Solstizio d’estate
In uno degli scritti più pregnanti dell’intera opera di René Guénon, il metafisico di Blois scriveva:
«Per quanto l’estate sia in genere considerata una stagione gioiosa e l’inverno una stagione triste, per il fatto stesso che la prima rappresenta in certo modo il trionfo della luce e il secondo quello dell’oscurità, i due solstizi corrispondenti hanno nondimeno, in realtà, un carattere esattamente opposto […]. Infatti, ciò che ha raggiunto il suo massimo può ormai solo decrescere, e ciò che è giunto al suo minimo può invece solo cominciare a crescere»(A proposito dei due San Giovanni, in Simboli della Scienza Sacra).
Il paradosso è solo apparente: nel trionfo della luce che caratterizza il giorno del solstizio d’estate (astronomicamente il sole si trova nella sua massima declinazione positiva rispetto all’equatore celeste) già si preannuncia il lento declino; e mentre la calda stagione d’estate fa il suo corso l’autunno si approssima, facendo dapprima ingiallire le foglie, per terminare nella gelida morte invernale.
Il clima segue invece un ritmo sfasato: le temperature più calde dell’anno giungeranno dopo il solstizio estivo, per via dell’inerzia termica: anche per questo non tutti si avvedono pienamente della “crisi” che caratterizza il periodo solstiziale.
Ben diversamente la rotazione ciclica era percepita nel mondo antico. In corrispondenza dei due solstizi si situano presso molte civiltà le feste “cruciali” del corso annuale, quelle nelle quali si aprono le porte che mettono in comunicazione con l’altro mondo. Accadono così eventi mirabili, straordinari prodigi, incontri meravigliosi e pericolosi, come avviene nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare.
Il cristianesimo, che in larga misura appoggiò il suo calendario di festività su sensibilità arcaiche, ha situato non a caso le due feste di San Giovanni in prossimità dei due solstizi: esse hanno mantenuto alcune caratteristiche comuni, che segnano l’intima connessione che la vita ha con la morte, il sacerdozio con la regalità, così come il legame tra gli dei e gli uomini.
«Nella religione greca antica», rilevava Alfredo Cattabiani, «i due solstizi erano chiamati “porte”: “porta degli dei” l’invernale, “porta degli uomini” l’estivo». È in particolare il fuoco a distinguere i due San Giovanni: da una parte vi sono i fuochi invernali, i ceppi nel camino, persino quelli pirotecnici del capodanno; dall’altra le ampie ruote infuocate che vengono fatte rotolare dalle colline, i grandi falò notturni, le processioni con torce o candele.
Paolo Giardelli, autore di un ottimo studio sulle festività legate al ciclo dell’anno in Liguria, ha scritto che «la Chiesa considerò a lungo questi fuochi mere sopravvivenze del paganesimo. Visto l’insuccesso delle reiterate condanne promulgate dai concilî e dai sinodi, la gerarchia ecclesiastica ricorse alla sperimentata tecnica dell’“accomodamento”, in modo da rendere i falò simbolicamente ortodossi». Così, chi ancora oggi si riunisce davanti ai sacri fuochi del solstizio rinnova il gesto degli avi, omaggiando lo splendore del sole vittorioso sulle tenebre. (Centro Studi La Runa)
Scritto da Alberto Lombardo
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