Miele, albume d’uovo e mandorle e/o nocciole irpine, con un tocco di magia, si trasformano nel famoso Torrone, dolce mediterraneo probabilmente sgranocchiato già nel IV secolo avanti Cristo in Valle Caudina. La storia di questa prelibatezza affonda le radici in un passato atavico, ma che potrebbe serbare una storia incredibile, ma allo stesso tempo affascinate.
La leggenda del dolce di guerra, il prelibato torrone dei popoli Caudini, Irpini, Carricini, Frentani e Pentri dovrebbe far riflettere. L'Arte dolciaria locale è al centro delle cronache, in questi giorni, perché in una pasticceria ubicata in provincia di Benevento hanno sequestrato una ventina di chilogrammi di prodotti dolciari, a quanto pare senza indicazioni sulla tracciabilità, obbligatoria per garantire la sicurezza alimentare.
Al titolare abbastanza distratto è stata servita una sfogliatella, abbastanza indigesta, sotto forma di contravvenzione amministrativa da pagare. L'importo è pari a poco più di tre milioni delle vecchie Lire. Un promemoria salato, ma utile per il futuro. La repressione, purtroppo, non basta per far applicare i giusti tempi o le giuste temperature nella lavorazione per ottenere l’eccellente qualità dei vari tipi di torroni. Il mantenimento degli aromi e dei profumi naturali è un dovere degli addetti ai laboratori di artigianato.
Tra le molte leggende che circolano su uno dei dolci più «ancestrali» del Mediterraneo, una è particolarmente vivida. Si tratta di un racconto orale, che non è certo da prendere come verità storica. Tuttavia, come ogni favola contiene un po’ di verità, così questa leggenda rivela l’antichissima origine del nostro dolce preferito, nonché la sua diffusione tra le popolazioni che si affacciavano sul «Mare Nostrum». La domanda nasce spontanea:
E se il torrone fosse nato dalle ferite psicologiche della post-battaglia delle Forche Caudine?
L’episodio a cui ci riferiamo risale alla seconda guerra sannitica, che gli storici collocano fra il 326 – 304 a.C. In questi anni, la giovane Repubblica Romana cominciava la sua lotta per l’egemonia nell’Italia centrale scontrandosi con le più agguerrite popolazioni confinanti: i Caudini, gli Irpini, i Carricini, i Frentani e i Pentri.
Sebbene Roma uscì vincitrice dalla guerra, nessuno storico dimenticò una delle più grandi umiliazioni a cui l’Urbe fu sottoposta: la sconfitta delle Forche Caudine. Nel 321 a.C., come racconta Tito Livio nel suo Ab Urbe condita, le legioni romane, ingannate da spie sannite travestite da pastori, si indirizzarono una stretta gola montuosa con l’obiettivo di soccorrere dai Sanniti una città alleata.
Qui, presso le strettoie di Caudio, furono prese facilmente in trappola dai nemici che, tuttavia, non uccisero i legionari, ma li umiliarono con la subjugatio, il passaggio sotto il giogo. Ciascun soldato fu costretto ad inchinarsi di fronte all’esercito della Federazione in trionfo. Una gioia che, per alcuni discendenti diretti, dura ancora fino ad oggi.
La leggenda vuole che l’umiliazione fosse stata così cocente da bloccare lo stomaco ai Romani, rischiando di farli morire d’inedia. Allora, Caudini, Irpini, Carricini, Frentani e Pentri, che non li volevano morti, ma testimoni della loro vittoria, prepararono un dolce tradizionale in Valle Caudina, tanto ghiotto da far tornare loro l’appetito e, al contempo, la consolazione.
La classica ricetta Caudino-Irpino-Sannitica consisteva principalmente in una pasta di nocciole e miele molto gradita anche ai palati dell’epoca. Presumibilmente, essa prevedeva anche la presenza di farina di farro o grano, acqua, nocciole, miele e uova ai quali, a seconda delle tradizioni locali, si aggiungevano altri ingredienti. In Irpinia, non a caso, il torrone viene soprannominato “o cupeto”
.
I Romani chiamarono il dolce cupedia, dal verbo cupio, che poteva significare tanto «ghiottoneria» quanto «cosa desiderata». Nome che, nel corso dei secoli, passò ad indicare i dolci precursori del nostro torrone: quelle preparazioni a base di miele, uova e frutta tostata che, chiuse da un’ostia, una cialda di pane o biscotto, sono reperibili in moltissimi ricettari della Tradizione Mediterranea.
Nei territori campani di Benevento, Avellino e Salerno si produce ancora oggi un torrone di antichissima tradizione, il cui nome deriva dal latino "cupida" che vuol dire "desiderata". La copeta "cupida" o "cupita", che veniva desiderata per la sua bontà, viene citata da numerosi scrittori latini, tra cui Tito Livio, e viene riconosciuta come l'antenato del torrone Caudino: è un torrone bianco molto compatto insaporito con nocciole, mandorle e, molto spesso, pistacchi.
Oggi si lavora nella torroniera, dove miele e zucchero vengono riscaldati fino a 80°C e, mentre la torroniera - si legge sul sito della Regione Campania -viene fatta girare a marcia veloce, e si aggiunge l'albume d'uovo sciolto in acqua, preparato il giorno precedente. L'ultima fase avviene con la torroniera alla velocità minima e vede l'aggiunta di zucchero a velo spolverato, vaniglia, nocciole, mandorle o pistacchi, opportunamente preriscaldati, perché abbiano la stessa temperatura dell'impasto; il tutto viene prodotto in grosse lastre che vengono poi spaccate in pezzi per essere vendute.
La Valle Caudina potrebbe far rivivere molte "cose" del passato per proiettarsi con slancio nel futuro. A Natale ricordate di comprare prodotti locali e vantatevi del Torrone, nato dopo la Battaglia delle Forche Caudine come premio di consolazione per una sconfitta alquanto bruciante...
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