Ci sono alcuni episodi storici ospitati in terra Caudina di rilevanza nazionale di cui spesso, soprattutto le nuove generazioni, non sono nemmeno a conoscenza.
Momenti che magari possono essere interpretati come semplici incontri di natura politica ma che invece hanno influenzato in maniera più che sostanziale gli anni a venire anche nel mondo sociale e culturale. L’11 ed il 12 giugno del 1977 la Valle Caudina, precisamente la cittadina di Montesarchio, finirà sotto i riflettori del mondo dell’informazione nazionale perché sede di una manifestazione che assumerà un’importanza storica nell’ambito della destra politica italiana. Stiamo parlando dell’esperienza dei ‘Campi Hobbit’ che coinvolse l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il Fronte della Gioventù.
Diciamo subito che non è a caso che la prima iniziativa si consumi a Montesarchio, visto che tra gli organizzatori spiccava una figura importante dello scenario socio-culturale sannita, Generoso Simeone (Castelpoto, 6 settembre 1944), vicino alle posizioni di Pino Rauti, il leader che nel 1969 (con l’elezione alla segreteria del partito di Giorgio Almirante) aveva fatto ritorno a pieno titolo tra le fila del Msi, dopo l’allontanamento critico sancito nel congresso del 1956 e con la fondazione del Centro studi Ordine Nuovo. Punto di riferimento della destra sannita, dal 1972 Simeone prende la direzione del periodico ‘L’Alternativa’, organo che tanto contributo porterà al dibattito di quegli anni.
Anni particolarmente difficili per i missini: “Fascisti carogne, tornate nelle fogne”, non era che lo slogan più celebre nella campagna di delegittimazione che da più parti colpiva il popolo di destra. Proprio per mettere in campo “un veicolo moderno con cui replicare, in tono ironico, agli intenti di delegittimazione degli avversari” e per “lo svecchiamento della stanca immagine del neofascismo”, nasce nel 1974 ‘La voce della fogna – Giornale differente’, periodico ideato dal gruppo rautiano fiorentino che era guidato da Marco Tarchi, ispiratore di quella corrente di pensiero denominata ‘Nuova Destra’ (che si richiama all’esperienza francese guidata da Alain de Benoist) che sul finire degli anni Settanta lavorerà nel tentativo di sottoporre la destra ad un “bagno di innovazione”. Proprio nel giugno del 1977, Tarchi vince il congresso giovanile del Msi, ma Almirante indicherà alla guida del Fronte della Gioventù Gianfranco Fini (che al congresso si piazzò al quarto posto).
Tarchi e Simeone furono senza dubbio le due figure che più si spesero per l’organizzazione di quel primo Campo Hobbit, il cui intento ben si comprende nelle parole dello stesso Simeone:
“Non è più possibile restare alla finestra a guardare un mondo che va in rovina, una civiltà che viene distrutta […] Ci vuole una politica di intervento, una politica che incide, qualifica, chiarisce, una politica che graffia e che colpisce, una politica di alternativa globale […] che faccia balenare un mito e un’idea per le nuove generazioni, capace di affascinare e trascinare per la creazione di un nuovo ordine sociale. L’Europa si unisca e torni al suo primato di civiltà”.
Il nome si rifà ad uno dei protagonisti (Hobbit) del mondo fiabesco e mitologico narrato nella saga de ‘Il signore degli anelli’ di Tolkien, lo scrittore inglese che dalla fine degli anni Sessanta, attraverso l’interpretazione che della sua opera fa Elémire Zolla, diventa un punto di riferimento per il giovane popolo missino. Tracciati a grandi linee i tratti dello scenario politico in cui matura l’esperienza dei Campi Hobbit, piace invece raccontare alcuni episodi significativi che si registrano in quella intensa due giorni vissuta all’ombra del Taburno, con protagonisti circa duemila giovani di destra provenienti da tutta Italia.
L’edizione del 15 giugno del quotidiano ‘Il Tempo’ riporta il resoconto dell’evento, facendo parlare due dei protagonisti. “Le finalità del campo – spiegava al giornalista Enrico Marra un giovanissimo Pasquale Viespoli – era quella di uscire da un certo “culto della nostalgia” e da un certo ritualismo per dare una risposta a tutti i problemi del mondo giovanile finora monopolizzato dalle forze di sinistra. Abbiamo dimostrato che si può fare musica e vivere insieme senza degradarsi nel collettivismo e nel materialismo”. “Una idea senza dubbio nuova per i giovani – rafforzava Simeone – che debbono liberarsi da certi condizionamenti. Abbiamo comunque solo cominciato un discorso che bisognerà portare avanti nei prossimi mesi”.
Il raduno, che venne ospitato nel campo sportivo, riuscì ad aggregare tutte quelle iniziative (musica, radio e grafica) e quelle tematiche sociali (disoccupazione, condizione della donna ed ecologismo) che ancora non avevano raggiunto l’interesse del partito.
Un’esperienza a metà strada fra il tradizionale campo paramilitare ed il festival giovanile, che come simbolo protagonista ebbe la croce celtica, riprodotta su magliette, poster ed adesivi; addirittura ne viene rappresentata una umana.
Ad occupare molto spazio fu ovviamente la musica: concerti, stand con libri e musicassette. Tra gli artisti che si esibirono i due più famosi gruppi di musica alternativa di destra, i padovani de ‘La compagnia dell’anello’ ed i milanesi ‘Amici del Vento’, e la prima band rock di destra degli ‘Janus’ (composta da musicisti-militanti romani). Tra gli artisti beneventani, sul palco ‘La compagnia dei canti popolari sanniti’ ed Enzo Matarazzo.
Un bel racconto di quei giorni lo cogliamo tra le righe scritte sul suo sito dal giornalista e scrittore pugliese Giuseppe Puppo, in occasione del trentennale di quello che viene definito “il momento più bello ed intenso, dal punto di vista creativo” della destra italiana.
Ce ne furono altri due negli anni seguenti (di Campi Hobbit, nda) ma indubbiamente il primo fu quello storico e l’attributo non sembri esagerato: fu il primo che ruppe il ghiaccio, che creò il fenomeno, che aprì e segnò una nuova fase politica, moderna e anzi contemporanea, per la destra italiana. Grazie a Pino Rauti imparammo a fare politica in modo nuovo, contemporaneo, con le organizzazioni parallele; l’attualizzazione delle tradizioni; l’attenzione, lo studio, il dialogo nei confronti dei “nemici”; l’importanza e l’uso dei mass-media vecchi e nuovi; la musica; la grafica; l’ecologia e tante altre cose belle e importanti. Gli altri due – io partecipai a tutti e tre – furono uno sviluppo, un’articolazione e un’affermazione del discorso: ma quello storico, la data-cardine, il simbolo, fu Montesarchio, l’11 e 12 giugno 1977. Così importante, da lasciare indelebile in tutti coloro che vi parteciparono come un marchio, il crisma e il carisma, nell’affermazione di un’identità solare e creativa destinata a durare per sempre.
E io c’ero! Sì, sì io ci sono stato, a Montesarchio, c’ero anch’io! Dio, sono passati trent’anni? Mah… Ma sì, infatti non mi ricordo bene proprio niente; certo, ho presente il filo rosso, il motivo di fondo delle ragioni dell’importanza, chiaro e preciso, ma, quanto al resto, ai particolari, adesso rivedo soltanto squarci, scene isolate, momenti. All’epoca mi trovavo da qualche mese a Napoli, ufficialmente per studiare all’università […]. Andammo in treno, un trenino da far-west, che fermava in tutte le stazioni e aspettava sempre chissà che prima di ripartire. L’unica volta che ripartì subito fu, a qualche chilometro dalla destinazione, proprio quella in cui scendemmo a bere alla fontanina sui binari, e ci lasciò in due o tre in una sperduta stazione-fantasma nelle valli del Sannio. Così, arrivammo a Montesarchio in autostop qualche ora dopo gli altri, che trovammo già a montare le tende. In realtà, il Campo Hobbit di Tolkien, di narrativa e cinema, tranne appunto il nome, non aveva niente: più prosaicamente si trattava del campo di calcio del paese, fuori il centro abitato, sulla strada che portava verso la provincia di Avellino. Per di più, un campo di calcio senza erba, tutto pieno di pietre, recintato da una rete, opportunamente rinforzata da lamiere.
Mi ricordo che Generoso Simeone, l’organizzatore del posto, ci informò della presenza dei paraggi di nugoli di “compagni”, gli extraparlamentari di sinistra, decisi a impedire con la forza – e ti pareva – “il raduno fascista” e diede disposizioni sui comportamenti da adottare in caso di “attacco”. Non c’erano pistole fra di noi, sia ben chiaro, né spranghe, né bastoni: le nostre uniche armi erano l’intelligenza, i cartelloni, le ragioni della testa e quelle del cuore. Ma questo era il clima comunque e sempre di violenza dell’epoca (eravamo in pieni anni di piombo): un po’ perché c’ero abituato e avevo imparato a vincere la tensione e la paura, la cosa mi lasciò abbastanza indifferente; poi, nella fattispecie, in mezzo a quelli di “Controcorrente” di Napoli, rotti a tante esperienze tipiche di quegli anni, mi sentivo sicuro: me la sarei cavata ancora una volta, anche se ci avesse attaccato l’Armata Rossa di Stalin. […]
Ora, non mi ricordo molto altro e mi dispiace: delle discussioni politiche, i dibattiti, per esempio, niente di niente. Tutto improvvisato: scambi di racconti di esperienze e numeri di telefono, racconti di iniziative, confronti, lasciati agli incontri casuali, in mezzo al campo, fra i partecipanti provenienti da tutta Italia, in pieno spirito di improvvisazione e di anarchia tipici dell’ambiente. Nelle altre due edizioni, negli anni seguenti, le cose migliorarono molto, dal punto di vista organizzativo e logistico: eppure, non furono così belli come quello, il primo, una magia, una pazzia, una magica follia. […]
Per mangiare, ci arrangiammo tutti, fra provviste portate al sacco e occasionali, estemporanei approvvigionamenti di viveri: per meglio dire, mangiammo pochissimo e niente proprio. In tutto, dentro, eravamo un migliaio, non di più: fuori, schierati per tutta la lunghezza del rettangolo, lungo la strada, i poliziotti erano almeno il doppio. Sembrava peggio di un campo di concentramento: i servizi igienici improvvisati, non un bar, un punto di ristoro. Poi, faceva caldo, ma caldo proprio, un caldo secco, forte, prepotente, ai primi di giugno, di trent’anni fa […]. Eppure il clima che si respirava – questo me lo ricordo bene! – era di una dolce primavera, di un risveglio, di un aprirsi alla vita da protagonisti. Nessuno di quei mille del primo Campo Hobbit poteva neppure lontanamente immaginare cosa sarebbe avvenuto in futuro da un punto di vista politico.[…] Nessuno pensava a carriere, a poltrone, a incarichi a consulenze e cose simili. C’era passione, c’era interesse ideale e non materiale. C’era creatività, c’era voglia di uscire dal ghetto e conquistare il mondo. C’erano ideali. C’era il sole, c’era la luce e bastava la speranza, a farla diventare certezza: sapevamo che “il domani appartiene a noi”. Esattamente questo. Poi, di altro, per quanto mi sforzi, proprio non ricordo adesso […]“.
Di Campi Hobbit ne seguiranno altri tre. Il secondo si consumò a Fonte Romana, in Abruzzo, dal 23 al 25 giugno del 1978 ed il terzo a Castel Camponeschi, sempre in Abruzzo, dal 16 al 20 luglio del 1980. Di natura diversa fu il quarto, svoltosi nel 1981, associato ad una spedizione di percorsi voluta dal settimanale ‘Linea’ diretto da Rauti e da ‘Radio Alternativa’, preceduta da una raccolta di beni di prima necessità a seguito del terremoto in Irpinia e Sannio del 1980.
Vicende particolari toccheranno le due figure protagoniste dell’organizzazione del Campo di Montesarchio. Marco Tarchi venne espulso dal Msi nel 1981: la satira della sua ‘La voce della fogna’ era diventata troppo pesante nei confronti della classe dirigente del partito e le posizioni si erano ulteriormente differenziate: basti pensare che in quel periodo il partito raccoglieva le firme per l’introduzione della pena di morte, un atteggiamento da sempre ostacolato dalla Nuova destra. A piano a piano si allontanerà dalla militanza ma non dalla politica. Dalla sua attività nasceranno il mensile Diorama letterario ed il quadrimestrale di cultura politica Trasgressioni. Oggi insegna scienze politiche all’Università di Firenze. L’anno scorso, per i caratteri di Vallecchi ha pubblicato il libro ‘La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla nuova Destra’.
Generoso Simeone si allontanerà anche prima dal Msi, ormai lontano dal partito che lui sognava, capace di affrontare battaglie sociali non utopiche: “I voltafaccia di persone aiutate a divenire uomini, la sconfitta del Campo Hobbit, nel quale aveva creduto fermamente, lo portarono già nel ’78 ad allontanarsi dalla scena politica, ma non sopirono mai in lui quello spirito guerriero che continuava a ruggire, quella scintilla creatrice che voleva creare”. Nel 1987 fonderà il mensile ‘Segnali’, sicuramente il più libero ed alternativo progetto giornalistico della terra sannita. Un altro sogno che scemerà nel 1999, quando il giornale chiude per crisi economica. Morirà il 29 ottobre dell’anno dopo, a Foggia. Nel 2005 nasce un’associazione culturale a lui intitolata, attiva in territorio beneventano. Piace ricordarlo ad undici anni dalla morte con l’amara convinzione che se una volta si sfasciavano le sedie per un ideale, oggi si sfasciano gli ideali per una sedia.
Pensatore Consapevole
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