mercoledì 20 luglio 2022
martedì 19 luglio 2022
L’Indipendente britannico dedica un articolo all’eccesso di anglicismi in italiano | CULTURA
Qualche giorno fa è uscito sul quotidiano britannico l'Indipendente un articolo che parla del tema dell’abuso di anglicismi in italiano, scritto dalla corrispondente Sofia Barbarani grazie alla testimonianza di Pietro Doubt, italo-britannico co-fondatore dell’iniziativa “Campagna per Salvare l’Italiano“. Curiosamente di questo fenomeno enorme si occupano più i mezzi di informazione stranieri (in passato France Culture, il quotidiano spagnolo, la TV Svizzera, Corsica Oggi) che non quelli italiani.
L’articolo dell’Indipendente si intitola ‘Itanglish’: The backlash against the increasing use of English in Italy, che potremmo rendere con ‘Itanglese’, la reazione contro l’uso crescente dell’inglese in Italia. Vi proponiamo un riassunto del contenuto dell’articolo realizzato dallo stesso Doubt.
Quando Pietro Doubt ricevette una chiamata dalla sua anziana zia italiana che gli chiedeva un aiuto con una traduzione, il linguista anglo-italiano rimase attonito nello scoprire che la lettera spedita da un ospedale pubblico italiano era colma di parole in inglese come “screening” e “breast unit”.
Come milioni di italiani che non parlano inglese, la zia ottantunenne di Doubt si era meravigliata di cosa volesse comunicarle il suo ospedale locale.
“Immagina: una persona anziana, con una malattia grave, in una situazione vulnerabile, che deve persino preoccuparsi di capire esattamente cosa le stanno dicendo”, dice Doubt.
È solo uno tra gli esempi sempre più frequenti che illustrano la maniera in cui la lingua più parlata del mondo stia sempre di più usurpando e spesso sostituendo l’italiano.
Nel 2021 il Dizionario Zingarelli della lingua italiana riportava 2927 in inglese su 145000 totali – e il numero reale è probabilmente molto più alto. Così alto che infatti il compianto linguista Tullio de Mauro nel 2016 lo chiamò tsunami anglicus – uno tsunami inglese. Ogni italiano è praticamente certo di trovarsi quasi quotidianamente davanti a una moltitudine di anglicismi. Da ospedali a ministeri, da discorsi di politici ai media, dalle banche alle palestre.
Espressioni come “lost and found” e “customer care” negli aeroporti, “outfit” nella moda, “food and beverage” nella ristorazione, e persino “jobs act” e “question time” nella politica, sono alcuni degli esempi dell’utilizzo quotidiano dell’inglese in Italia.
Tanto gli abitanti come i visitatori farebbero fatica a pensare a un ambito della società italiana che negli ultimi vent’anni non abbia rimpiazzato una parola italiana con un equivalente in inglese, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi europei con il livello più basso d’inglese tra la sua popolazione. A sua volta, questo crea molta confusione tra i tanti italiani che non parlano inglese e indignazione tra alcuni linguisti.
“Ci sono milioni di italiani che non parlano l’inglese, però pagano le tasse, vivono in Italia e devono preoccuparsi se stanno comprendendo dove si trovano,” dichiara Doubt a The Independent.
Tale è la sua frustrazione, che nell’ottobre 2021 Doubt ha co-fondato “Campagna per Salvare l’italiano”, un movimento la cui intenzione è di creare coscienza e di fornire uno spazio affinché la gente possa dibattere la questione. Linguisti, scrittori, giornalisti ed altri si sono uniti al progetto di Doubt per fornire la propria conoscenza, documentare esempi di anglicismi usati senza alcuna necessità, ed effettuare analisi comparative per illustrare meglio il problema.
Pietro Doubt afferma che non esiste una singola spiegazione per questa intrusione spesso aggressiva della lingua inglese in Italia. Ci sono però varie teorie. Una delle tesi si riferisce all’infatuazione italiana per qualsiasi cosa di sapore statunitense – una traccia della presenza lasciata nel dopoguerra delle truppe americane sulla penisola e del Piano Marshall, un programma di aiuto finanziario per aiutare l’Italia a recuperare dopo la guerra.
Un’altra possibilità, secondo l’artista Giorgio Comaschi, è semplicemente il desiderio degli italiani di “apparire fighi”.
“Noi [italiani] vogliamo essere “in”, non vogliamo essere “out” – per cui io uso questo termine [inglese] per sentirmi rassicurato,” Comaschi ha detto in una intervista con Campagna per Salvare l’Italiano. “è un’immensa dichiarazione di inferiorità e d’insicurezza.”
Una terza teoria, secondo Pietro Doubt, è la reazione impulsiva verso la proibizione di parole straniere da parte del regime fascista di Benito Mussolini.
Alcune leggi che furono imposte negli anni ‘30 portarono alla ridenominazione di paesi e città che non avevano nomi italiane, in particolare nelle zone vicine ai confini con Svizzera e Austria. Cognomi non italiani furono italianizzati, scuole bilingue vennero chiuse e norme furono inviate a stampa e case editrici per assicurare che parole straniere non venissero usate.
Un articolo pubblicato nel 1938 dal giornale Il Popolo d’Italia (fondato da Mussolini) incitava gli italiani a smetterla di usare “usi e costumi stranieri” e a tornare alle tradizioni italiane.
“Dobbiamo rinunciare e rifiutare le varie mode che vengono da Parigi, Londra e Stati Uniti. Che siano loro a ispirarsi a noi, così come guardavano verso Roma o l’Italia del Rinascimento.”
Dopo la fine della Guerra e la caduta di Mussolini “il pendolo è oscillato nell’altra direzione,” spiega Doubt. A sua volta questo risulta spesso in accuse di fascismo rivolte a coloro che difendono la sopravvivenza della lingua italiana.
Alcuni linguisti ignorano completamente l’uso crescente dell’inglese dicendo che le lingue sono in continua evoluzione e che, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, anche il francese si fece spazio nella società italiana.
Eppure, non esistevano né internet né la globalizzazione, per cui il francese non lasciò tracce nella stessa maniera in cui l’inglese sta facendo oggi attraverso i mezzi di comunicazione.
In un articolo, l’organizzazione italiana My English School indica che “le lamentele dei linguisti e dei puristi italiani non servono a nulla: gli anglicismi fanno ormai parte del nostro quotidiano e bisogna conoscerli e saperli usare per bene”.
Eppure non si tratta solo di anglicismi, scrive l’autore Gabriele Valle, si sta trasformando in una lingua parallela– l’“itanglish”. Il problema, afferma Pietro Doubt, è che l’uso di anglicismi è andato ben oltre termini come computer, internet, o software – “è ovunque”. Al punto che, nel 2015, una petizione in rete da parte della pubblicitaria Annamaria Testa invitava i membri del governo, della pubblica amministrazione e dei media a parlare in italiano.
“La lingua italiana è molto amata e studiata nel mondo. Oggi, le parole italiane portano con sé dappertutto lo spirito della nostra terra, la nostra cucina, musica, design, cultura,” scrive Annamaria Testa. La petizione fu lanciata con il motto #dilloinitaliano e ha ricevuto più di 68.000 firme.
In un tentativo di rivendicare l’importanza della lingua italiana, la scorsa settimana la città di Firenze – da cui si ritiene che l’italiano moderno si sia sviluppato – ha inaugurato Mundi, il primo museo nazionale dedicato alla storia e all’evoluzione della lingua italiana.
Racchiusi vi sono documenti del secolo X ritenuti tra gli esemplari scritti più antichi dell’italiano volgare, oltre al “padre” della lingua italiana Dante Alighieri e a Pellegrino Artusi, un amato scrittore gastronomico del secolo XIX.
Sebbene sia un piccolo passo di resistenza verso il cosiddetto tsunami anglicus, come dicono i linguisti, rischia di essere inutile se gli italiani non iniziano a vedere e a considerare la propria lingua come una risorsa culturale.
“Gli italiani sono orgogliosissimi della propria gastronomia, architettura, arte e letteratura,” afferma Pietro Doubt. “Eppure la propria lingua no, è qualcosa che si può gettare via in qualsiasi momento.”
Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete. Fonte: https://campagnapersalvarelitaliano.com/
EDIZIONE STRAORDINARIA TG1 - Strage Via D’Amelio, Palermo (1992 - 2022) | documentario
FABRIZIO MORO - Pensa (2007)
Artista: Fabio Moro
Brano: Pensa
Anno: 2007
lunedì 18 luglio 2022
DRAGHI IL SUO SPORCO LAVORO L'HA FATTO | POLITICA
domenica 17 luglio 2022
AMICI DEL VENTO - Piccolo Attila (2004)
Brano: Piccolo Attila
Anno: 2004
I LEONI ROSSI RUGGISCONO! Comunicato ufficiale del RRL Grotta | ULTRAS
Ne abbiamo sentite e lette di cotte e di crude negli ultimi giorni. Abbiamo aspettato quindi prima qualche giorno per riprendere carta e penna per poter fare un’analisi chiara e razionale e per mettere a conoscenza chi ci legge di quanto accaduto da 2 anni a questa parte. Il giorno 24 settembre 2020 la Polisportiva Grotta tramite il proprio profilo facebook comunicava che a seguito di numerose positività al Covid in rosa e senza il contributo di volontari e supporter tecnici, era impossibile poter prendere parte al campionato che sarebbe iniziato da lì a pochissimi giorni. Si è, quindi, subito materializzato il rischio concreto e imminente di radiazione in quanto come da regolamento, se una squadra di calcio per 3 partite in una stagione e nella stessa competizione rinuncia a partecipare, per la stessa viene comminata la radiazione da tutti i campionati, con conseguente perdita del titolo sportivo.
E’ stato in quel momento che ci siamo attivati e abbiamo messo in moto la macchina per cercare di salvare il possibile. Dopo un incontro con la proprietà e nello specifico con Mauro Piccolo, che ci ha confermato la propria volontà di non voler più continuare ma allo stesso tempo ha manifestato di essere disponibile a consegnare il titolo della squadra a € zero a chiunque avesse voluto fare calcio a Grottaminarda, abbiamo allargato il cerchio e messo a conoscenza le Istituzioni e la cittadinanza di quanto stesse accadendo.
Dopo qualche giorno, in un incontro tra il Direttivo del nostro gruppo, la dirigenza della Polisportiva Grotta e l’Amministrazione Comunale, fu consegnato da Mauro Piccolo e Christian Ianniciello formalmente e allo stesso tempo ufficialmente, il titolo sportivo nelle mani dell’allora Sindaco Cobino, mettendolo gratuitamente a disposizione della comunità TUTTA. A seguito di questo, il giorno 9 ottobre 2020 l’Amministrazione Comunale con in prima linea il delegato allo sport Rocco De Luca, lanciava un appello tramite la pagina Facebook del COMUNE DI GROTTAMINARDA a sostenere la squadra e programmava un incontro PUBBLICO per il giorno sabato 10 ottobre 2020 presso la sala Thomas Meninno, dove venivano invitati a partecipare imprenditori, esercenti e cittadini che avessero voluto dare una mano a portare avanti la squadra.
A quella riunione oltre alla nostra rappresentanza, a quella di un esponente della Figc, a quella dell’Amministrazione Comunale, a quella della società rappresentata in quel caso da Mauro Piccolo, si aggiunse solo la figura di Michele Bruno che manifestò la disponibilità di persone appartenenti al mondo del calcio disposti a venire da fuori per poter subentrare. Fu in quel momento grazie alla sua figura, facendo da tramite, che le parti si misero in contatto. Il tempo intanto scorreva ed erano ormai già due partite che il Grotta non scendeva in campo. Lo spettro radiazione era ormai vicinissimo. Un’altra sola rinuncia e sarebbe tutto finito.
C’era da presentarsi sui campi e ormai giustamente i calciatori presi ad inizio campionato si erano svincolati per sistemarsi altrove. Abbiamo proposto in quel momento di tesserare anche qualche volontario del nostro gruppo per prendere tempo e per presentarsi sui campi ed evitare la terza rinuncia. Abbiamo partecipato ad un’ulteriore riunione dove oltre a noi erano presenti la società del Grotta e la società che aveva manifestato interesse. Abbiamo avanzato in quel caso la richiesta di mettere all’atto del passaggio del titolo, una clausola che avrebbe previsto la possibilità di fare la squadra solo a Grotta e che non avrebbero potuto portare il titolo fuori.
Quando sembrava ormai fatta, per il passaggio alle persone interessate che in quel momento erano alla guida anche di una squadra pugliese di D, è arrivata la fumata nera ed è saltato tutto. Era l’ultimo fine settimana prima della RADIAZIONE certa e nessun altro imprenditore, appassionato o nessun gruppo di persone interessate si era fatto avanti.
A due giorni dalla terza e ultima rinuncia possibile, nel caos generale del momento storico, nel dramma dell’ondata di covid che stava mettendo in ginocchio la nazione e di conseguenza anche il calcio, arriva la decisione e comunicazione della FIGC di sospendere tutti i campionati dilettantistici. ERAVAMO SALVI, ma sapevamo che il conto sarebbe arrivato in seguito. Il problema non era risolto ma solo rimandato.
Nel mese di marzo 2021 la LND comunica la ripresa dei campionati dando facoltà alle società di partecipare. Il nuovo format necessario per poter determinare soprattutto la designazione delle compagini che avrebbero dovuto prendere parte alle categorie superiori, non prevedeva retrocessioni ne tantomeno radiazioni per chi non avesse aderito alla ripartenza di quella competizione. Il giorno 16 marzo 2021 la POLISPORTIVA GROTTA comunicava tramite il proprio canale facebook di non aderire alla ripartenza dei campionati mettendo fine ad una delle stagioni più tormentate degli ultimi 20 anni.
Stagione 2021/2022: il Grotta si presenta ai nastri di partenza del campionato come una delle squadre da tenere d’occhio per le primissime posizioni di classifica. Intanto nella società sono rientrate anche altre 2 figure già presenti negli anni passati. A termine di una stagione strana, caratterizzata da un nuovo format, tra mille difficoltà, solo per lo scellerato regolamento adottato per l’occasione, la squadra non accede ai playoff nonostante un ottimo quarto posto che sia negli anni precedenti che negli anni che verranno avrebbe garantito l’accesso alla post-season. Dopo un accurato riepilogo di quello che è successo prima delle ultime vicende note è ora di arrivare al sodo. Tutti sapevano che il conto prima o poi sarebbe arrivato.
A differenza del 2020 però, la richiesta di risorse da parte della società, non necessariamente economiche, è arrivata con largo anticipo (21 giugno). Ci sarebbe stato tutto il tempo per organizzarsi se invece di fare la guerra dei poveri si pensava a salvaguardare LA POLISPORTIVA GROTTA, se solo quest’ultima fosse stata intesa come PATRIMONIO DELLA CITTA’.
Per quanto riguarda MAURO PICCOLO abbiamo già provveduto a ringraziarlo per quanto fatto negli anni, avendo riportato il GROTTA nell’élite del calcio regionale dopo un’assenza di 20 anni, ma non condivideremo mai la cessione del titolo. Ha tirato avanti la carretta per altri due anni nonostante avesse manifestato più volte l’impossibilità a continuare da solo. Molto probabilmente come successo 2 anni fa sarebbe andata allo stesso modo, portando la storia per le lunghe, e che tutti come sempre avrebbero sperato in un ripensamento per ripartire con una nuova stagione.
Così purtroppo non è stato e se pur ti sia trovato solo non appoggeremo mai la tua decisione finale. Approfittiamo per ricordare che in società c’erano altre persone che avrebbero potuto portare avanti il progetto. Nel 2020 quando vi furono analoghe difficoltà ci dissero che i tempi erano brevi, ora eravamo a giugno.
Che fine avete fatto? Per quanto riguarda la nuova Amministrazione Comunale è giusto esprimere delle domande alle quali qualsiasi tifoso e sportivo crediamo meriti delle risposte. Riteniamo che l’Amministrazione Comunale si sia COMPLETAMENTE DISINTERESSATA della situazione mettendo un muro subito nel comunicato pubblicato il 23 giugno. Era vostro DOVERE provare a salvare, cercare di convenire tra le parti, cercare tramite un pubblico appello di sensibilizzare la cittadinanza tutta a trovare una soluzione al fine di cercare di salvare il titolo sportivo.
E’ chiaro ed evidente che l’amministrazione non avrebbe potuto apportare capitali pubblici a sostegno della squadra, non era quello che dovevate fare. Il vostro impegno sarebbe dovuto essere quello di sensibilizzare la cittadinanza. NON CI AVETE NEMMENO PROVATO. Negli articoli degli ultimi giorni il neo Sindaco Spera parla di imprenditori che avete contattato;
Possiamo sapere chi sono? Il delegato allo sport Spinapolice ha parlato di ripartire dal basso; Lu ciucc lu tnemm p la cap, lu vulimm piglià p la cor? Vi ricordiamo che dopo anni di buio totale, eravamo già ripartiti dalla seconda categoria, circa 10 anni fa, scalando classifiche e categorie, difendendo sui campi della Campania calcistica orgogliosamente i colori giallorossi e il nome di Grottaminarda.
La POLISPORTIVA GROTTA è stata molto più di una squadra di calcio: Era aggregazione sociale, appartenenza, riscatto, orgoglio!
TUTTO QUESTO A MOLTI FORSE NON INTERESSAVA!
Chiudiamo ricordando a tutti che il nostro è stato e sarà sempre un gruppo APOLITICO, APARTITICO, AUTOFINANZIATO, INDIPENDENTE, LIBERO.
NULLA DOBBIAMO A QUALCUNO E NULLA CI DEVE NESSUNO.
SEMPRE FORZA GROTTA!
CI AVETE ROTTO IL CALCIO!
Riflessioni
Bisogna difendere a spada tratta lo sport dilettantistico, ultimo baluardo per la socializzazione e la difesa del territorio. In Valle Caudina la situazione è molto difficile. Per ora l'Audax Cervinara 1935, Pannarano e Real San Martino sono pronte a scendere in campo, mentre il Montesarchio 1950 ha consegnato il titolo al Sindaco, ed il Paolisi 992 è praticamente scomparso dalla scena calcistica, lasciando spazio al Paolisi 2000. Lo Schiaffo 321 Vi terrà aggiornati e dedicherà più attenzione al mondo del tifo organizzato. Al momento ci stringiamo alla Grottaminarda Ultras, una realtà che merita rispetto per stile, mentalità e praticità.
Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo
sabato 16 luglio 2022
Il Movimento Sociale Irpino ricorda Antonio Ammaturo trucidato quarant'anni fa (1982-2022) | POLITICA
Comunicato Stampa
40° anniversario dell’assassinio del dott. Antonio Ammaturo capo della Squadra Mobile, trucidato in piazza Nicola Amore a Napoli nel 1982 dalle Brigate Rosse insieme all’agente Pasquale Paola – Per non dimenticare!.
Il dott. Antonio Ammaturo nato a CONTRADA (AV) 11 luglio 1925 – Napoli,15 luglio 1982, funzionario integerrimo (vice questore) della Polizia di Stato era un leale servitore della Stato, innamorato, del suo lavoro e del suo PAESE che era la sua radice dalla quale non si staccò mai nonostante era costretto e portato in giro per la penisola dove si era distinto in ogni Questura per la sua dedizione al lavoro e per l’alto senso civico. Il dott. Ammaturo dopo essersi laureato in legge, vinse un concorso per entrare nella magistratura italiana, ma tuttavia i suoi interessi erano orientati alla Polizia di Stato. Ad Ottaviano arresta Roberto Cutolo, il figlio del boss della camorra Raffaele Cutolo e tramite la stampa attacca lo stesso Raffaele Cutolo.
Il 15 luglio 1982, in piena estate napoletana, in piazza Nicola Amore a Napoli, un feroce commando di Brigate Rosse, senza alcuna minima pietà, trucida il Questore Ammaturo, uomo dal forte ed elevato senso del dovere e di attaccamento allo Stato Italiano. Insieme a lui, un'altra vittima del dovere alla Patria, l’agente Pasquale Paola, il cade barbaramente sotto i colpi di quella ferocia criminale della camorra in combutta con le brigate rosse, “rosse di sangue” innocente.
È assurdo che persone così debbano perdere la vita, dopo essersi prodigati tanto per salvare quella degli altri. Certe cose non dovrebbero mai essere dimenticate. Li dobbiamo doverosamente ricordare non solo per onorarne la memoria, ma anche per provare a costruire una comunità migliore.
Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete. Fonte: Movimento Sociale Fiamma Tricolore Federazione Irpinia
venerdì 15 luglio 2022
ALTRO CHE CINGHIALI #goliardia
Il balletto del potere costituito | POLITICA
L'impressione rispetto al balletto istituzionale di ieri è straniante.
Quel che resta del M5S, dopo aver visto gli ultimi sondaggi, è stato attraversato da un piccolissimo sospetto e si è immaginato a breve in compagnia degli stegosauri, nella compagine degli organismi estinti.
Così hanno deciso di inscenare un finto rabbuffo al presidente del consiglio. Dopo aver firmato, controfirmato e annuito entusiasti per mesi alla qualunque, dal green pass all'invio di armi nel nome della russofobia, hanno deciso di botto di fare la faccetta corrucciata al premier. La speranza era che gli italiani, complici magari le vacanze e il caldo, cancellino dalla memoria l'organicità del M5S al peggior governo di sempre e gli riconcedano pian piano una nuova verginità da "combattenti del popolo", giusto il tempo che serve per arrivare alle prossime elezioni.
Però, sia chiaro, il rabbuffo doveva essere rigorosamente finto, giusto per consentire ai pennivendoli di riempire qualche prima pagina di preoccupazioni pacchiane ("Après Mario le déluge!"). Infatti non hanno votato contro, ma hanno semplicemente voluto segnalare con l'astensione il proprio scontento.
Con loro grande sorpresa Draghi ha colto la palla al balzo ed è salito immediatamente al colle. Già, perché il viceré della Nato in Italia tutto è meno che uno stupido, e capisce benissimo che, dopo aver massacrato il paese e averlo condotto - per obbedienza ad ordini superiori - alla catastrofe industriale incombente, in autunno corre il rischio di venir inseguito con i forconi fin dentro il tinello, e non vede l'ora di lasciare il cerino in mano a qualche utile idiota, che traghetti il paese ad elezioni, meglio ancora se anticipate
Solo che a questo punto, inopinatamente, Mattarella ha ricordato al premier che stava scappando senza neanche essere stato sfiduciato, e che doveva tornare in Transatlatico "("Salga a bordo, cazzo!!")
Morale della favola: dopo aver devastato il devastabile che neanche le cavallette ora siamo alla grande fuga alla ricerca di verginità improbabili o almeno di un buen retiro fuori dai riflettori ("Che se la vedano loro 'sti mentecatti, io c'ho da nutrire gli alani").
Intanto il paese cigola e geme sugli scogli come la Costa Concordia, in attesa di venir fatto a pezzi e rimosso dall'orizzonte, per riutilizzo come materia prima altrui.
Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete. Fonte: ariannaeditrice.it/articoli/il-balletto-del-potere-costituito
NON NOBIS DOMINE - Ultima Volontà (2000)
Brano: Ultima Volontà
Anno: 2000
I DALTON - I Dalton non cambieranno! #8
giovedì 14 luglio 2022
IL NUOVO PUPONE DI ILARIA BLASI #goliardia
BRIGANTI? CRIMINALI COMUNI ED EFFERATI. L’operato delinquenziale di singoli briganti o bande brigantesche (anche in Valle Caudina) | CULTURA
Il Brigantaggio è un fenomeno fin troppo complesso e articolato da poter essere inquadrato o liquidato sulle reti sociali digitali o nelle discussioni da bar. Solo lo studio e l'approfondimento, senza paraocchi, permette una crescita culturale reale e non falsata da qualsivoglia schieramento intellettuale o pseudo tale.
Alla luce di ciò, pubblichiamo per le lettrici ed i lettori de Lo Schiaffo 321 questo punto di vista che circola insistentemente sui gruppi "AntiBorbonici". Sarebbe interessante una risposta argomentata dei Borbonici 2.0 per analizzare un aspetto della nostra Terra dimenticato.
BRIGANTI? CRIMINALI COMUNI ED EFFERATI
È ampiamente noto e provato che la schiacciante maggioranza dei briganti e dei loro capi altro non erano che criminali comuni. Attivi nel Mezzogiorno da secoli e secoli e secoli, ininterrottamente ed in gran numero, le bande brigantesche devastarono le popolazioni quanto le carestie e le epidemie.
L’entità dei crimini compiuti ad opera di questi delinquenti rimane ad oggi ancora ignota nelle sue precise dimensioni quantitative. Giusto per dare un’idea delle sue possibili proporzioni si può ricordare la stima che uno studio del brigantaggio, Adolfo Perrone (“Il brigantaggio e l’Unità d’Italia” Milano-Varese 1963, p. 266) riporta di circa 5 o 6 mila civili assassinati dai briganti soltanto negli anni dopo l’Unità. Si tratta d’un totale che sostanzialmente equivale a quello proposto da Franco Molfese, senz’altro il massimo studioso del brigantaggio postunitario, per il totale di briganti abbattuti o giustiziati dall’esercito e dalla guardia nazionale nel corso della repressione del fenomeno dal 1861 al 1865. È superfluo precisare che mentre quelle dei briganti erano vittime innocenti, i briganti stessi erano armati dediti a delinquere.
La somma di civili assassinati suggerita dal Perrone, anche se fosse esatta, non terrebbe conto comunque dei ferimenti, dei rapimenti, delle violenze carnali, degli incendi e di tutti gli altri reati compiuti da questi criminali, per non parlare poi dei militari uccisi dai briganti stessi.
Quando si valutano queste cifre si ricordi che il brigantaggio fu massicciamente presente in tutto il Meridione quantomeno dal secolo XIV. Un esame esaustivo dei crimini perpetrati dai briganti richiederebbe un lavoro di molti anni compiuto da un’intera squadra di studiosi, poiché bisognerebbe esaminare una documentazione sterminata e per di più sparpagliata in una quantità d’archivi differenti e fonti d’altra natura ancora.
In attesa che un tale meritevole studio sia realizzato, è comunque agevole offrire una rapida sintesi dell’operato delinquenziale di singoli briganti o bande brigantesche, in modo da fornirne un campione ridotto, che, sebbene non possa sostituire un’analisi statistica approfondita, pure può avere carattere esemplificativo.
Il capobanda Michele Caruso, amico di Crocco, era uno psicopatico ed un sadico, che si divertiva ad uccidere uomini, donne ed animali per puro sadismo. era dedito ad uccisioni del tutto ingiustificate e compiute per puro gusto d’uccidere. Furono innumerevoli i suoi assassini perpetrati senza alcuna apparente motivazione, come colto da attacchi di follia omicida. Un esempio è il seguente:
“12 marzo 1863 Lungo la via che conduce a Montuoro fu incontrato dalla banda Caruso, Luigi Bianco di Ururi. Caruso, nel vederlo gli disse: Dove vai? e l'altro di rimando; Mi reco in campagna. È meglio che resti qui, caso contrario questo tempaccio ti apporterebbe danno alla salute, e, senza dir altro, lo rese cadavere con un colpo di pistola. Eppure nessun animale uccide pel gusto di uccidere, come faceva Michele Caruso.” [Abele De Blasio, "Il Brigante Michele Caruso Ricerche di Abele De Blasio", Stab. Tipografico, Napoli, 1910].
Un altro caso emblematico, fra i molti, delle sue azioni avvenne nell’ottobre del 1863, quando questo capobrigante si recò con la sua amante Filomena Ciccaglione (una donna che era stata da lui rapita dopo che il delinquente aveva assassinato il padre) nell’abitazione di un suo “compare” in Puglia.
Il “comparaggio” era all’epoca in Italia meridionale un legame molto forte e sentito. Il “compare” accolse amichevolmente Caruso, lo ospitò nella sua abitazione e gli offrì un pranzo. Terminato di mangiare, Michele Caruso, senza alcun motivo apparente, assassinò il “compare” e massacrò anche tutta la sua famiglia. Terminata la strage, il brigante fece letteralmente a pezzi il corpo del “compare” e lo buttò dentro ad una caldaia d’acqua bollente, così lessandolo. Durante il processo, questo Caruso, analfabeta, dichiarò ad uno dei giudici quale fosse la sua filosofia di vita:
“Ih! Signurì, se avesse saputo legge e scrive, avrìa distrutto il genere umano”.
Questa sua celebre affermazione, esaminata fra gli altri anche dall’importante storico del brigantaggio Franco Molfese come una delle espressioni più tipiche della mentalità brigantesca, s’intona perfettamente con le azioni da egli compiute, che apparivano ispirate sovente ad un puro e semplice gusto d’uccidere e distruggere per il diletto di farlo, su di uno sfondo d’odio per il mondo intero nella sua totalità.
Sin dall’infanzia Caruso si dedicata a torturare ed uccidere animali e proseguì in età adulta a fare lo stesso sia con esseri umani, sia con bestie. Questo brigante era inoltre preso da odio particolare per le donne incinte, che rapiva ed uccideva proprio perché gravide.
Uno dei principali capimassa sanfedisti fu il famigerato Donato De Donatis, il maggiore alleato del capobanda Giuseppe Costantini, detto Sciabolone. Donato De Donatis nacque nel 1761 a Fioli, frazione di Rocca Santa Maria, da Gregorio e Annantonia Bilanzola di Acquaratola e fu avviato al sacerdozio dai familiari. Sebbene fosse stato consacrato sacerdote, egli colse l’occasione offertagli dai disordini del 1799 per costituire una banda di briganti che si dedicava a saccheggi, accompagnati sovente da stupri ed assassini.
Curiosamente questa comitiva di delinquenti era capeggiata da tre sacerdoti, il capobanda don Donato De Donatis appunto, assieme a don Carlo Emidio Cocchi ed a don Donato Naticchia. Era presente anche un ex frate, di nome Vincenzo Benignetti, originario di Camerino, che aveva praticamente le funzioni di giullare nella banda ed era un pregiudicato diverse volte incarcerato perché colpevole di truffe e furti.
De Donatis era in teoria un ecclesiastico, ma il suo comportamento era decisamente contrario alle norme morali cattoliche, giacché, oltre agli atti briganteschi in senso proprio, era anche un bestemmiatore ed aveva un’amante francese fissa. De Donatis era però bisessuale e pedofilo e si dedicava a violentare i ragazzini.
Il già citato Michele Caruso era anche un maniaco sessuale, colpevole di moltissimi stupri. Anna Belmonte, contadina di bell’aspetto, il 19 settembre 1862 nella masseria di suo padre subì una rapina da parte di tre briganti della banda Caruso, che saccheggiarono l’abitazione, prima d’andarsene. Costei, fortemente spaventata, andò a rifugiarsi nell’abitazione d’un vicino di casa, tale Saverio Carbone, nella quale però si trovava Caruso, che dopo averla picchiata la violentò davanti alla stessa moglie di Carbone.
Dopo lo stupro di Anna Belmonte, Caruso se ne andò e s’imbatté poco più tardi, in vicinanza della masseria S. Auditorio, in una ragazza adolescente. Il capobrigante ordinò a suoi tre briganti di violentarla, il che avvenne davanti alla banda e sodomizzando la giovane. Si noti il particolare che Caruso in questa circostanza non violentò personalmente questa donna, avendone appena stuprata un’altra, ma ordinò ai suoi uomini di farlo:
egli non fu mosso quindi dalla volontà di cercare soddisfazione sessuale, ma dal gusto di fare del male. Beninteso, questi sono soltanto alcuni dei casi di stupro compiuti da Caruso o dalla sua banda: ad esempio, nei pressi di Morcone in contrada Cuffiano, una ragazza adolescente fu violentata sino alla morte da quasi tutti i componenti della banda, come attestò in seguito il medico legale.
La banda brigantesca di Michele Caruso, recandosi nel paese di S. Angelo dei Lombardi, s’imbatté in località Bisaccia in quindici donne impegnate nel lavoro nei campi, che furono sequestrate e violentate a turno: due adolescenti finirono col morire in conseguenza della violenze subite.
Ma gli stupri compiuti dai briganti furono in numero incalcolabile e perpetrati da bande ovunque. agissero Ad esempio, sei briganti il 28 giugno 1861 stupravano sotto la minaccia delle armi Maria Michela Rao nel paese di Pratella. Il 30 giugno 1861 vicino ad Isernia, in contrada Pietra Bonata, una banda di briganti violentava a turno Maria Giuseppa Placento. Il 14 febbraio 1866 quattro briganti della banda Ciccone faceva irruzione nel piccolo villaggio di Campozillone e rapiva Antonia de Luca, che era parente di uno dei delinquenti, tale Benedetto de Luca. I briganti dopo aver sequestrato la giovane la portavano in un bosco e la violentavano a turno e per diversi giorni.
Crocco medesimo durante il processo del 1872 a Potenza alla domanda che riguardava gli stupri compiuti rispose in termini sì vaghi e reticenti, ma di sostanziale ammissione, paragonandosi al beccafico, ossia ad un uccello che becca quando e dove vuole, con una chiara metafora sessuale.
Sono provati inoltre i rapporti fra briganti ed organizzazioni criminali di tipo mafioso La mafia siciliana nel suo sviluppo a cavallo fra Settecento ed Ottocento attinse alla natura feudale della società e delle istituzioni borboniche. Difatti, sia le milizie private dei latifondisti, sia i reparti di polizia erano reclutati, già nel Settecento siciliano, fra i criminali:
"Noi sappiamo però che i campieri, non diversamente dai militi a cavallo e dalle guardie municipali che dovrebbero conservare l'ordine tra le campagne, vengono usualmente tra ex-banditi in grado di intimorire i malintenzionati (abigeatori, taglieggiatori, ladri di passo) con i loro stessi argomenti, ovvero all'occorrenza accordarsi con essi nella logica del buon vicinato [...]; gli uni e gli altri vengono usualmente chiamati mafiosi dai contemporanei" [SALVATORE LUPO, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Roma 1993, pp. 4-5].
Ancora ai tempi del “prefetto di ferro” Cesare Mori, che intervenne con durezza contro la mafia per ordine di Mussolini, i briganti erano collusi con i mafiosi.
Spostandosi in Campania, le bande brigantesche attive nei dintorni di Napoli erano legate alla camorra. Il più famoso brigante del Napoletano, Antonio Cozzolino detto Pilone, era notoriamente in affari con i camorristi e si dedicava alle loro stesse attività, dal contrabbando all’estorsione. Ma anche altri capibanda dei pressi di Napoli furono camorristi od amici dei camorristi.
Due “famiglie” di camorristi attivi negli anni ’50-’60 del secolo XIX, i Maiello di Somma ed i Pipolo di Pomigliano, praticavano assieme attività strettamente “camorristiche” con altre di tipo brigantesco. Ma lo stesso era accaduto negli anni ’40-’50 dello stesso secolo, sotto Ferdinando II di Borbone, con le “famiglie” camorristiche dei Monda e dei Sarno, che spadroneggiavano nella zona di Somma, Nola, Marigliano ecc. Contrabbando, estorsione e controllo mafioso dei mercati, corruzione, ingerenze negli appalti criminali erano le attività comuni di questi camorristi/briganti.
Uno dei più famigerati capi camorristici dell’Ottocento, Aniello Ausiello detto “re della zumpata”, vendeva armi ai briganti e diventò infine brigante egli stesso. Etc. etc. etc.
I capibanda stessi riconoscevano per iscritto (se e quando sapevano leggere e scrivere, ciò che avveniva di rado) che i loro uomini erano delinquenti. Al momento dell’arresto, l’ufficiale spagnolo J. Borjes, spedito da Francesco II nel Mezzogiorno per “guidare” i briganti, ammise che si stava recando dal Borbone a Roma per dirgli che questi non aveva altro che “miserabili e scellerati” dalla sua parte, che Crocco era un criminale della peggior specie e Langlois un bruto:
«J’allais dire au roi Francois II qu’il n’y a que des miserables et des scelerats pour la defendre que Crocco est un sacripant et Langlois un brute».
Borjes nel suo diario privato esprimeva quindi giudizi durissimi su Carmine Crocco, che così riassume lo storico Aldo Albònico nel suo studio:
«Lo spagnolo rimproverava al brigante di essere: il maggiore ladro da lui mai conosciuto; un vigliacco che faceva sostenere agli spagnoli le azioni più pericolose e non si azzardava ad uscire dal territorio conosciuto; un meschino timoroso di perdere il denaro accumulato con le ruberie; un presuntuoso, preoccupato di perdere parte della propria autorità in caso venisse data alla lotta un’organizzazione davvero militare». [A. ALBÒNICO, La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia, Milano 1979, p. 72].
Lo stesso scriveva Pasquale Romano detto “sergente Romano” dei suoi briganti:
«Ma siccome in questi esistea il solo sentimento di Rubbare e non mai quello di farsi onore di eguaglianza al mio, incominciavano ad agitarsi contro di me, permettendosi dire fra di lori stessi, noi siamo uscito in campagna e siamo chiamati Ladri e dobbiamo Rubbare e se il nostro Capo non fa come diciami, mala morte farà oppure resterà solo».
Il passo, pur sgrammaticato, è chiaro: i banditi capeggiati da Romano volevano darsi al furto ed erano disposti ad uccidere il loro capo, qualora avesse cercato d’impedirglielo.
I briganti non rifuggivano dall’ammazzarsi l’un l’altro, in vendette o “regolamenti di conti” fra bande rivali. Nel 1799 la banda dei briganti Fontana liquidò fisicamente quella dei briganti Rondinoni. Un paio di briganti furono seppelliti vivi nella fossa comune nella cattedrale di Teramo, rinchiudendoli assieme a tutti gli altri corpi e lasciandoli perire in questo modo, per asfissia o putrefazione. Un altro finì decapitato e la sua testa fu presa a calci dai Fontana.
Tra gli accoliti del “sergente Romano”, due briganti chiamati Elia e De Martini uccisero un altro bandito, tale Francesco Monaco di Ceglie Messapica. Il brigante Monaco aveva rapito una contadina, Rosa Martinelli, costringendola a diventare la sua schiava sessuale ed ad unirsi alla banda. Gli altri due briganti lo fecero fuori perché volevano sostituirsi a lui nel “possesso” della contadina sequestrata.
Due mercenari stranieri al servizio di Francesco II nel suo soggiorno romano, Tristany e Zimmermann, fecero fucilare il brigante Chiavone ed alcuni suoi banditi il 28 giugno 1862 nella località detta valle dell’Inferno. Tristany e Zimmermann erano fra i mercenari di cui il Borbone in esilio si serviva per cercare di attizzare il brigantaggio nel Meridione. La morte del brigante Chiavone fu seguita da altri “regolamenti di conti” fra i membri della sua banda, accompagnati da torture. Un brigante fu ammazzato dai suoi complici venendo appeso a testa in giù dal ramo di un albero e lasciato morire in questo modo. [A. ALBÒNICO, La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia, Milano 1979]
Non pochi briganti furono dei veri e propri antropofagi, che mangiavano carne umana. Il caso più famoso è quello di Gaetano Mammone, il cui cannibalismo è attestato da molte fonti, incluse quelle di parte borbonica. Ma molti altri briganti mangiarono carne umana, come i componenti della banda La Gala che sequestrarono, torturano ed infine divorarono un loro ex complice (in Val Caudina).
Non di rado i briganti assassinavano anche i bambini. Ad esempio, la banda di Michele Caruso massacrò il 7 settembre 1863, nella località di Cancinuto di Castelvetere Val Fortore, diciotto persone, fra cui anche bambini. Un altro noto brigante, Francesco Mozzato soprannominato “Bizzarro”, ammazzò brutalmente il proprio figlio da poco nato. Nel corso d’un violento tumulto brigantesco nella città di Gioia del 28 luglio 1861 avvennero diversi assassini, fra cui quello di un bambino d’otto anni, ammazzato a colpi d’ascia perché “colpevole” d’aver detto che voleva Vittorio Emanuele II per re.
La quantità di delitti compiuti dai briganti è tale da impedire che siano anche solo riassunti in breve, poiché sono stati certamente nell’ordine delle decine e decine di migliaia. Un noto studioso del brigantaggio, Basilide Del Zio (“Melfi e le agitazioni nel melfese. Il brigantaggio”, Melfi 1905), indica con molta precisione che, nel solo territorio di Melfi e nel solo 1863 (quindi in un luogo ed un periodo di tempo molto limitati), avvennero 175 assassini, 130 ferimenti e mutilazioni, 81 stupri, 800 fra furti e rapine, 200 incendi dolosi, 350 ricatti ad opera delle bande. Questo era avvenuto soltanto nel 1863 e soltanto nel Melfese. Quanti sono stati allora i delitti dei briganti, che imperversarono per secoli e secoli ed in tutto il Mezzogiorno.
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