domenica 5 giugno 2022

Alle radici del brigantaggio - Monte Taburno base dei reazionari (Parte 1) | CULTURA


 Alle radici del brigantaggio

Monte Taburno base dei reazionari Cipriano La Gala

Il monte Taburno, è stato il protagonista di gran parte delle azioni dei briganti (1860-1870). Situato  nella catena degli Appennini, è ricco di caverne e dalle quale, forse, ne deriva il nome: (Taburno- monte delle Taberne); queste cavità offrivano facili ricoveri e sicuri nascondigli ai rivoltosi (almeno dieci bande). 

Publio Virgilio Marone

Il Taburno è un monte famoso, ne celebrarono la bellezza, i poeti dell'antichità come Virgilio, che l'ammirò passando dalla via Appia diretto a Brindisi con Orazio, Mecenate, Varo, e altri studiosi.

Publio Virgilio Marone, massimo poeta del mondo latino, esperto della cultura agreste, durante il viaggio per Brindisi, in compagnia di Orazio, fu colpito dalla flora e dalla fauna della Valle Caudina. Al verso 38 del II libro delle Georgiche, menziona il Taburno e lo indica adatto alla coltura degli ulivi: “e rivestire il grande Taburno con uliveti”.

Carlo III di Borbone

      Carlo III di Borbone (1), ne aveva fatto un deposito estivo dei cavalli stalloni dell'esercito.

Tra la fine del 1860 e l'inizio del 1861, il Taburno diventò una montagna strategica per le comunicazioni tra la Campania, le Puglie e la Basilicata. Ottima base per la guerriglia delle tante bande filo borboniche. Da questo monte, i rivoltosi partivano per impedire le comunicazioni dell'esercito piemontese tra il Tirreno e l'Adriatico.

      La fitta abetaia e il terreno accidentato e le caverne, erano preziosi alleati per l'occultamento di uomini e cavalli e per organizzare imboscate contro il nemico. Per farne il suo quartiere generale, scelse questa montagna, il capo massa Cipriano La Gala. Aveva ai suoi ordini una banda di ben trecento uomini (qualche altra fonte parla di cinquecento uomini) organizzati in commandos di non più di dieci persone. Questi gruppi organizzavano continue sortite contro i territori di Cancello, Nola, Caserta, Limatola, Durazzano, Arpaia, Sant'Agata dei Goti, Cervinara.

     Per il ritorno di Francesco II sul trono di Napoli, La Gala arruolava gli uomini pagandoli con il denaro del comitato centrale borbonico di Napoli. Quando finirono le sovvenzioni, La Gala fu costretto a provvedere da sé. Ricorse al sistema delle estorsione di denaro ai liberali e ai possidenti, non risparmiando i preti.(2)

Monte Taburno

      Le bande, vere e proprie strutture politico-militari, avevano come scopo il combattimento. Esse erano sempre guidate da un capo, da cui venivano pagati. Il capo si distingueva tra gli altri per abilità, energia e coraggio e andava all'attacco sempre davanti agi altri.  La Gala poteva contare oltre che sulla sua banda anche su un migliaio di affiliati che si riunivano e si allontanavano secondo la necessità o fornivano ai briganti denaro e viveri.

       Di solito ogni banda si procurava le armi con colpi di mano contro i corpi della guardia nazionale o negli scontri con i Piemontesi, ma in generale erano armati di fucile da caccia tipico dei contadini. Qualche volta La Gala, a corto di armi poté contare sulla solidarietà popolare e anche sulla collaborazione di militi come fu il caso di Francesco Frecentese e Nicola Pinta, militi della Guardia Nazionale di Palma. Questi furono espulsi dalla milizia perché, in un giro di perlustrazione, si erano allontanati dai commilitoni raggiungendo gli uomini di Cipriano per poi ritornare completamente disarmati. (3) L'indomani la banda, avendo bisogno di altre armi, occupò Cervino e Durazzano requisendo i fucili dai locali posti di Guardia.

 Regno Duosiciliano

       La banda aveva molti centri direttivi provvisti di larga autonomia. I gruppi più piccoli, formati da pochi individui, avevano incarichi minori e non di rado fungevano da avamposti o da fiancheggiatori di bande più grandi quando erano preposte all'invasione di villaggi, contrade o interi paesi.

       Lo studioso Franco Molfese nella sua “storia del brigantaggio dopo l'Unità” scrive che i briganti effettuavano “scariche improvvise sul fianco delle colonne avanzanti e attacco principale da altre direzioni, in località dominanti accuratamente scelte, con vie di ritirata sempre aperte per i boschi o verso monti”. La banda per avere successo nei suoi attacchi e per sfuggire ai soldati, aveva bisogno del supporto di amici fidati “manutengoli”, di spie, di conniventi. Questi erano contadini, pastori, artigiani, parroci e anche guardie civili. Diventò famoso il raggruppamento capeggiato da Angelo Bianco, noto come Turri Turri, che, forte di cinquanta uomini, si lanciò all'assalto di Sirignano.(4)

Cipriano La Gala

        A Visciano, la sera del 24 giugno 1861 duecento uomini guidati di Crescenzo e Cipriano occuparono il paese, suonarono le campane a stormo e inneggiarono a Francesco II distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele e Garibaldi. Nello stesso giorno, la banda invase pure Pago e Migliano: la tattica era sempre la stessa: Crescenzo bloccava il paese dall'esterno, Cipriano lo invadeva assalendo la casa comunale e il posto di guardia, requisendo fucili e viveri. (5)

       La Gala, forte di un largo consenso popolare, con i suoi uomini controllava i distretti di Nola e Caserta sino all'Irpinia, al Taburno, al Sannio. Era evaso nel 1859 dal bagno penale di Castellammare di Stabia, dove stava scontando una condanna a venti anni di lavori forzati “per furto accompagnato da pubblica violenza”. Riuscì a evadere dandosi alla macchia.

        I giudici di Santa Maria Capua Vetere lo definirono: “una figura torva dalla corporatura solida, la fronte alta, gli occhi aguzzi, dalla mascella prepotente su cui si stagliava una barba ruvida, tutto ciò concorreva a circoscrivere una fisionomia dura, folle, ribelle. Un assassino, uno corridore di campagna, un malfattore volgare, un uomo dedito al sangue, alla rapina, un uomo che mangia le carni del suo antico compagno di galera”. (6)

      Cipriano dal 1860 si batte per la causa di Francesco II. M. Monnier lo definisce: “forzato evaso, capo di banditi e generale borbonico, assai più avventuroso e più importante di Chiavone…”. La banda La Gala, e l'autrice di delitti, a volte raccapriccianti come atti di cannibalismo, di grassazioni, di sequestri, di assalti a villaggi e masserie, treni e diligenze. Furono tantissimi i colpi di mano e i delitti, ma non tutti in nome di Francesco II. Particolarmente crudele era il fratello Giona.

        La resa dei conti arrivò alla fine di dicembre '61. La banda braccata da ogni parte, da Benevento, Caserta e Napoli; si divise in piccoli gruppi per eludere la vigilanza dell'esercito e guadagnare il confine pontificio. La sera del 6 gennaio 1862, i militi ebbero notizia che Cipriano si aggirava nel territorio dei Mazzoni di Capua, usando come ricovero durante la notte, una casa di Casal di Principe (7):

       “I carabinieri di Capua ricevono l'ordine di recarsi sul posto e accerchiare la casa. Il sergente Luigi Monti e il maresciallo Giacomo Gedda lungo il percorso, intimano l'alt a vari uomini a cavallo. Non si ottempera al comando. Gli uomini si danno alla fuga, meno uno che viene riconosciuto nella persona di Angelo Menniello, manutengolo, è obbligato a dare le indicazioni necessarie per arrivare al rifugio. Nella casina, tutti dormono meno Cipriano che sveglia i suoi e insieme con Giona e Domenico Papa, si apre un varco tra i militi sparando su di loro ed uccidendo il maresciallo Gedda. Nella sua sortita, è favorito dall'oscurità e dalla pioggia battente; Non fanno a tempo a porsi in salvo Aniello Mercogliano, un ex sequestrato obbligato ad aggregarsi nella banda, in cui è rimasto sei mesi e due guardiani di bufali che hanno concesso l'ospitalità. Arrestati i tre, si procede all'inseguimento e il contadino Carlo Guerra proprietario della masseria Bonito, ammette di aver dato aiuto a tre uomini, di cui uno ferito gravemente alla mano. Nell'impossibilità di fornire bende, ha stracciato una camicia e dato un asino al ferito. Antonio Federico, Ferdinando Santoro, Francesco Gravante, Marcello Petrella e i sacerdoti Vincenzo e Giovanni Caianiello, hanno riconosciuto nel ferito Cipriano La Gala. I tre raggiungono il confine e si mettono al sicuro. Una fitta rete di omertà li protegge, finché amici potenti procurano ai La Gaia, a D'Avanzo e Papa un passaporto con tanto di visto dell'ambasciata di Francia per Marsiglia e della legazione di Spagna per Barcellona”.(8)

I quattro fuggiaschi, con uno stratagemma, furono arrestati il 10 luglio 1863 nel porto di Genova, sul piroscafo Aunis (nave francese delle messaggerie imperiali). La nave era diretta a Marsiglia. Durante l'assenza del capitano, sceso a terra per vidimare le carte di bordo all'Ufficio di Sanità portuale, salirono sul vapore un commissario di polizia italiana, agenti e carabinieri e arrestarono i quattro, in aperta violazione della Convenzione consolare italo-francese.(9

Alla fine si trovò un compromesso diplomatico. I quattro furono, riconsegnati alla Francia con l'accordo che le autorità transalpine restituissero i detenuti agli italiani. Il 7 settembre i francesi li riconsegnarono alle autorità italiane. L'arresto di La Gala e compagni decretò anche quello del principe Medici di Ottajano, accusato di aver contribuito a mantenere e armare le bande del Taburno. (10)

      Dalle carte processuali si conosce la famiglia di Cipriano La Gala:

 “La madre di Cipriano Della Gala, il fratello di lui Romano e la germana Marta erano tutti indiziati come coloro che provvedevano a somministrare ogni sorta, fu l'Autorità politica della Provincia obbligata “ad arrestarli”. La prigioni di quai tutta la propria famiglia determino Cipriano della Gala a tentare l'ardito colpo di mano per liberarla, il quale nelle sue conseguenze, e ne frutti posteriori ha dimostrato essersi egli sospinto a quell'andare diversamento non tanto per la salvezza e liberazione de' suoi, quanto per farsi il campione della causa della reazione politica, la quale negli scorridori di campagna e negli uomini volti ad ogni generazione di misfatti trova soltanto i suoi sostenitori”. La sentenza era scontata.

 Dal verdetto si evince l'indirizzo politico della condanna dei quattro arrestati. Alla richiesta della difesa di riconoscere agli imputati il reato politico, ricordando le varie buone azioni di Cipriano tra le quali: “il fatto di Cancello, l'assalto al treno, quando i briganti salvarono il denaro privato e presero solo quello pubblico con grida inneggianti a re Francesco”, il Presidente non ne volle sapere, rigettò ogni richiesta. Il giudice aveva già sentenziato che la banda La Gala era fatta di “volgari malfattori”. Le testimonianze orali, erano spesso confuse. Rilasciate dai comparenti, tra la verità e la menzogna, tra la precisione e l'inesattezza, tra l' “è così” e il “mi pare”. (11)

Note

Fonte: Alle radici del brigantaggio di Pietro Zerella Parte XX

Monte Taburno base dei reazionari Cipriano La Gala (qualche altra fonte Cipriano DELLA Gala)

A - (da Processi Celebri – Reggio Emilia –Tipografia della Gazzetta 1864)

B - (da (di Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975 C-(da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)

(1) -Re di Napoli dal 1734 al 1759.

(2) -E' in provincia di Avellino

(3) - (ASC, Alta Polizia f. 5879)

(4) - (Gabinetto Prefettura, B. 279 f. 3139)

(5) - I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)

(6) - (G.C. Gallotti, pp. 176)

(7) - E' in provincia di Caserta.

(8) - Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975

(9) - ibidem

(10) - C. Cimmino, pag.59). (da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)

(11)- ibidem

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