C’è un tempo per sognare ed uno per i bilanci. Ed il raffronto tra i due, spesso, dà luogo al tempo della nostalgia. E’ l’incontro della saggezza senile con i ricordi dei verdi anni, il momento in cui i candidi e vitali sogni giovanili perdono definitivamente ogni residuale e credibile paludamento ideologico.
E ci si accorge di aver vissuto pirandellianamente, tra tante maschere e pochi volti.
A volte basta un nulla perché d’improvviso si riaccenda il ricordo di un amore passato, di un viaggio, del giorno della prima comunione, della laurea. Il mio ultimo flash back è da ricondurre alla lettura di un anno lontano nel tempo in cui la disoccupazione giovanile fece registrare un tasso molto alto:
era il 1977.
Anche quello fu un anno particolarmente difficile, segnato dagli effetti della politica di austerità varata da un governo di unità nazionale. Effetti che evidenziarono l’esistenza di una profonda frattura tra le frange del comunismo extra parlamentare e quello ufficiale delle Botteghe Oscure. Il 1977 si ricorda per la cacciata di Luciano Lama, segretario nazionale della Cgil, dall’Università di Roma occupata. Dalle lacerazioni interne al movimento comunista giovanile spuntò l’ipotesi della legittimità della lotta armata per il comunismo che si concretò con i ferimenti e gli omicidi di giornalisti – Indro Montanelli, Walter Tobagi, Carlo Casalegno – magistrati – Emilio Alessandrini, Vittorio Bachelet – sindacalisti – Guido Rossa – intellettuali – Ezio Tarantelli – ed ancora, militari, industriali…
Un crescendo di terrore che si concretò in 2.128 attentati, trentadue gambizzati e undici omicidi.
Sulla sponda opposta, quella neofascista, si avvertiva invece la necessità di superare la fase della mera testimonianza, del ricordo nostalgico del “quando c’era Lui”, dei “braccetti a molla” pronti a scattare nel saluto romano. Sempre più forte diventava il desiderio di abbandonare le torri d’avorio delle costruzioni filosofiche per andare verso il popolo con i suoi problemi esistenziali. Fu un’avanguardia rivoluzionaria organica a Linea Futura, la corrente minoritaria missina di Pino Rauti, ad adottare il principio del primum vivere deinde philosophari nella prassi politica.
Forte del radicamento territoriale (scuola, luogo di lavoro, università, quartieri cittadini), la giovane Destra cominciò pian piano a conquistare spazi di agibilità politica grazie all’analisi dei bisogni e all’elaborazione di soluzioni “alternative” alle gravi difficoltà dei cittadini.
Pur senza abbandonare le dispute sui massimi sistemi, essa prese a confrontarsi sui temi dell’economia, ecologia, etologia, sociologia, urbanistica, arte, musica dando un senso compiuto a quella riconquista della realtà auspicata da Generoso Simeone a colpi di proposte moderne, puntuali ma ancorate saldamente alla tradizione nazionale.
Conobbi il proconsole beneventano di Pino Rauti – così come lo definiva la stampa di regime – per motivi professionali nel ‘76. Sull’onda del successo ottenuto con il contributo del sindacato dei tabacchicoltori della Cisnal, nella lotta per l’assegnazione delle quote di produzione, Generoso Simeone con un manipolo di giovani sanniti, creò l’Upas (Unione Provinciale Agricoltori Sanniti) allo scopo di aiutare gli agricoltori ad acquistare a prezzi contenuti i presidi fitosanitari ed i fertilizzanti indispensabili all’ottenimento di prodotti agricoli di qualità e a garantir loro la necessaria assistenza tecnica a titolo gratuito.
Le adesioni degli agricoltori all’Unione crescevano rapidamente, dalla valle telesina all’alto Fortore, testimoniando così la fondatezza delle teorie simeoniane. E tra un viticoltore ed un tabacchicoltore, Generoso Simeone trovava anche il tempo per girare in lungo ed in largo per il Paese allo scopo di organizzare il I Campo Hobbit. Ai miei occhi appariva come un missionario, un testimone della fede, un esempio da imitare, il costruttore di un sogno.
Ed il sogno prese le forme di un campo sportivo in terra battuta di una tranquilla cittadina agricola, lontana dalle tensioni politiche delle grandi città, sulla recinzione del quale svettava una cortina di bandiere rosse con la croce celtica. Montesarchio fino allora nota per il carcere borbonico in cui fu rinchiuso Luigi Settembrini, da quel giugno del ’77, sarebbe stata anche ricordata per la storica svolta della gioventù rauto-missina.
Per due giorni su quel palcoscenico polveroso ed assolato si alternarono gruppi di musica alternativa provenienti da ogni dove, mentre i circa 1500 giovani, convenuti da tutt’Italia e lontani anni luce dagli stereotipi rappresentati dalla stampa di regime, seduti in cerchio sulla nuda terra animavano dibattiti privi di qualsiasi connotazione nostalgica su come e con quali argomenti si poteva incidere nelle realtà sociali.
Tra quei giovani, non ancora quarantenne, Antonio Parlato, consigliere comunale di Napoli e marittimista di vaglia, partecipò da protagonista all’esperienza comunitaria.
“Noi dobbiamo acquistare la capacità di essere presenti laddove esiste un problema e si ricerchi una soluzione. Le soluzioni dovranno essere quelle nostre, rivoluzionarie, come rivoluzionario ed anticonformista è il nostro modo, antimarxista ed anticapitalista e quindi spirituale, organico ed interclassista, di concepire la società ed il rapporto fra questa e gli individui che la compongono”, così Parlato scriveva nel corposo documento F/77 anticipando di qualche mese le tesi dominanti del Campo Hobbit.
Aveva tra l’altro ipotizzato la formazione di commissioni di studio: “Problemi dei Quartieri Popolari”, “Orientamenti Ideologici e Formazioni Politiche”; la creazione di Commissioni Permanenti per il “Costo della vita”, l’“Assistenza agli anziani”, “Piena occupazione”, “Casa ed Equo Canone”; l’istituzione di Commissioni speciali per la “Delocalizzazione dell’Italsider”, il “Servizio civile femminile obbligatorio”, la “Scuola aperta”, il “Rilancio della Mostra d’Oltremare”, il “Recupero del verde pubblico”, i “Problemi dello sviluppo portuale”.
La tesi parlatiane non furono accolte dal favore del Congresso provinciale del Msi, ma da quel momento per noi giovani la qualità della militanza mutò radicalmente e fu un crescendo di approfondimenti, studi ed elaborazioni che trovavano puntualmente in Antonio Parlato il terminale politico.
Il terremoto del novembre ’80 fu un severo banco di prova. L’esame fu superato brillantemente al punto che nel 1982 e nel 1986 con l’elezione di Antonio Parlato a Segretario Federale di Napoli la corrente rautiana diventa maggioranza. Furono gli anni della “Legge speciale per Napoli”, della “proposta per la ricostruzione”, del “Progetto Napoli Capitale”. Poi giunsero i tempi bui delle dimissioni di Pino Rauti da Segretario nazionale del Msi e quelli dell’abbandono della casa del Padre. In tanti continuarono a far politica tenendo ben presente i Valori identitari anche dopo aver traslocato, ma ancora più numerosi furon coloro che con ansia aspettavano il rompete le righe.
Quelle barriere ideologiche che per troppo tempo avevano precluso loro la possibilità di occupare gli scranni del potere. A Fiuggi bastò un’alzata di mano per passare dall’”alternativa al sistema” all’”alternanza nel sistema”, di corsa verso una prospera omologazione.
Scritto da Lidio Aramu
Fotoservizio di Lidio Aramu
Tratto da ilnapoletano.org
Nessun commento:
Posta un commento