Il Museo virtuale delle storie per immagini (WWMM) ha messo in rete del materiale molto interessante, che potrebbe aprire nuovi scenari sui rapporti tra ribelli della Valle Caudina e la zona del Matese. Lo stretto contatto tra Cervinara e Piedimonte Matese è stato suggellato con un gemellaggio tra i due Comuni, distanti, ma uniti da un legame che affonda le radici nel tempo e nella storia.
Faceva freddo, quel venerdì di novembre del 1864. Maddalena, come sempre, si era levata all'alba per andare a mungere le poche capre del fratello e racimolare un po' di legna per il fuoco. Nella piccola casa in via Elci, a San Gregorio, c'era sua madre Carolina, i cui problemi di vista peggioravano sempre più, ed il suo unico figlio, Angelantonio, di sette anni.
Il marito, Giuseppe Mallardo, che di mestiere faceva il carbonaio, proprio quell'anno era finito in carcere a S. Maria Capua Vetere per connivenza col brigantaggio. Un'accusa uguale a quella di tanti altri paesani, che non riuscivano a capire quella legge spietata che impediva loro di portarsi appresso un po' di pane, quando andavano al lavoro nei campi. Connivenza col brigantaggio, molte volte, significava dividere quel pezzo di pane con un paesano, magari cresciuto insieme nello stesso vicolo, magari parente, che in qualche maniera si era messo contro la legge e stava nascosto in montagna.
La legge poi, a San Gregorio, era una sola: la parola di don Achille Del Giudice. Sue le terre, sue le mandrie e le greggi. Don Achille, agli occhi della povera gente, era l'incarnazione del potere: era Sindaco, consigliere provinciale a Caserta, e suo fratello stava a Torino a fare il Deputato.
Faceva venire i soldati a Matese per catturare i briganti, ma contemporaneamente pagava una sua personale squadriglia di uomini, che aveva il controllo assoluto del territorio. Dunque o si era con lui o contro di lui. Per Maddalena, come per la maggior parte dei paesani, tutto quanto accadeva in quegli anni era poco comprensibile. Non c'era più il re, ma c'era un nuovo re, e la guerra di Garibaldi non aveva cambiato le cose:
don Achille comandava prima, e don Achille comandava adesso. Così chi piegava la testa al "piccolo rre" poteva avere di che sfamarsi.
Ma c'erano pure le teste calde, specialmente i più giovani, e coloro che si erano lasciati affascinare da quella voce che diceva di darsi alla montagna per fare una nuova guerra e far tornare Francesco, il re napoletano. Maddalena aveva 29 anni quel novembre del '64.
Che mangiare? Come fare un po' di fuoco la sera per scaldare il bambino? Aveva il marito in galera, e già da qualche mese era l'amante di un brigante: un forestiero che stava nascosto sul Matese dall'estate.
Il suo nome era Andrea Santaniello, un ex soldato dell'Esercito Borbonico giunto su quelle montagne l'anno prima da Civitavecchia. Dapprima braccio destro di Cosimo Giordano, aveva poi costituito una sua formazione di pochi ma sicuri uomini, che aveva inquadrato secondo regole militari, fornendoli perfino di una divisa di panno turchino.
Brutto di viso, ma alto, indossava la divisa con i galloni dorati ed al gilet aveva appuntata, come una medaglia, una piastra di 12 carlini d'argento. Insomma un uomo di fascino al quale Maddalena non sa resistere. Un uomo che, a differenza di altri, è animato da un vero sentimento di fedeltà alla casa borbonica. Sono mesi ormai che la loro storia va avanti: quel pomeriggio di novembre, quando Maddalena torna a casa i vicini l'avvisano che la forza pubblica è venuta ad arrestarla.
In un attimo la decisione è presa. Dà un bacio al figlio e senza troppe chiacchiere riprende la strada della montagna. Cammina per ore, da sola, fino al Taglio di Letino, dove la banda è nascosta. Da quel giorno Maddalena è alla macchia. Nella banda è in compagnia di briganti famosi, che segneranno la zona con le loro azioni.
Tra gli altri ci sono Giovanni Civitillo detto "senza paura", un uomo che gira a cavallo tutto vestito di bianco e Giovangiuseppe Campagna detto "il rosso", che sul braccio porta una fascia di seta rossa: sono gli uomini che pochi mesi prima hanno condotto a Piedimonte il clamoroso sequestro del giudice Nicola Coppola e che hanno tenuto in scacco la forza pubblica ottenendo un cospicuo riscatto.
Un salto nel buio. Maddalena scompare nei boschi, con la comitiva guidata dal suo uomo, che proprio in quelle settimane si afferma come uno dei più temuti capibanda nel casertano. L'inverno latitante, sui monti del Matese, è duro da passare.
Presto Maddalena impara i trucchi del brigante: camminare nascosto, cancellare le impronte, evitare le mulattiere. Come tutti anche lei ha un soprannome, e da allora sarà per sempre Padovella, la brigantessa Padovella.
Ma il freddo si fa più intenso, nevica, e la banda si sposta sui monti sopra San Potito, dove più fitta è la rete di manutengoli. Uno dei più fidati è il massaro Luigi Melillo: per non far insospettire i suoi garzoni ha spiegato a Santaniello che, quando ha bisogno, deve venire di sera e tirare una pietra alla finestra della sua camera da letto. Ogni volta lui scende e li fa entrare. C'è poi Pietro De Rienzo che gli manda il pranzo per quindici giorni consecutivi, ed una volta gli regala pure un revolver ed una pistola.
Dopo aver incendiato una masseria a Sepicciano, la banda si ripara in una casa poco distante, dove mangiano vino, salsicce ed un'insalata di peperoni: durante la cena Arcieri si sfila dal dito un anello d'oro che regala, quale pegno di nozze, alla figlia del massaro che li ospita. Maddalena viene a sapere che suo marito a febbraio è morto nel carcere di S.Maria Capua Vetere. Ma ormai il legame con Santaniello è saldo.
Non sono solo amanti: lei gli ha dimostrato di avere coraggio, e lui la ripaga con la fiducia, mettendola al corrente dei nomi di alcuni manutengoli, che restano sconosciuti agli altri membri della banda. Egli, praticamente, condivide con lei il comando, e nessuno degli uomini se ne lamenta.
La raccolta di informazioni è importante per la banda, ma entrare nei paesi è rischioso. Eppure non mancano di inventiva e coraggio. Giovangiuseppe Campagna un giorno si veste da donna e se ne va in giro per Piedimonte: va a trovare la sua amante, si compra i tubetti, e poi torna tranquillo alla macchia.
Marzo 1865. Mentre l'intera banda è nascosta in un pagliaio passano lì vicino cinque uomini della Guardia Nazionale di S. Potito: stanno scortando un gruppo di donne che vanno a raccogliere legna in montagna. I briganti escono veloci dal pagliaio e senza colpo ferire si prendono i fucili, qualche moneta, il permesso d'armi del guardaboschi e pure le scarpe di una della Guardie, allontanandosi poi indisturbati.
Una volta al sicuro Santaniello assegna i fucili e, tra lo stupore degli uomini, uno lo affida a Maddalena. Non è più la femmina del capo, non è più un manutengolo ma, da quel momento, è un vero brigante, anzi brigantessa. E nessun uomo ha qualcosa in contrario.
Il sabato santo, 15 aprile, un massaro di Alife manda alla banda dieci rotoli di maccheroni che vengono cucinati da Francescantonio Tartaglia nella sua casa rurale. Costui è il più fidato degli amici di Santaniello, e spesso li ospita nella masseria dove Nicoletta, che lì vive, fa il bucato per i briganti.
Ma la repressione è pronta.
La sera dopo, notte di Pasqua, a San Gregorio la truppa arresta tutti i parenti più stretti di Maddalena: sua madre Carolina, il fratello Arcangelo e la sorella Filomena col marito Michelangelo Iameo vengono portati in carcere a Piedimonte. Tutti negano e la rinnegano. Che altro possono fare?
Ma soltanto dopo due mesi di prigione ingiustificata, i quattro vengono rimessi in libertà così, con la massima tranquillità, senza che nulla sia emerso a loro carico. Per sfamare i briganti un certo Agostino, di San Gregorio, un mercoledì mattina uccide una pecora, facendola cuocere in una grossa caldaia.
Ma poiché è giorno consacrato alla Vergine Santissima, i briganti non la mangiano e se la portano per consumarla nei giorni seguenti, dopo aver comprato per 14 carlini due cappelli bianchi: uno è per Maddalena e l'altro, guarnito di penne, se lo compra Nicola Vassallo.
Intanto la banda Santaniello non si è mai mossa dalla zona. Domenica 23 aprile i briganti Vassallo e Senza Paura rapiscono una giovane di Alife. Mentre fuggono con l'ostaggio incontrano un venditore ambulante di tessuti, e poiché la ragazza piange lo rapinano di un pacco di fazzoletti. La trattano bene, e pur non avendo ottenuto il riscatto sperato la rilasciano dopo pochi giorni.
A Piedimonte una sera di fine maggio giungono alla masseria di un loro manutengolo per ritirare del pane ordinato giorni prima: Giovanni Senza Paura bussa alla porta, ma dall'interno parte una fucilata che lo manca e poi subito altre, sparate dai soldati che erano nascosti lì dentro.
I briganti fuggono senza rispondere al fuoco. Evidentemente la stretta della repressione si è fatta più forte. Da pochi giorni, infatti, sono entrate in azione delle squadre di militi che battono il territorio per la cattura dei briganti.
Nei pressi di Sepicciano i briganti intimano ad un contadino di far allontanare gli avventori seduti fuori al caffè perché vogliono passare indisturbati. Maddalena non sa cosa stia per accadere, ma nota che Santaniello in quei giorni è nervoso.
Nel caldo pomeriggio del 21 luglio la banda prende il fresco sotto gli alberi: una voce li chiama. Si allarmano, ma dalla boscaglia spunta Cosimo Giordano, il capo di tutti i briganti del Matese. Alto e magro, con il viso scavato, Giordano ha due occhi neri, profondi, che quando ti guardano ti scavano.
Un passo dietro di lui c'è il capobanda Antonio De Lellis, il parente di Maddalena, con i suoi uomini. Giordano ha la sicura tracotanza del capo: dice di essere venuto a bella posta da Roma per catturare e ricattare sia don Achille Del Giudice che don Enrico Sanillo, e chiede a Santaniello la disponibilità della banda per compiere quelle azioni. Santaniello non si fa intimorire da quegli occhi:
sa che Del Giudice protegge la banda. Si oppone al progetto perché anche Sanillo è un loro benefattore. Una parola tira l'altra e la discussione si accende; gli uomini sono tesi, le mani pronte alle armi e poco ci manca che si prendano a fucilate. Ma infine Santaniello accetta la proposta.
Cosimo Giordano, dunque, spiega il piano: la sera seguente le bande riunite dovranno attaccare la bottega da caffè di Nicola Riccitelli, sulla consolare a San Potito, per rapire Sanillo e quanti altri si fossero parati loro innanzi, così da chiedere un cospicuo riscatto.
Quando Giordano ed i suoi uomini si allontanano Santaniello resta pensieroso. Questa storia di prendersela con Sanillo non gli scende, ma non può fare la figura del pauroso davanti agli altri briganti. Anche Maddalena ha qualche dubbio: solo pochi giorni prima il brigante Antonio Arcieri aveva detto che un giorno o l'altro avrebbe ucciso il sindaco di San Potito, don Simeone Pietrosimone, perché non gli aveva voluto dare il lasciapassare per andare a lavorare in campagna. E Maddalena sa che il sindaco lo avrebbero sicuramente trovato lì al caffè, con gli altri galantuomini del paese.
Sabato sera, 22 luglio, c'è la luna nuova e dunque è buio pesto. Le bande, riunite, sono appostate fuori dal paese, e verso mezzanotte arrivano Cosimo Giordano e Vincenzo Arcieri: da un loro confidente hanno appena avuto conferma che Sanillo è nel caffè Riccitelli.
Dunque la banda entra in paese e, quando passano, porte e finestre si chiudono rapide. Poco più avanti un contadino, sull'uscio di casa, sta fumando la pipa, ma appena vede la banda, subito rincasa chiudendo la porta. Alla fontana una donna che sta lavando i panni raccoglie lesta le sue cose e si allontana a passi rapidi.
Un brigante che si accosta per bere viene bruscamente richiamato da Giordano che gli intima di proseguire, e quello subito ubbidisce. La banda, 33 persone, circonda l'intero paese sul lato della montagna. A passi felpati Giordano, Santaniello, De Lellis, Arcieri ed altri quattro si avviano al caffè. Tutto è silenzio, le finestre serrate, nemmeno i cani abbaiano.
Maddalena è nel buio quando si sentono le fucilate dal centro del paese. Strilli e fucilate. Poi silenzio, e subito vede avvicinarsi due persone: è Giovangiuseppe Campagna, che trascina il sindaco Pietrosimone, catturato da Giordano. Il sindaco piange "Uccidetemi! uccidetemi!". Il quartetto si avvia a passo rapido, e vengono presto raggiunti dagli altri briganti.
Camminano veloci, e quelli rimasti di guardia chiedono agli altri come siano andate le cose, ma l'affanno e la fretta spezzano le parole in gola. Man mano che si allontanano dal paese gli altri delle bande si ricongiungono a loro. Si cammina veloci, col fiatone, e giù dal paese vengono urla e chiasso. Giordano fa complimenti a qualcuno per il coraggio mostrato, ed ha parole di scherno per altri che sono rimasti in disparte. Oltre al sindaco, si portano dietro anche un altro ostaggio. Giordano d'un tratto si ferma, si para davanti al sindaco e gli chiede quanti soldi avrà per il suo riscatto: Pietrosimone, terrorizzato, risponde che più di cento scudi non può.
Silenzio di gelo. "Allora si ammazza" dice Vincenzo Arcieri e Giordano, voltandosi a Giuseppe, brigante di Cerreto, ordina di ucciderlo. Senza esitazione l'uomo estrae uno stiletto e colpisce più volte il sindaco, che stramazza in un mare di sangue. Giordano nemmeno guarda la scena, perché intanto sta confabulando con Vincenzo Arcieri. Costui si avvicina all'altro ostaggio e lo lascia andar via.
L'intera banda riprende la marcia nel buio della montagna, nessuno li insegue. E quando finalmente si fermano per dormire, spuntano i racconti su come è andato l'assalto. Uno dei guardiani di Sanillo fuori al caffè ha gridato "Alto. Chi va là?" e dal buio Giordano ha risposto "Pattuglia di Carabinieri". Dopo qualche minuto di silenzio assoluto i briganti hanno immobilizzato i guardiani e si sono parati a cerchio dinanzi alla porta del caffè. Sentendo il tramestio il sindaco ha aperto l'uscio ed i briganti lo hanno subito afferrato trascinandolo via.
A quel punto gli uomini nel caffè hanno cercato di chiudere la porta, ma Giordano ha infilato il fucile ed ha sparato un colpo. Sull'uscio è nata una colluttazione. Ma anche col portone serrato, sono continuate le fucilate, da dentro e da fuori:
il Calabrese, centrato alla testa, ci è rimasto secco sul colpo. Poi qualcuno ha strillato che Sanillo era morto, e il portone si è aperto. E' uscito Luigi Melillo, che tante volte aveva fornito cibo ai briganti, una mano sanguinante, che implora di non sparare. Dentro ci sono altri due uomini feriti, l'oste ha un braccio spappolato. Sanillo è lì per terra in una pozza di sangue: Giordano gli ha dato uno sguardo, ed ha ordinato ai suoi di andare via.
Al mattino seguente le strade sono deserte, solo cani e cicale. La gente è terrorizzata. A Piedimonte un massaro manda un suo garzone che consegna alle bande pane, prosciutti e dieci caraffe di vino. Gli uomini scendono poi fino al bosco di S.Simeone. Giordano vuole fare subito un altro sequestro ad Alvignano. Ma tra lui e Santaniello nasce un nuovo litigio. Questi è risentito perché Sanillo non meritava di essere ucciso:
non solo era un borbonico, ma era soprattutto un vero amico dei briganti. Quante volte avevano avuto munizioni, cibo e, pochi mesi prima, si rammarica Santaniello, gli aveva mandato perfino dieci napoleoni d'oro.
Due capi sono troppi, ormai la convivenza è impossibile. E Giordano decide di andarsene verso Cerreto, con Antonio De Lellis e gli uomini a lui fedeli. Santaniello rimarrà in questa parte del Matese, o dove diavolo gli pare. L'importante, si raccomanda Giordano, è continuare a compiere sequestri.
Santaniello sfoga la sua rabbia con Vincenzo Arcieri, che ha visto troppo in intimità con Giordano: lui continua a sentirsi un militare e come capitano della banda non può tollerare insubordinazioni. Ma il vecchio Arcieri incassa e resta comunque al suo fianco.
I dubbi, invece, non lasciano Santaniello. Non capisce perché Giordano è venuto fin là, apposta da Roma, per sequestrare uno dei finanziatori più sicuri del brigantaggio.
Con tanti liberali, garibaldini e benestanti, perché prendersela proprio con il borbonico Sanillo?E poi c'è la dinamica dell'omicidio: Santaniello era lì, sparavano basso per evitare di uccidere qualcuno. Allora come ha fatto Sanillo a prendersi una sola palla giusto in testa e morire sul colpo?
La cosa non quadra. Quando il portone s'è aperto nel caffè c'erano feriti, Sanillo già morto e Melillo, amico di Arcieri e loro manutengolo, è uscito a mani alzate. No. Santaniello si convince che qualcuno ha ispirato l'azione, qualcuno cui la morte di Sanillo faceva comodo. E poi quel povero sindaco ucciso così, a sangue freddo: anche il più fesso dei briganti sa che un ostaggio morto non frutta denari. Come se quel sangue servisse a coprire e confondere.
Maddalena gli si siede a fianco e lo distoglie dai dubbi. Santaniello è stufo di quelle montagne, del perfido Arcieri, di questi quattro delinquenti che manco si ricordano di re Francesco.
Resta in zona ancora per qualche settimana. Così vengono a sapere che Giordano, il giorno dopo l'assalto al caffè, è tornato proprio a S.Potito dove ha cercato di sequestrare il medico don Vincenzo Coppola, giunto per fare le condoglianze alla vedova Sanillo:
ma la banda era stata presa a fucilate dalla forza pubblica e se l'erano data a gambe. Ormai il Matese pullula di bande, di soldati e persino di quelle squadriglie private autorizzate dal governo: uomini comandati dal delegato di Pubblica Sicurezza, ma in realtà veri e propri cacciatori di taglie pagati da don Achille Del Giudice.
Così finalmente decide di andarsene in luoghi più tranquilli. Arcieri, Campagna, Giovanni Senza Paura non lo vogliono seguire, fanno banda a parte. La cosa non dispiace a Santaniello, che con pochi fidati e Maddalena se ne va verso il beneventano.
Oltrepassato il Taburno, Santaniello decide di fermarsi sui monti avellinesi della Valle Caudina. Anche quella è zona di briganti e con Maddalena si aggrega alla banda di Giuseppe Passariello, nella quale ci sono anche sue vecchie conoscenze come Mascella e Pasquale Pulcinella.
Sui monti sopra Arienzo a settembre la banda sequestra contemporaneamente sette uomini. Qualcuno riesce subito a pagare qualcosa, altri vengono rilasciati perché nullatenenti. Nelle loro mani resta Francescantonio Guadagnino, di Talanico, per il quale chiedono al padre un riscatto di 1000 ducati. Per convincerlo al pagamento il brigante Mascella taglia un orecchio al ragazzo, che viene rilasciato dopo 15 giorni.
Un giorno Santaniello e Maddalena scendono dalla montagna, e vanno vicino Nola da un certo Pietro, che dà loro da mangiare e tramite un sarto del paese gli vende abiti maschili, nuovi, per Maddalena. Restano in quella zona, e una notte di novembre la banda viene intercettata dalla forza pubblica tra Cicciano e Cancello:
la stessa Maddalena prende parte allo scontro a fuoco e riescono a fuggire.
A fine novembre Santaniello decide di lasciare i monti sopra Paolisi e fa ritorno verso il Matese. Nell'attraversare il Volturno Maddalena perde il suo fucile. Si riuniscono con i vecchi compagni dell'estate passata. Fa già freddo, e nelle lunghe ore di pioggia si raccontano gli avvenimenti accaduti in quei mesi. Storie di sangue, di banditi senza ideali, che a Santaniello non piacciono.
Sabato due dicembre 1865. Il brigante Pietro De Cesare vuole scendere a S. Angelo per incontrare la moglie. Santaniello e Maddalena, forse per restare un pò da soli, decidono di accompagnarlo. In contrada Petraro vengono ben accolti in una masseria dove restano a dormire. Il mattino seguente la proprietaria, tornata dalla messa, prepara le tagliatelle e due polli. Un vero pranzo domenicale è quello che ci vuole per rifarsi dei tanti pasti asciutti racimolati in montagna. Trascorrono così una giornata tranquilla, seduti sull'aia, a guardar da lontano le cime innevate di Matese. A sera Maddalena e Santaniello vanno a dormire tranquilli.
Alle due di notte il latrare dei cani li allarma: subito fuori sentono alle loro spalle i soldati che si avvicinano lungo la mulattiera. Scappano in direzioni diverse, ma è luna piena stanotte, il buio non li protegge. Maddalena corre verso la masseria, sfiora il pozzo: c'è una siepe poco più avanti, e Maddalena corre, corre. Venti metri, forse trenta, ma una fucilata lacera il silenzio della notte. Un solo colpo le trapassa la natica sinistra.
Dà ancora qualche passo, poi crolla, riversa, la faccia nell'erba bagnata. I soldati la raggiungono contenti di averne preso uno, ma lei con scherno gli rinfaccia di essere stati capaci di sparare solo ad una femmina. Così, a dispetto degli abiti maschili che indossa, rivela subito la sua identità. Ma è ferita, perde sangue e Felice Stocchetti, il capo della Guardia Nazionale, la fa caricare su un carretto che la trasporta in caserma a Piedimonte.
Viene identificata, ma la ferita è grave, e di peso la trascinano nell'infermeria, dove viene spogliata e messa a letto. Una notte infernale: nel silenzio di quella stanzetta la febbre ed il dolore agitano Maddalena, insieme all'ansia di non sapere che fine ha fatto Santaniello, né il destino che l'aspetta. Il lunedì mattina dalla piccola finestra della stanza entra il chiasso del mercato.
Quando apre gli occhi attorno al suo lettino i militari la sottopongono al primo, lungo interrogatorio. E Maddalena parla, parla e descrive luoghi e persone, fa i nomi dei manutengoli e dei briganti. Chissà perché parla tanto.
Chissà quanto dice di suo e quanto risponde a domande precise: un si o un no, mentre la ferita e la febbre confondono le parole di quegli uomini, tre forestieri, che manco capiscono il suo dialetto. Chissà quante cose dette non vengono neppure verbalizzate, o travisate per proteggere il vero burattinaio delle vicende politiche locali: Achille Del Giudice.
Eccola qui la sanguinaria brigantessa del Matese, che a stento traccia un segno di croce sul verbale d'interrogatorio. Soltanto una donna innamorata, che ha provato a fuggire da una misera vita di stenti, appresso ad un uomo che sapeva comandare e che aveva visto il mare.
E' tutto finito. Sola, dolorante, avvilita e sfinita, ripensa a quell'anno, così pericolosamente vissuto da brigante. Ripensa al suo Andrea, che non vedrà mai più. Ripensa alle cose che ha visto e che manco pensava esistessero.
Due giorni dopo i medici che la visitano verbalizzano la presenza di una ferita d'arma da fuoco "pericolosa di vita, ed ove ci fosse frattura delle ossa, pure di debilitamento permanente dell'arto".
Ma subito dopo Maddalena viene sottoposta ad un nuovo interrogatorio. E poi altri, ed altri ancora nei giorni seguenti. Intanto i soldati che l'avevano catturata intascano una taglia di mille ducati.
E lei resta lì, chiusa nel carcere, a combattere contro quella ferita che la lascerà zoppa per tutta la vita.
Dopo oltre due anni viene trasferita nel carcere di S. Maria Capua Vetere: ha 32 anni quando entra per la prima volta in un'aula del tribunale. Nel maggio 1868 la Corte d'Appello di Napoli la riconosce colpevole della strage di San Potito. Nella gabbia degli imputati ascolta la sentenza: condanna ai lavori forzati a vita. Ma ci sono altri processi a suo carico. Altri interrogatori, deposizioni, trasferimenti da un carcere all'altro. E la sua condanna viene trasformata in 25 anni di lavori forzati, interdizione legale e dai pubblici uffici, oltre a 10 anni di sorveglianza speciale della Pubblica Sicurezza dopo la conclusione della pena.
Il giovane avvocato d'ufficio di Maddalena, Giacinto Bosco, fa ricorso alla Corte di Cassazione di Napoli, che lo accoglie e rinvia la causa alla Corte d'Assise Straordinaria di S. Maria Capua Vetere, dove finalmente si conclude la vicenda giudiziaria di Maddalena, che nel gennaio 1872 lascia il carcere di S. Maria Capua Vetere e viene trasferita alla casa di Aversa.
A 36 anni la brigantessa Maddalena De Lellis inizia a scontare la sua pena. Scompare dalla faccia del mondo, inghiottita in qualche bagno penale femminile. Alcuni dicono che sconta la pena nel penitenziario della Giudecca a Venezia, dove viene confessata dal patriarca Sarto, che sarebbe poi divenuto papa Pio X.
Poi, un bel giorno di fine secolo, Maddalena tornò a San Gregorio. Qui è ricordata mentre si recava in chiesa zoppicando ed aiutandosi con un bastone, seguita di un codazzo di bambini che esclamavano: "La Padovella, la brigantessa, la Padovella!".La memoria popolare racconta che, nei suoi ultimi anni di vita, la gente del paese che andava a lavorare la terra le lasciava in custodia i propri bambini.
E questo asilo infantile ante litteram è il segno che la comunità di San Gregorio accettò la brigantessa. E' la riabilitazione di un proprio membro, da parte di una società che ha visto passare briganti, piemontesi, spie, liberatori, deputati e nuovi re, ma non è ancora affrancata dalla terra. A San Gregorio Maddalena morì di morte naturale a 72 anni, il 7 marzo 1908.
Questo arzillo vecchietto è il nipote della brigantessa. Dopo avermi raccontato (ormai sono passati trent'anni) molte delle cose che vi ho narrato, accettò di farsi fotografare nella sua stanzetta, la stessa dove era morta sua nonna, "nonna Maddalena la Padovella".
Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo
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