Pratiche esoteriche, magia, sedute spiritiche ed esoterismo: il Gabriele D’Annunzio leggendario è da sempre più interessante di quello che insegnano a scuola.
Gabriele D’Annunzio (forse l’abruzzese d’oc più illustre che ci sia) era, com’è ormai abbastanza noto, molto superstizioso, proprio come i suoi conterranei. La superstizione, nelle sue innumerevoli sfaccettature mistico-religiose e folkloristiche, è sempre stata uno dei tratti caratteristici più marcati dell’identità abruzzese, specie se ci si riferisce alla cosiddetta “cultura bassa”, in altre parole quella della gente semplice, del popolino. Una superstizione che, appunto, è sempre andata di pari passo, si direbbe quasi a braccetto, con la religione, in quel particolare sincretismo comune un po’ a tutto il meridione e che è intriso di reminiscenze arcaiche e pagane che si perdono nella notte dei tempi.
Questa inclinazione verso il magico e il meraviglioso si manifestò nel poliedrico abruzzese nelle forme più disparate. Lungo tutto l’arco della sua vita, D’Annunzio si munì di amuleti di vario tipo.
Tra i più particolari e “intimi” vi erano sicuramente quelli confezionati utilizzando i peli pubici delle sue tante amanti, in particolare Elvira Natalia Fraternali Leoni, per il Vate Barbara, che intrecciò una relazione con lo scrittore durata circa cinque anni e che fu per lui una feconda fonte d’ispirazione artistica. Per intenderci, Ippolita Sanzio, la sfortunata protagonista del romanzo Trionfo della morte del 1894, altro non è che una parafrasi letteraria della stessa Barbara.
Altra passione tutta dannunziana era quella per le pietre preziose e magiche, le proprietà dei metalli, le energie vegetali, le forze naturali in generale e, soprattutto, gli animali come simboli. Dall’aquila al cavalluccio marino, dal cigno al granchio, dal leone alla tartaruga, D’Annunzio si identificò spesso con quest’ultima per una ragione magica essendo simbolo dell’astuzia, del silenzio, della prudenza e della longevità.
D’Annunzio era particolarmente scaramantico anche per quanto riguarda i numeri. Nelle stanze del Vittoriale, la sua ultima e opulenta dimora, ricorre un singolare simbolismo numerologico che ha quasi dell’ossessivo. Nella stanza del Lebbroso, ad esempio, i lati sono sette.
I suoi numeri favoriti erano il nove e ancor più il sette; il ventuno e il ventisette, multipli di sette e nove. Il numero preferito in assoluto era l’undici. Amava anche il numero tre, che contrassegnò la “ritmica” di alcuni suoi lavori: La figlia di Iorio è divisa in tre atti e trentatré sono i giorni, scanditi in tre periodi, in cui idealmente si svolge l’azione.
Era invece ossessionato e terrorizzato dal numero tredici, tanto da non nominarlo né tantomeno scriverlo. Questa esasperata diffidenza lo portava addirittura a datare l’anno 1913 come “1912 più 1”.
Curiosamente, la credenza nel potere magico dei numeri era condivisa anche dal suo amico/nemico Filippo Tommaso Marinetti – poeta e teorico del Futurismo – le cui scelte di vita erano spesso prese seguendo alcune formule scaramantiche. E come quest’ultimo, D’Annunzio fu assiduo frequentatore di sedute spiritiche e nella sua cerchia di amicizie non mancavano esponenti di quel “mondo occulto” (cartomanti, medium, parapsicologi, guaritori, mesmerizzatori) che, dalla metà dell’Ottocento fino almeno alla Prima Guerra Mondiale, rappresentò il contraltare misterioso di tutti gli strati della società, dalla classe media, risalendo attraverso la borghesia, fino alle vette del bel mondo.
Non vi era in sostanza salotto aristocratico dove non si tenessero periodicamente delle sedute spiritiche. Lo spiritismo era diventato una vera e propria moda e, allora come oggi, guai a non essere aggiornati sulle ultime tendenze, specie per chi apparteneva alle classi agiate.
In particolare, tra le esperienze più note, si ricorda la seduta spiritica alla quale D’Annunzio partecipò a Napoli, attorno al 1892-1893, in casa della contessa russa Polozof, presente la medium più famosa dell’epoca: la pugliese Eusapia Palladino.
Un certo esoterismo spiccatamente macabro influenzò anche artisticamente la produzione dannunziana. Basti pensare, ad esempio, all’editio picta dell’Isaotta Guttadauro, raccolta di poesie edita nel 1886.
Realizzate da artisti quali Giulio Aristide Sartorio, Giuseppe Cellini e Mario De Maria, le illustrazioni per il prezioso volume sono espressione di un immaginario simbolista venato di “oscurità nordica” dove, in contesti “gotici” come boschi e rovine di castelli e abbazie, spiccano figure inquietanti come donne-serpente, diavoli, apparizioni di spettri e danze macabre al chiaro di luna.
L’immersione di D’Annunzio nel suo personalissimo universo magico aumentò d’intensità soprattutto dopo l’incidente aereo del 16 gennaio 1916 in cui perse l’occhio destro. Dopo quell’episodio – che segnò anche una svolta nella sua carriera, con la stesura del romanzo Notturno – egli stesso si autodefinirà “Mago” o “Orbo veggente”:
con la perdita parziale della vista, un’altra e più potente “visione” si svilupperà in lui, con l’apertura del cosiddetto “terzo occhio del poeta”, espressione che si fa risalire alla poesia simbolista francese di Baudelaire, Mallarmé e compagni.
Quei poeti maledetti capaci anche di guardare, per l’appunto come dei veggenti, oltre la materialità terrena e l’apparenza delle cose.
Dall’eremo del Vittoriale, dove trascorse l’ultima fase della sua vita, D’Annunzio cercò anche d’influenzare, ma infruttuosamente, la politica di Mussolini, inviandogli in un paio di occasioni anche degli amuleti portafortuna. Rimane anche un epistolario intessuto di suggestioni esoteriche nelle quali – tra le altre cose – il Vate indica al Duce le migliori mosse politico/militari; azioni suggerite dai suoi… antenati con i quali era in comunicazione astrale.
Secondo le ultime volontà dello stesso Vate, un chirurgo, dopo l’esposizione della sua salma nella camera ardente allestita al Vittoriale, stava per tagliare via un orecchio per farne dono al Duce. Mussolini riuscì ad evitare che si compisse quella pratica quasi profanatoria, e a tornare a Villa Torlonia fortunatamente a mani vuote ma, come riferisce sua moglie Donna Rachele, in uno stato di grande agitazione.
Spesso D’Annunzio rivelò di avere avuto apparizioni. Tra le più clamorose, la visione di San Francesco sfolgorante sulle acque del Tevere, avvenuta nel 1908; quella della sorella Anna (morta nel 1914) verificatasi nel 1925 proprio nel giorno di Sant’Anna, e ancora il fantasma dell’attrice Eleonora Duse (la sua amante più famosa) che si sarebbe curvato su di lui sino a sfiorarlo.
Ancora, il poeta si calò nei panni di uno sciamano in grado di operare guarigioni miracolose. In una lettera all’attrice Maria Melato, scritta nell’inverno del 1927, leggiamo che «Col semplice tocco delle mie dita sulle tempie convulse, io so abolire la stanchezza e ogni altra pena!».
All’architetto e amico Giancarlo Maroni spettò di progettare le modifiche e gli ampliamente da apportare alla “Santa Fabbrica” del Vittoriale. La scelta non fu per nulla casuale:
pare che Maroni avesse una particolare sensibilità, che fosse una di quelle persone che “sentono”; inoltre, sono dichiarati i suoi interessi verso il mondo degli spiriti e la sua presenza come medium in molte sedute spiritiche. Abitò tutta la vita al Vittoriale, affermando di essere in contatto costante con D’Annunzio anche dopo la morte di questi avvenuta il 1° marzo 1938.
Gabriele D’Annunzio viene da sempre identificato, e sicuramente a ragione, come il cantore del vivere inimitabile, il “superuomo” di nietzschiana memoria che voleva «vivere la vita come si fa un’opera d’arte», quasi fosse la controparte italiana di quel dandy incarnato prima di lui da Oscare Wilde.
Sollevato, però, il pesante drappo dorato e bizantino sul quale calcò i suoi passi verso l’eternità, scopriamo quell’aspetto misterico, fanaticamente superstizioso (ed anche un poco ilare, perché no) che tanto deriva da quelle origini abruzzesi “forti e gentili” mai rinnegate e anzi, sempre affettuosamente, nostalgicamente rivissute e vivificate nella sua vita così come nella sua opera letteraria.
Scritto da Danilo Borri
Bibliografia:
– Gianfranco De Turris (a cura di), Esoterismo e Fascismo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2006
– Simona Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, Liguori Editore, Napoli, 2002
– Paolo Di Vincenzo, Il D’Annunzio superstizioso, Il Centro
Fonte: goticoabruzzese.it
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