direttore Sbarbaro. La misteriosa morte in carcere, a soli 55 anni nel 1893, potrebbe rientrare a tutti gli effetti tra i primi misteri del Bel Paese.
Quella battaglia etica e giornalistica di fine Ottocento, quasi Novecento, terminò poco dopo il duro colpo messo a segno dalla penna calda di Sbarbaro. Visto il clima ormai ostile, figlio dello scandalo della Banca Romana Vaticana, arrivò la definitiva cessazione delle pubblicazioni e la successiva condanna al dimenticatoio perenne o quasi.
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