Vladimiro Putin, la sua realpolitik, la sua difesa dei popoli.
Comunque vi diranno che vada, l’intervento della Russia nella vicina Ucraina, si risolverà in una vittoria di Mosca, in un successo di Washington, in una risata di Pechino e in una disastrosa sconfitta dell’Unione europea.
In un Paese che non ha confini certificati dalle Nazioni Unite (Ban ki Moon, segretario generale dell’Onu, 2014) l’ “intervento speciale” eseguito dai russi non potrà infatti che risolvere la guerra che fino ad oggi, per otto anni, è costata ai russi che vivono nelle regioni orientali di Donetsk, Lugansk e Kharkov, oltre 14 mila morti.
Nei primi giorni dell’operazione bellica, mentre i corvi della propaganda occidentale amplificavano inesistenti attacchi nelle “cuore dell’Europa”, ovvero nelle città ucraine a ovest del Nipro (Dnepr), in realtà la cosiddetta (da Putin) “denazificazione” dell’Ucraina si è concentrata proprio nel vasto territorio russofono ucraino orientale e del sud (Novorossija, coste occidentali del Mar Nero).
Già dopo appena sei giorni di intervento, l’intera regione è stata posta sotto il pieno controllo delle forze armate russe salvo alcune sacche di resistenza nazionaliste-ucraine barricate in particolare in alcuni quartieri di Kharkov e di Mariupol.
L’Ucraina, inoltre, non potrà che accettare, naturalmente nel caso di un trattato ufficiale nel breve termine, senza tergiversazioni che condurrebbero inevitabilmente a più dure penalità territoriali, sia la forte autonomia delle repubbliche orientali e meridionali in uno Stato federale (non accenniamo neanche alla Crimea, la cui riunificazione con la Russia è un atto irreversibile dal 2014) il suo rifiuto formale ad un ingresso nella NATO, e un suo stato di formale neutralità militare.
Escludiamo, al momento, l’ipotesi di provocazioni militari dei Paesi Nato. Né semplici forniture di armamenti (come sbandierato dall’Occidente), né chiusure dello spazio aereo ucraino all’aviazione russa né, tantomeno, incursioni o pretesti provocatori costruiti a tavolino, potrebbero essere digeriti da Mosca, che già ha ricordato agli atlantici la consistenza del proprio arsenale bellico e nucleare.
Per l’altra parte dell’Atlantico – gli USA e l’anglosfera coordinata da Londra: Canada, Australia e Nuova Zelanda – è conseguente il successo, nel breve termine.
Gli Stati Uniti, in specie, godranno notevoli vantaggi. Aumentando l’isteria antirussa, agitando lo Stoltenberg – forse, lessicalmente, omen nomen – e la possibilità di ingresso di Kiev nella NATO, fino a far scatenare l’intervento armato del Cremlino arruolando nella campagna di propaganda quella stupida accozzaglia di suoi fantocci chiamata eufemisticamente “Unione Europea”, hanno raggiunto vari obiettivi.
Il primo, e maggiore, è quello di bloccare la graduale autonomia tedesca dal dominio atlantico, attraverso la rescissione delle buone relazioni economico-finanziarie tra Germania e Russia, viste dagli ultimi tre inquilini della Casa Bianca (Obama, Trump e Biden) come fumo negli occhi. E far rientrare la RFT (con l’Italia e il Giappone subito accanto – toh: l’Asse sconfitta nella 2GM…- e con gli altri satelliti a seguire) nel cortile di casa del dominio atlantico.
Non soltanto la cancellazione del North Stream 2 (che pur rappresentando un danno per la Shell, ad esempio, potrà essere riequilibrata con un maggiore flusso di forniture di gas da Norvegia o dagli stessi Usa) ma anche e soprattutto alla Germania vengono tolti gli attributi di “locomotiva” indipendente, riducendone il ruolo di grande potenza economica produttiva e la competitività internazionale.
Le stupide decisioni “sanzionatorie” del braccio politico della NATO, e cioè dell’Ue, a cominciare dal blocco dell’export e dall’esclusione della Russia dal rothschildiano swift interbancario, con il congelamento dei pagamenti dei beni e degli investimenti occidentali – non soltanto europei – nella più grande Nazione del mondo, che si sviluppa dall’Atlantico al Pacifico, si traducono infatti in altrettanti colpi di pistola che “per fare dispetto al nemico”, l’Europa occidentale sta dirigendo contro le proprie più delicate parti basse. Ed è un ben misero contentino conteggiare gli inutili voti di condanna nell’Assemblea dell’Onu “contro la guerra della Russia” in Ucraina in un bollettino di “vittoria” diffuso dai compiacenti mezzi di comunicazione di massa.
La crisi indotta della ”locomotiva” tedesca – ormai costretta a impegnare le sue riserve per contrastare quanto possibile gli aumenti delle materie prime e la prevedibile enorme riduzione nella produzione industriale – prelude ovviamente ad una drastica crisi economica e finanziaria di tutta la cosiddetta UE.
Il pugno all’economia finanziaria russa si traduce in un gravissimo declino di ogni produzione manifatturiera, di ogni programma industriale e commerciale per i cosiddetti G7, salvo che per gli USA, per il momento usufruttuari delle rendite di posizione economica così ottenute.
Per il momento. Perché quella atlantica si presenta già comunque come una classica vittoria di Pirro, delle cui conseguenze nessuno ha ancora informato le rispettive capitali.
Perché al declino economico tedesco, europeo, nipponico, già si intravvede un corrispondente incremento delle capacità di ricchezza degli altri “Grandi” del mondo, quelli racchiusi nell’acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica + Iran), sia come potenziale produttivo che come alternativa finanziaria – in particolare monetaria – globale. In fondo la Terra non è abitata da meno di un miliardo di abitanti…, no?
Ed è la Cina, al momento, quella che più sorride.
Anche perché, si badi bene, alle isteriche grida di guerra dell’Occidente non si è aggiunto, nemmeno con un cenno, alcun atto realmente, militarmente, ostile, dell’anglosfera e dei sui strumenti di alleanza-dominio bellici, la Nato o, mettiamo, l’Aukus. E questa autodichiarazione di manifesta debolezza militare, verrà ben misurata, soppesata e catalogata dalle cancellerie di Pechino e Mosca. E, alla lunga, anche, testata.
La guerra sul terreno
Psicopatologi e virologi-attori, cronisti rosa e arcobaleno, economisti da droghiere e generali da operetta, politologi e analisti “cibernetici” da lettera 22… tutto il mondo virtuale d’Occidente si è agitato e lanciato in narrazioni pacifinte sul conflitto in Ucraina, soffocando sul nascere le rare voci più equilibrate e le analisi concrete sulle motivazioni e sullo stato dell’intervento bellico russo.
Per demonizzare “lo zar Putin”, il maligno aggressore, il “dittatore”, il “criminale di guerra”, il caravanserraglio atlantico ha mobilitato tutto il suo apparato di propaganda, i suoi agenti palesi e nell’ombra, i suoi intendenti coloniali, in Europa e altrove, le masse colorate, passeggiatrici e saltatrici, i suoi clown e i suoi “sondaggisti”, le sue organizzazioni umanitarie e diritto-umaniste governative e non governative, la sua macchina da guerra – come dicono loro – resiliente e ibrida.
A dispetto del reale sviluppo dell’intervento militare sul terreno e senza alcuna vergogna, media, inviati “di guerra” nelle cantine di Kiev o ben lontano dal fronte ed “esperti” atlantici, come un sol uomo hanno via via informato il volgo occidentale sull’eroica resistenza ucraina “strada per strada”, sulle “infiltrazioni russe sventate”, sull’ “eroismo di Zelenski”, sulle coraggiosissime sanzioni – suicide per tutta l’economia europea, italiana e tedesca in particolare - decise dal braccio politico della Nato sul nostro continente, la cosiddetta UE, e, quindi, in un crescendo agitatissimo sfornato titoli e commenti come:
“La guerra nel cuore dell’Europa. I russi respinti dalle città. Mosca umiliata. Vacilla il potere di Putin. Lo zar furioso. Follia nucleare”, et cetera, et cetera.
Nessuna parola sulle stragi nel Donbass o a Lugansk o a Odessa. Nessun ricordo delle vittime, civili, bambini – gli “angeli” ricordati da un monumento di fronte al quale sono stati fatti sostare i prigionieri ucraini catturati dai militari delle repubbliche indipendenti – nessun accenno ai battaglioni nazionalisti e alla loro guerra civile contro i loro connazionali russofoni con bandiere pro Nato, pro Israele, pro Ucraina (e pro CP!),e, al contrario, nessun riferimento alla propaganda dei golpisti di Maidan (2014), i governativi di Kiev, contro “le repubbliche di Salò” di Donetsk e Lugansk… (In un modo o nell’altro, o da una parte o dall’altra, dunque, il fascismo resta presente ovunque e immutabile, grazie al lavaggio del cervello operato dallo stalinismo…)
Eppure il Cremlino era stato ben chiaro. L’intervento era volto a farla finita con la strage – 14.000 morti in otto anni - di cittadini ucraino-russi degli oblast orientali (ora riconosciuti indipendenti) assediati e bombardati da forze regolari e milizia nazionalista e per non permettere l’insediamento di missili nucleari Nato ai suoi confini – a trecento chilometri da Mosca - con la neutralizzazione dei dispositivi bellici ucraini (circa millecinquecento le postazioni, le forze aeree, i depositi di armamenti e le unità produttive i agenti chimici e di presidii bellici distrutti dai missili già soltanto nelle prime 94 ore).
Né occupazione permanente del territorio, né ingresso nelle città, né taglio delle risorse energetiche (servizi elettrici, idrici, trasporti, forniture di beni essenziali) ma apertura di “corridoi” per l’esodo dei civili dai centri urbani.
Strana tenaglia disumana quella applicata dal Satanico Zar. Che si è permesso addirittura di definire – ohibò, che mancanza di tatto…- “drogato” il magnifico guerriero Volodymir Zelenski, il comico lgbtq (guardatevi il video youtube “Cosacchi”…), presidente eletto dai partiti post-Maidan (il golpe del 2014) alla guida dell’Ucraina.
In realtà il teatro di guerra, già al sesto giorno dall’inizio delle ostilità era ben chiaro e limitato. Naturalmente nessuna grave distruzione urbana, nessuna guerra casa per casa, nessun bombardamento (pratiche peraltro più “consone” – dalla caduta del muro di Berlino in poi – alle linee militari guida angloamericane, della Nato, dei sionisti e dei satelliti-colonia tipo Italia ma anche Turchia o petromonarchie del Golfo: vedi Bosnia, Serbia, Iraq, Siria, Yemen).
Le forze armate russe sono riuscite a isolare in quasi completa sicurezza i territori in maggioranza russofoni orientali e meridionali. Non soltanto tagliando dalle regioni ucraine occidentali quasi per intero gli oblast di Kharkov, Lugansk e Donetsk, ma anche gran parte della regione della Novorossiya lungo le coste del Mar nero, costringendo i battaglioni nazionalisti (Azov e miliziani Pravi Sektor) in una sacca nei pressi di Mariupol e, più a ovest, di Kherson anche con il blocco totale del Mar nero fino ad Odessa. Nonché a cingere d’assedio vari centri urbani tra la frontiera settentrionale con Russia e Bielorussia fino ai sobborghi di Kiev.
Le provocazioni atlantiche
Chiunque abbia seguito - anche dal divano di casa - lo scenario internazionale negli ultimi mesi, diciamo dalla fuga USA dall’Afghanistan a oggi – non può non aver osservato vari fattori di crisi e di mutamento degli equilibri. In ordine sparso:
la debacle militare americana o comunque occidentale non soltanto a Kabul ma anche in un neo-”protettorato” come quello di Tripoli (ovest della Libia), nello Yemen (gli Huti sciiti non sono stati sopraffatti dalle forze saudite-wahabite sostenute dagli angloamericani), nel Sahel africano (di fatto quasi totalmente liberato dal protettorato francese).
Per non parlare del disastroso raccolto angloamericano dalle “rivoluzioni colorate” trasformatesi per lo più in boomerang, oppure frutto delle aggressioni militari all’Iraq (ormai zona di influenza iraniana), alla stessa Libia e alla Siria, anche indirette, attraverso la costruzione ex nihilo del fondamentalismo islamico.
Peraltro un frutto delle lezioni anti-afghane e anti-russe del defunto consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbignew Brzezinski, non a caso teorico sia della strategia della “Grande scacchiera” di pauperizzazione e predazione della Russia che, quale promotore Bilderberg, della globalizzazione, con elites sempre più ricche e popoli del pianeta sempre più poveri, le cui possibili reazioni e ribellioni dovevano essere prevenute da un “tittainment globale” (un “allattamento” generale) attraverso elargizioni a man bassa di elemosine assistenziali e di pensiero unico analfabetizzante e consumista, fatto di spettacoli e divertimenti:
rivisitazione atlantica del “panem et circenses” da distribuire alla plebe. Lezioni di globalizzazioni e di sradicamento culturale e sociale sventate, si badi bene, da un unico Paese, la Russia, ricostruita, a dispetto dell’iniziale colonizzazione angloamericana, da Vladimiro Putin.
Negli USA, in particolare, si è assistito al crollo del consenso che ha travolto la presidenza a stelle e strisce di Joe Biden, con le elezioni di mezzo mandato (mid-term) quasi alle porte (che si annunciano una debacle per i “democratici”), e a vertiginosi squilibri in rosso dell’economia, stretta dalla concorrenza commerciale di Pechino, da un’accelerata ripresa dell’inflazione e da una sempre più pronunciata fragilità del dollaro.
Estrema debolezza del biglietto di carta verde oggetto di una graduale e incessante svalutazione reale dovuta sia agli investimenti ovunque nel mondo - con l’utilizzo di questa valuta per l’acquisto di assets strategici industriali, produttivi e finanziari – di gran parte delle riserve monetarie cinesi, e sia alla incessante corsa di russi e cinese alla sostituzione delle proprie riserve in dollari con massicci acquisti di oro.
E’ a Washington che serviva qualche pretesto (per loro una guerra è sempre il massimo dell’investimento possibile: la lista delle guerre atlantiche è lunghissima, anche non comprendendo nemmeno tutte le guerre indotte sulla pelle di tanti popoli del mondo) per allontanare per qualche tempo il declino. Magari riesumando una divisione del mondo in 2+1 sfere di influenza.
Facendo calare una nuova cortina di ferro tra la propria colonia euro-occidentale e il resto del pianeta. Così da vendicare anche i Rothschild e l’intera comunità di banksters al suo seguito, che a Mosca fanno pochi affari (a Giorgio Soros è comunque andato peggio: in Russia è persona non gradita).
Ricordatevi, fra qualche tempo, i nomi dei veri criminali e dei loro vassalli. Per noi italiani identificarli è facile, elementare: tutti i teorici uomini di potere, governativi e d’opposizione, con i loro media e i loro “intellettuali”, più che altro dei servi della gleba.
Scritto da Ugo Gaudenzi
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