giovedì 23 dicembre 2021
René Guénon - La crisi del mondo moderno | Prefazione dell'Autore
Prefazione dell'Autore
La crisi del mondo moderno
Alcuni anni fa, scrivendo Oriente e Occidente, pensavamo di aver fornito tutte le indicazioni utili relative all’argomento trattato, almeno per quel momento [1].
Da allora, gli avvenimenti si sono precipitati con una velocità sempre crescente, tanto da rendere opportune alcune precisazioni supplementari, le quali, senza cambiare una sola parola di ciò che dicemmo allora, saranno costituite dallo sviluppo di alcuni punti di vista che in un primo tempo non avevamo ritenuto necessario approfondire.
Tanto più che tali precisazioni si impongono per il fatto che, negli ultimi tempi, abbiamo visto affermarsi ulteriormente e in maniera parecchio aggressiva, alcune delle confusioni che ci eravamo preoccupati di segnalare e di dissipare; ora, pur astenendoci accuratamente dal partecipare a qualsivoglia polemica, abbiamo ritenuto opportuno puntualizzare ulteriormente alcune questioni.
In questo campo vi sono delle considerazioni, financo elementari, che sembrano talmente estranee alla stragrande maggioranza dei nostri contemporanei che, per farle loro comprendere, è necessario riproporle a più riprese, presentandole sotto differenti aspetti e spiegandole in maniera sempre più ampia via via che le circostanze lo permettono; cosa questa che può dar luogo a delle difficoltà che non sempre è possibile prevedere fin dall’inizio.
Lo stesso titolo del presente volume richiede alcuni chiarimenti che è necessario fornire a priori, affinché si sappia cosa ne pensiamo e non si ingeneri alcun equivoco a riguardo.
Che si possa parlare di una crisi del mondo moderno, assumendo il termine «crisi» secondo la sua accezione ordinaria, è una cosa che molti, ormai, non mettono più in dubbio, e a questo proposito si è prodotto un cambiamento alquanto sensibile:
sotto la stessa spinta degli avvenimenti certe illusioni cominciano a dissiparsi e, da parte nostra, non possiamo che compiacercene, poiché, malgrado tutto, si tratta di un sintomo assai favorevole, indice di una possibilità di raddrizzamento della mentalità contemporanea, qualcosa che si presenta come un piccolo barlume in mezzo al caos attuale.
È così che la credenza in un «progresso» indefinito, fino a ieri considerato come una sorta di dogma intangibile e indiscutibile, non è più ammesso in maniera unanime: alcuni intravedono, più o meno vagamente e più o meno confusamente, che la civiltà occidentale invece di svilupparsi sempre nella stessa direzione, potrebbe benissimo giungere ad un punto di arresto o perfino sprofondare del tutto in qualche cataclisma.
Forse costoro non intravedono chiaramente qual è il vero pericolo, e talvolta le fantasiose e puerili paure che manifestano dimostrano a sufficienza il persistere di parecchi errori nelle loro concezioni, ma in definitiva è già qualcosa che si rendano conto che esiste un pericolo, anche quando si limitano a percepirlo piuttosto che a comprenderlo veramente, ed è anche importante il fatto che arrivino a concepire che questa civiltà di cui i moderni sono così infatuati non occupa un posto privilegiato nella storia del mondo e che può subire la stessa sorte di altre civiltà scomparse in epoche più o meno lontane, fra le quali alcune non hanno lasciato che delle infime tracce, delle vestigia appena percettibili o difficilmente riconoscibili.
Dunque, allorché si dice che il mondo moderno è in crisi, abitualmente si intende che esso è giunto ad un punto critico o, in altri termini, che si profila come imminente una trasformazione più o meno profonda, e che, volenti o nolenti, dovrà inevitabilmente prodursi un cambiamento di rotta a breve scadenza, in maniera più o meno brusca, con o senza una catastrofe.
Questo modo di vedere le cose è perfettamente legittimo e corrisponde esattamente a ciò che, per certi aspetti, pensiamo anche noi; ma solo per certi aspetti, poiché, secondo noi e ponendoci da un punto di vista più generale, è tutta l’epoca moderna nel suo insieme che si presenta come un periodo di crisi per il mondo intero; d’altronde, sembra proprio che stiamo avviandoci verso l’epilogo, ed è questo che rende più percettibile, oggi più di ieri, il carattere anormale di tale stato di cose, il quale dura ormai da alcuni secoli, ma le cui conseguenze non sono mai state così evidenti come adesso.
Ed è per lo stesso motivo che gli avvenimenti si svolgono con quella velocità accelerata di cui dicevamo all’inizio; indubbiamente tutto ciò potrà ancora andare avanti per un po’, ma certo non indefinitamente; e anzi, senza avere la pretesa di voler assegnare un limite preciso, si ha l’impressione che non possa durare ancora per molto.
Ma, lo stesso termine «crisi» contiene anche altri significati, che lo rendono ancora più idoneo ad esprimere ciò che intendiamo dire: in effetti, la sua etimologia, che spesso si perde di vista nell’uso corrente, ma a cui è opportuno ricondursi come è giusto fare tutte le volte che si vuole restituire ad una parola la pienezza del suo vero significato ed il suo valore originario, la sua etimologia, dicevamo, ne fa in parte un sinonimo di «giudizio» e di «discriminazione».
La fase che può essere detta veramente «critica», indipendentemente dell’ambito a cui ci si riferisce, è quella che sfocia immediatamente in una soluzione favorevole o sfavorevole, quella in cui interviene una decisione in un senso o nell’altro; ne consegue che è allora che è possibile esprimere un giudizio sui risultati acquisiti, è allora che è possibile soppesare i «pro» e i «contro», operando una sorta di classificazione di tali risultati, gli uni positivi, gli altri negativi, ed è allora che è possibile valutare da che parte pende definitivamente la bilancia.
Sia chiaro, comunque, che non abbiamo minimamente la pretesa di stabilire in maniera compiuta una tale discriminazione, cosa che peraltro sarebbe anche prematura, poiché la crisi non è certo ancora risolta e forse non è nemmeno possibile dire con esattezza quando e come lo sarà; tanto più che è sempre preferibile astenersi da certe previsioni che, non potendosi basare su delle ragioni chiaramente comprensibili a tutti, rischierebbero di essere male interpretate, finendo con l’aumentare la confusione invece di apporvi un rimedio.
Ciò che possiamo proporci è di contribuire, fino ad un certo punto e per quanto lo permettono i mezzi di cui disponiamo, a dare, a coloro che ne sono capaci, la coscienza di alcuni dei risultati che allo stato attuale sembrano essersi chiaramente fissati; ed a preparare, foss’anche in maniera molto parziale ed assai indiretta, gli elementi che dovranno poi servire per il futuro «giudizio», a partire dal quale si aprirà un nuovo periodo della storia dell’umanità terrena.
Alcune delle espressioni che abbiamo appena impiegate evocheranno, indubbiamente, nell’animo di alcuni, l’idea di ciò che si chiama il «giudizio universale», e, a dire il vero, non a torto; d’altronde, sia che lo si intenda in maniera letterale o simbolica, o in entrambi i modi, visto che in realtà questi non si escludono affatto fra loro, la cosa è qui poco importante, né questo è il luogo e il momento per spiegarci interamente sull’argomento.
In ogni caso, il soppesare i «pro» ed i «contro», il valutare i risultati positivi e negativi di cui dicevamo prima, può sicuramente far pensare alla separazione degli «eletti» e dei «dannati» in due gruppi ormai fissati immutabilmente; ed anche se si tratta solo di una analogia, bisogna riconoscere che, quantomeno, si tratta di una analogia valida e ben fondata, conforme alla natura stessa della cose; il che richiede ancora alcuni chiarimenti.
Certo, non è un caso che oggigiorno tanti siano ossessionati dall’idea della «fine del mondo»; e ci si può rammaricare di ciò, sotto certi aspetti, poiché le stravaganze a cui dà luogo una tale idea mal compresa, le divagazioni «messianiche» che ne derivano in certi ambienti, tutte queste manifestazioni derivate dallo squilibrio mentale della nostra epoca, non fanno che aggravare sempre più questo stesso squilibrio, e in misura assolutamente non trascurabile; ma, in definitiva, è altrettanto vero che ci si trova al cospetto di un fatto che non ci si può esimere dal prendere in considerazione.
L’atteggiamento più comodo, di fronte a cose di questo genere, è sicuramente quello di evitarle puramente e semplicemente, senza esami ulteriori, di trattarle come degli errori o delle fantasticherie senza importanza;
tuttavia noi riteniamo che, pur trattandosi di errori e nonostante il fatto che vanno denunciati come tali, è molto più opportuno ricercare le ragioni che li hanno provocati e la parte di verità, più o meno deformata, che malgrado tutto essi possono contenere, poiché, essendo l’errore, in definitiva, solo un modo d’esistenza puramente negativo, non è possibile riscontrare in nessun caso l’errore assoluto, il quale è solo una parola priva di significato.
Se si considerano le cose in questo modo, ci si accorge facilmente che questa preoccupazione della «fine del mondo» è strettamente connessa allo stato di malessere generale nel quale viviamo attualmente:
l'oscuro presentimento di qualcosa che effettivamente sta per finire, agendo in maniera incontrollata sull’immaginazione di certuni, vi produce, in modo del tutto naturale, delle raffigurazioni disordinate e molto spesso grossolanamente materializzate, raffigurazioni che a loro volta si traducono esteriormente in quelle stravaganze di cui dicevamo prima.
Questa spiegazione, comunque, non può essere una scusa a favore di queste ultime, o quantomeno: se è possibile scusare coloro che cadono involontariamente nell’errore, perché vi sono predisposti da uno stato mentale di cui non sono responsabili, questa non è una buona ragione per scusare l’errore in se stesso. Del resto, per quanto ci concerne, non ci si può certo rimproverare una eccessiva indulgenza nei confronti delle manifestazioni «pseudo-religiose» del mondo contemporaneo, né tampoco nei confronti di tutti gli errori moderni in generale; sappiamo anzi che certuni sarebbero piuttosto tentati di rivolgerci il rimprovero opposto, e forse ciò che diciamo in questa sede farà meglio comprender loro qual è il modo in cui noi consideriamo queste cose:
ci sforziamo di porci sempre dal solo punto di vista che importi, quello della verità imparziale e disinteressata.
Ma non è tutto: una spiegazione semplicemente «psicologica» dell’idea della «fine del mondo» e delle sue attuali manifestazioni, per giusta che sia nel suo ordine, non potrebbe essere da noi considerata come pienamente sufficiente; fermarsi ad essa, significherebbe lasciarsi influenzare da una di quelle illusioni moderne contro le quali noi ci leviamo proprio in ogni occasione.
Abbiamo detto prima che alcuni sentono confusamente la fine imminente di qualcosa di cui non possono definire con esattezza la natura è la portata; e bisogna ammettere che costoro hanno una percezione molto reale, quantunque vaga e soggetta a delle false interpretazioni o a delle deformazioni immaginative, poiché, quale che sia questa fine, la crisi che in essa deve necessariamente sfociare è del tutto manifesta e una moltitudine di segni non equivoci e facili da individuare conducono tutti in maniera concordante alla medesima conclusione.
Tale fine, indubbiamente, non è la «fine del mondo» nel senso totale con cui la intendono certuni, ma essa è quantomeno la fine di un mondo; e se ciò che deve finire è la civiltà occidentale nella sua forma attuale, è comprensibile che coloro che si sono abituati a non dar conto a quanto vi è al di fuori di essa, a considerarla come «la civiltà» senza eccezioni, credano facilmente che tutto finirà con essa, che con la sua scomparsa si verificherà veramente la «fine del mondo».
Diremo dunque, per ricondurre le cose alla loro giusta dimensione, che sembra che ci si avvicini realmente alla fine di un mondo, vale a dire alla fine di un’epoca o di un cielo storico, i quali peraltro possono essere in corrispondenza con un ciclo cosmico, secondo quanto insegnano sull’argomento tutte le dottrine tradizionali.
In passato si sono già verificati degli avvenimenti simili, e senza dubbio ve ne saranno ancora altri in avvenire; avvenimenti che, del resto, hanno rivestito un’importanza ineguale: a seconda che corrispondevano alla fine di periodi più o meno estesi e che interessavano o l’insieme dell’umanità terrena o solo l’una o l’altra delle sue parti, oppure una razza o popolo determinati.
Nello stato attuale in cui si trova il mondo, vi è da supporre che il cambiamento che interverrà avrà una portata assai generale, e che, quale che sia la forma che esso rivestirà e che noi non intendiamo affatto cercare di definire, interesserà più o meno l’intero pianeta. In ogni caso, le leggi che reggono tali avvenimenti sono applicabili analogicamente ai gradi più diversi, di modo che quando si parla della «fine del mondo», nell’accezione più completa possibile, la quale peraltro è riferita ordinariamente solo al mondo terrestre, la stessa concezione è ugualmente valida, fatte salve le dovute proporzioni, nel caso della fine di un mondo qualunque, intesa in un senso molto più ristretto.
Queste osservazioni preliminari aiuteranno parecchio a comprendere le considerazioni che seguono; noi abbiamo già avuto occasione, in altri nostri lavori, di fare spesso allusione alle «leggi cicliche»; ora, sarebbe forse difficile esporre tali leggi in maniera completa e in una forma facilmente accessibile alla mentalità occidentale, ma è almeno necessario possedere alcuni dati sull’argomento se si vuole avere un’idea reale di ciò che è l’epoca attuale e di ciò che essa rappresenta esattamente nell’insieme della storia del mondo[2].
È per questo che noi inizieremo col mostrare che le caratteristiche di quest’epoca sono proprio quelle indicate dalle dottrine tradizionali di tutti i tempi per il periodo ciclico alla quale essa corrisponde; e questo equivarrà anche col mostrare che ciò che è anomalia e disordine da un certo punto di vista è, tuttavia, un elemento necessario di un ordine più vasto, una inevitabile conseguenza delle leggi che reggono lo sviluppo di ogni manifestazione.
Del resto, diciamolo subito, quest’ultima non è una ragione sufficiente per limitarsi a subire passivamente il disordine e l’oscurità che sembrano momentaneamente trionfare, poiché se così fosse avremmo solo da assistere in silenzio; mentre invece si tratta di una buona ragione per operare, nei limiti del possibile, in vista dell’uscita da questa «età oscura», di cui moltissimi indizi permettono già di intravedere la fine come più o meno prossima, se non addirittura del tutto imminente.
E anche questo rientra nell’ordine, poiché l’equilibrio è il risultato dell’azione simultanea di due opposte tendenze; se solo una delle due potesse cessare interamente d’agire, l’equilibrio non potrebbe mai più stabilirsi e lo stesso mondo svanirebbe; ma questa supposizione è irreale, poiché i due termini di una opposizione hanno senso solo l’uno in dipendenza dell’altro, e, quali che siano le apparenze, si può star certi che tutti gli squilibri parziali e transitori concorrono alla fine alla realizzazione dell’equilibrio totale.
Scritto da René Guénon
Cap. I - L’età oscura
Cap. II - L’opposizione fra Oriente e Occidente
Cap. III - Conoscenza e azione
Cap. IV - Scienza sacra e scienza profana
Cap. V - L’individualismo
Cap. VI - Il caos sociale
Cap. VII - Una civiltà materiale
Cap. VIII - L’invasione occidentale
Cap. IX - Qualche conclusione
* Traduzione di Calogero Cammarata
[1] Oriente e Occidente venne pubblicato nel 1924, mentre la Crisi del Mondo Moderno apparve nel 1929. (n.d.t.)
[2] Si possono trovare delle considerazioni più dettagliate nella raccolta di articoli pubblicata col titolo Forme Tradizionali e Cicli Cosmici. (n.d.t.)
mercoledì 22 dicembre 2021
CONTINUA IL SILENZIO SUL ROGO DI AIROLA | AMBIENTE
continua il SILENZIO SU ROGO DI AIROLA
Non ci sono novità di rilievo sul rogo di Airola del 14 ottobre 2021. Una decina di giorni fa abbiamo acceso i riflettori sul rischio silenzio che ha poi avvolto il caso. Resta fitta la coltre fatta di risposte inevase che porta a Napoli sulla stessa traiettoria della nube sprigionatasi dalla Sapa.
Il Comitato Ambiente e Salute Valle Caudina, a microfoni spenti, ci aveva assicurato l'imminenza di un tavolo di lavoro. L'incontro con l'Arpac era fattibile anche per dare risposte definitive alle domande nate durante la trasmissione di Tommaso Bello, Status Quo, diffusa in diretta sulle frequenze digitali di UserTv. In quell'occasione mancava proprio la voce dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale in Campania.
COMITATO
Abbiamo contattato il Portavoce, l'avvocato Domenico Forgione, che purtroppo ci ha confermato il misterioso slittamento, forse in vista delle festività natalizie. Un silenzio che appare inspiegabile, alla luce della tanto decantata trasparenza amministrativa e politica:
"Niente, nessuna riunione con l'Arpac, pur avendo avuto una iniziale apertura - dichiara Forgione. Dopo infruttuosi tentativi fatti dalla presidente del comitato, la responsabile Arpac provinciale, la dott.ssa Barricella, si è sottratta ad ogni confronto". Almeno fino ad ora. Evidentemente gli impegni sono parecchi e risulta complicato dare delle scadenze a breve termine. "Il Comitato - chiude l'avvocato Caudino - continuerà la sua battaglia tramite vie formali".
REGIONE
La consigliera regionale Marì Muscarà annuncia un passo in avanti dell'Arpac sul fronte del monitoraggio dell'aria, oltre alle proposte sulla Legge di stabilità. Purtroppo le richieste della Muscarà potrebbero rimanere inevase, pur se riferite alla nascita di un Fondo per rafforzare i controlli ambientali nei luoghi ad alto rischio incendio di materiali pericolosi.
"I nostri interventi (giornali, riunioni, convegni, audizioni) alla fine hanno raggiunto l’obiettivo - dichiara la consigliera del M5S - che da anni rincorrevamo, anche se solo parziale. Finalmente si comincia a capire che non basta monitorare ma bisogna farlo con criterio per consentire una lettura chiara che porti a risolvere i problemi, non semplicemente monitorare per riempire tabelle...".
La Pentastellata Partenopea lancia così un chiaro riferimento alla vicenda ambientale di Airola e ribadisce la legittimità delle sue richieste di approfondimento tecnico, aspramente criticate.
futuro
Lo Schiaffo 321 cercherà di mantenere accesa la luce sulla delicata questione ambientale della Valle Caudina. Tenere alta la guardia significa anche informare le cittadine e i cittadini della Nuova Caudium sugli sviluppi, sull'evoluzione o involuzione di un problema d'interesse comunitario.
Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo
SKÖLL - Un atto di stregoneria (2021)
Gruppo: Sköll
Brano: Un atto di stregoneria
Anno: 2021
Magistrato invoca le dimissioni di Draghi: “Vattene via, basta macelleria sociale” (VIDEO) | POLITICA
Basta macelleria sociale!
Lo Schiaffo321 propone il video del Magistrato in pensione, Edoardo Vitale, Direttore de L'Alfiere e Presidente di Sud e Civiltà che attacca educatamente Sir Drake.
"Nessuno ti ha eletto, ma decidi la vita delle persone. Perché proprio tu, Mario Draghi? Sei salito sul panfilo Britannia? Bravo! Davanti ai delegati della City di Londra, che non sono certo - dice il dottor Vitale - benefattori dell’umanità. E hai esaltato le privatizzazioni. Quello che fai meglio, come ha detto il Vice Presidente Emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, è spostare la ricchezza dal patrimonio pubblico a quello dei privati, offrendo agli speculatori italiani e stranieri a prezzi stracciati i beni più importanti per la vita della comunità. Infischiandotene dell'art. 43 della Costituzione. Cosa vale il tuo giuramento? E infatti sotto di te è morta l’Alitalia.
Hai lavorato nella Goldman Sachs, una spietata società finanziaria, e come presidente della BCE hai strozzato la Grecia provocando lacrime e sangue. Gli affaristi senza scrupoli ti chiamano sempre quando serve un “terminator”. La sigla finale è “Michelina”, canzone di Benedetto Vecchio e gli MBL. Ascolta l'audio integrale dell'intervento:
TONY TAMMARO in diretta da Radio Tamarra Sound [1993]
Quarto album di Tony Tammaro uscito nel 1993 vinse la IV edizione del Festival di SANSCEMO. Questo disco è stato registrato come se fosse un programma radiofonico in diretta da una fantomatica radio chiamata "Radio Tamarra Sound" ed arricchito da diverse "Pubblicità tamarre". Audio in alta definizione.
Gli inglesi studiano la Valle Caudina #goliardia | VIDEO
La Chiave di Milot, a quattro anni dall'inaugurazione in Valle Caudina | CAUDIUM
La famosa Chiave che non serve per chiudere, ma per aprire le porte del mondo alla Valle Caudina, non ha portato né turismo, né accoglienza di nuovi stranieri e nemmeno un buon numero di fotoamatori. L'opera donata alla comunità dall'artista Milot, giovane immigrato albanese sbarcato nel 1991 ed ospitato generosamente dalla Famiglia di Felice Ferraro, è tra le sculture a forma di chiave più grandi al mondo.
Nel 2017, quando venne installata, la stampa nazionale e quella albanese diedero abbastanza risalto alla Chiave inutile e tutti si aspettavano un minimo flusso di amanti dell'arte, di semplici viaggiatori e/o di personaggi impegnati nel mondo dell'inclusione.
Invece, a distanza di anni, la mastodontica Chiave non riceve il giusto riconoscimento, anzi le polemiche datate 2018, sulla modalità di donazione, macchiarono le pagine di questa storia particolare, nata con il crollo del Partito Comunista Albanese e l'implosione politica del Comunismo. Quando la bandiera rossa cessò di svettare su Tirana, prese forma il sogno di un'Italya televisiva irreale, che non accolse i profughi della Falce & Martello, anzi li rispedì a casa, senza tentennamenti ammassati sulle bagnarole con la stella rossa cadente.
I disperati in fuga dal Regime Comunista passarono, in un attimo, dal sogno all'incubo. La Sinistra radical chic, quella arcobaleno, senza frontiere e senza identità, da anni cerca di coprire e dimenticare “la strage del venerdì Santo". Nel Canale d'Otranto trovarono la morte ben 108 profughi albanesi, saliti a bordo della nave Kater I Rades. A causa dello speronamento di un'imbarcazione della Marina militare italiana quel sogno colò a picco.
Il tragico 28 marzo pesa come un macigno sul buonismo kattokomunista, incarnato dall'onorevole Romano Prodi. La morte assurda di un centinaio di sfortunati immigrati, 81 recuperati senza vita e 27 dispersi in fondo al mare, è stata cancellata dall'immaginario kollettivo perché troppo scorretta, politicamente parlando. Le indimenticabili lacrime napulitane di Silvio Berlusconi, all'epoca in opposizione al Governo Mortadella, misero il cappello politico sulla delicata tarantella internazionale.
Il primo problema da affrontare è la collocazione inadatta strategicamente. Innestare una scultura enorme in una zona "morta" della Valle Caudina è alquanto discutibile e oltremodo opinabile. La scelta della frazione Lagno si è rivelata, abbastanza, infelice stando ai risultati. Rarissime le attenzioni dopo l'iniziale euforia, scarse le foto anche di Caudini all'ombra dell'opera. Nemmeno il turismo interno alla Valle è degno di nota. Da Bonea, Arpaia, Rotondi o Sant'Agata dé Goti nessuno è venuto ad ammirare un monumento che parla di scavalcare le barriere nel pianeta e cancellare le bandiere delle Patrie. Concetto ideologico che stride con il profondo campanilismo interno alla Valle Caudina.
Insomma, dopo i buoni propositi iniziali, l'idea di una Valle Caudina meticcia è scivolata mestamente nel classico dimenticatoio. Le Festività natalizie, ad esempio, vedono il mondo Cattolico dettar legge sugli eventi in base alle Tradizioni locali. La Caudium Aperta, però, dovrebbe e potrebbe unire anche il mondo Islamico, dei Testimoni di Geova o degli atei della Valle Caudina 2.0. Purtroppo, in molti non partecipano agli eventi di un'altra religione, seppur monoteista ed il rispetto per le altre fedi è difficile da far digerire ai rispettivi "fedeli" e "infedeli".
Tra l'altro moltissimi albanesi sono di fede islamica e ciò potrebbe contribuire, magari, a rafforzare il legame tra emigranti Caudini, molto Cattolici e la corposa frangia di profughi albanesi convertiti all'Islam, in reazione alla spietata repressione antireligiosa dell'Unione Sovietica delle Repubbliche Socialiste.
L’Albania è un Paese in prevalenza musulmano. Secondo alcune statistiche i musulmani sarebbero il 56,4%, i cattolici il 15,9%, gli ortodossi il 6,8%, i bektashi, la confraternita islamica di derivazione sufi, il 2,1%, mentre altre religioni al 5,7% e non specificato al 16,2%. Nonostante numeri così diversificati in nessun momento della sua storia il popolo albanese ha vissuto episodi di conflitto religioso. Anche negli anni antecedenti al comunismo, la convivenza interreligiosa è stata caratterizzata da pacifica armonia. È un valore molto importante per l'ex Stato sub-sovietico, sebbene sotto la dittatura rossa ci fosse un conflitto aperto nei confronti delle autorità religiose.
Basta pensare che nel maggio 1967 furono distrutti 2.169 istituti religiosi, in seguito secolarizzati e trasformati in edifici pubblici. Senza dimenticare la feroce persecuzione verso tutto ciò che avesse anche un semplice rimando alla spiritualità. Molte persone coltivarono la propria fede di nascosto. Avvenne così che svariate comunità religiose si rafforzarono e, al contempo, aumentava il rispetto reciproco tra comunità di fede diversa.
La minaccia del regime comunista le rese più unite. Numerosi testi di autorità religiose cristiane e musulmane testimoniano il forte rapporto che legava le diverse comunità di fede, malgrado il rischio di morte.
Riflessioni
In effetti a Cervinara, manca, soprattutto, un'area attrezzata per accogliere il potenziale turismo, anche religioso, vista la pericolosità della rotonda, l'assenza di programmazione e l'impossibilità di fermarsi per ammirare da vicino il capolavoro di Milot. Infatti, inizialmente c'era una striscia pedonale, poi rimossa, che permetteva l'accesso diretto alla Chiave di Cervinara. L'ennesima tappa del Gran Premio della Critica Caudina vide, in quelle giornate, primeggiare proprio Cervinara. Anzi, qualcuno si lamentò pure per le presunte polveri sottili sprigionate dalla Chiave che apre, ma non chiude. Solo un personaggio come Ferdinando Creta, direttore artistico montesarchiese, potrebbe valorizzare il patrimonio territoriale di Cervinara e di tutta la Valle Caudina oppure meglio rimuoverla per posizionarla altrove?
Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo
martedì 21 dicembre 2021
Il delitto Ammaturo - Telefono Giallo (1991)
Il 15 luglio 1982 viene ucciso a Napoli, sotto casa sua, insieme all'agente Pasquale Paola. I veri mandanti dell'omicidio non sono mai stati identificati con chiarezza: dietro il delitto si cela una storia di intrighi legati al rapimento da parte delle BR dell'uomo politico Ciro Cirillo, il cui misterioso rilascio vide l'intervento di Raffaele Cutolo e dei servizi segreti, nonché di una fitta rete di complici e interessi oscuri sui quali "Telefono giallo" cerca di far luce.
Dott.ssa Coccia: Dipendenza da zuccheri e dolci. Strategie di disintossicazione | SALUTE
tratto da Alimenti e malattie, di Roberto Andreoli
Solstizio d’Inverno | Ritorno alle origini
“In linguaggio astronomico il Solstizio d’inverno è il giorno in cui il Sole tocca il punto più basso dell’ellittica, quasi come se si allontanasse e sprofondasse nella notte. All’epoca delle grandi glaciazioni, l’umanità di razza bianca rimasta sul continente europeo celebrava in questo giorno la morte e la resurrezione del Sole.
All’alba, dopo la notte più lunga dell’anno, fuochi a forma di ruota salutavano il Sole invitto risorgente dall’abisso. Oggi, sull’orizzonte dell’Europa, è Solstizio d’inverno, un interminabile inverno di servitù e di vergogna. Ma noi crediamo, noi vogliamo credere all’imminente resurrezione della Luce”.
FRANCO BATTIATO - Areknames (1972)
Artista: Franco Battiato
Brano: Areknames
Anno: 1972
COMUNITÀ MILITANTE CAUDINA 321 | volantino
PROF. GIACINTO AURITI - No al contante? Ecco perché! | Economia
Il misterioso Castello Caudino - CAUDIUM
La Valle Caudina Medievale era cinta da un buon numero di Castelli, fondamentali per la difesa dell'intera area. Oggi in molti angoli della Nuova Caudium sono ancora visibili i ruderi di un passato affascinante e misterioso. In effetti l'unico vero Castello che ha conservato la struttura intatta ed abitabile resta il Castello dei Pignatelli a San Martino Valle Caudina, mentre gli altri edifici fortificati versano in condizioni disastrose. Le vecchie fortezze di Monteoliveto ad Airola, di Cervinara, di Arpaia, di Roccabascerana, di Paolisi o di Montesarchio, chi più e chi meno, non hanno un indotto turistico, culturale, sportivo e di studio. Qualche lampo nel buio c'è, ma non "illumina" con costanza il territorio.
Lo Schiaffo 321 sta "lavorando" ad uno speciale diviso in capitoli dedicato, esclusivamente, alla storia della Valle Caudina Medievale, con la collaborazione di Gianni Mauriello, escursionista Caudino ed esperto della zona. Nel frattempo abbiamo scoperto un misterioso Castello Caudino, eretto ad Arcevia in provincia di Ancona nelle Marche. Caudino è anche il nome del borgo e del monte dove venne costruita la massiccia postazione.
Sì, abbiamo scoperto un Catrum Caudini tra le nove fortezze di origine medievale che spiccano in quelle splendide zone appenniniche, fatte di piccoli borghi tre-quattrocenteschi, con le casette circondate e protette da possenti mura fortificate.
Potrete ammirare l’anello dei nove Castelli di Arcevia, esattamente Rocca Contrada, esempio reale di come un suggestivo itinerario tra i colli marchigiani, a pochi chilometri da Senigallia, possa catapultare i turisti in un viaggio nel tempo, destinazione Medioevo. Grazie alla cura, all'attenzione e alla difesa del territorio, le amministrazioni comunali ed i cittadini hanno messo a punto le emozioni del passato tra fortezze medioevali, muraglie in pietra, torrioni e ponti. Tutti i Castelli sono fantastici e da visitare.
Lo Schiaffo 321, però, tra i Castrum di Avacelli, Castiglione, Montale, Piticchio, Loretello, Nidastore, San Pietro in Musio o Palazzo, invita le lettrici ed i lettori a visitare quello dal nome familiare per i Caudini: Caudino.
Il castello Caudino è il più recente dei nove castelli. Si arriva al suo cuore da una curvilinea strada immersa nel bosco. Dell’antica struttura rimane la porta d’ingresso in pietra ad arco a tutto sesto e la torre campanaria affiancata alla chiesa di Santo Stefano. La chiesa, ristrutturata nel ‘700, contiene l’affresco cinquecentesco della “Madonna di Loreto”.
Castello di origine medioevale posto ai confini del territorio arceviese verso Pergola, dipendente dalla diocesi di Nocera Umbra. Caudino fu edificato come Palazzo nella seconda metà del XIV secolo, inglobando le ville circostanti, a seguito della riorganizzazione insediativa, ma anche di controllo, avviata in quel periodo da Rocca Contrada sul proprio territorio. In vari documenti antichi viene ricordato come Colgodino e Casadino.
Il Caudino controllava il transito verso Pergola ed il ducato di Urbino. Fu fortificato ed elevato al rango di castello agli inizi del 1400 e come tale è menzionato nel libro del camerlengo arceviese del 1407.
Nel 1411 fu occupato dalle milizie malatestiane e controllato dai soldati di Fano. Nel 1412 questo presidio fu rafforzato da 350 fanti comandati da Guido di Ridolfo con buon numero di guastatori, muratori, falegnami ed altri artefici e 50 paia di buoi, per partecipare all’assedio di Rocca Contrada del 1413. Il castello fu recuperato da Braccio da Montone nella seconda metà del 1416.
Nel gennaio 1434 Rocca Contrada e tutti i suoi castelli vennero sottomessi da Francesco Sforza. Nel febbraio 1445 in occasione della distribuzione nei castelli di cavalli e soldati sforzeschi per il riposo invernale, a Caudino ne vennero assegnati rispettivamente 7 e 10, avendo in quel tempo 14 fuochi, circa 70 abitanti.
Con l’unità d’Italia, perse le prerogative di comune appodiato venne riconfermato ad Arcevia. Dal censimento del dicembre 1861 risulta che a Caudino centro vivevano 14 famiglie con 37 abitanti, nei suoi dintorni invece gli abitanti erano 148. Caudino conserva ancora l’assetto urbanistico quattrocentesco, con ampi tratti di mura bastionati ed una porta di accesso adattata alle nuove esigenze della viabilità.
A circa un miglio dal castello sopra il monte S. Biagio esisteva anticamente un piccolo monastero con annessa chiesa abbaziale intitolata al santo vescovo e martire. Nel 1760 il card. Antonelli abate commendatario acconsentì, concorrendo alle spese, alla richiesta di costruire la nuova chiesa di S. Biagio e la parrocchiale di S. Simone, che era posta più in basso e documentata dal 1376, rispettivamente vicino e dentro il castello. Le due vecchie chiese dovevano essere distrutte ed i materiali di risulta utilizzati per le nuove.
Al centro del paese la parrocchiale con il nuovo titolo di S. Stefano martire fu edificata nel 1766, con sacrestia ed abitazione per il parroco, e fu consacrata dal vescovo di Nocera nel 1824, come ricorda una lapide nella chiesa. Ad unica navata, conserva sull’altare a destra entrando, proveniente molto probabilmente dall’antica parrocchiale di S. Simone, un interessante affresco di buona mano, rappresentante la Madonna di Loreto e Santi, degli inizi del XVII sec. attribuibile a G. G. Pandolfi da Pesaro. Da osservare ancora l’altare scolpito in legno di produzione locale ed in sacrestia un S. Stefano ad olio su tela di A. Lombardi (1898).
Il santuario dedicato a S. Biagio, designato patrono di Caudino da Benedetto XIII con breve dell’11 maggio 1728, fu costruito fuori dell’abitato nel 1763 e restaurato nel 1885 come ricorda una lapide nella chiesa. Al santo sono attribuite guarigioni miracolose. Nell’altare maggiore un quadro con S. Biagio in atto di guarire dal mal di gola una giovinetta morente tra le braccia della madre, di autore ignoto del XIX sec. Nel 1886 furono rifatti il pavimento e la facciata con nuova porta e l’interno abbellito di ornati e stucchi. Fu collocata anche la tela di S. Simone quale memoria dell’antico titolo parrocchiale.
Agli inizi dell’Ottocento sull’altare della chiesa era collocato il quadro di Gaspare Ottaviani con Madonna e Bambino ed i SS. Biagio e Simone, fatto dipingere da Giovanni Salvioni, attualmente disperso. Nei pressi del ponte di Caudino esiste una chiesolina di proprietà privata, ricostruita verso la fine del XIX sec. per iniziativa dei Biaschelli di questo castello, intitolata alla Madonna dei Portenti. Don Luigi Biaschelli, superiore generale dei Missionari del Preziosissimo Sangue, fece dipingere in quegli anni a Roma da un buon artista il quadro che rappresenta la Madonna e Santi.
IL PIANO DI MONTE CAUDINO
Il turismo si sviluppa grazie allo sviluppo di politiche all'avanguardia nella riscoperta delle Tradizioni. L'itinerario naturalistico e storico in quelle zone funziona. Riportiamo un tipico programma di escursione sul piano di Monte Caudino:
Si inizia l’escursione percorrendo strade interpoderali e sentieri fino ad arrivare all’altopiano del Monte Caudino-Monte Lucano da dove si può vedere un panorama a 360° dalla catena del Monte Catria (Monte Acuto-Monte Catria) allo Strega, al Monte S. Angelo ed alla pianura alluvionale del Fiume Cesano. Si incontrano cavalli al pascolo e le case rurali in pietra ben restaurate della Tenuta S. Settimio. Nel primo pomeriggio si arriverà a PALAZZO di Arcevia, uno dei castelli di Arcevia noto per la sua particolarità di edificazione che lo fa assomigliare a “un diamante incastonato tra le verdi montagne”.
Sarà prevista una sosta scambiando due chiacchiere e un buon bicchiere di vino con uno degli ultimi minatori che vive a Palazzo ed ogni giorno si recava alle miniere di zolfo di Cabernardi. Si prosegue il pomeriggio visitando il piccolo paese di Montefortino e l’affascinante e misterioso sito archeologico dei Celti. Finita l’intensa giornata si propone un meritato riposo e una gustosa serata presso un Ristorantino Tipico di Arcevia dove si potranno gustare piatti tipici ed antiche ricette a base di prodotti ed erbe di stagione.
Tutte le Caudine ed i Caudini, che si troveranno nelle vesti di turisti da quelle parti, potranno sognare ad occhi aperti un futuro simile per le nostre zone, ricco di storia e amore per le radici medievali della Nuova Caudium.
Qual è il collegamento tra il misterioso Castello, il Monte Caudino e la Valle Caudina? Qualcuno potrebbe azzardare un' ipotesi alquanto sbalorditiva: il popolo Caudino discende dal centro Italia.
Possiamo tuttavia ritenere, specialmente alla luce delle scoperte e degli studi più recenti, che in un’area compresa tra le Marche, gli Abruzzi e la provincia di Rieti si sia venuta configurando, almeno a partire dagli inizi dell’età del ferro, una unità etnica alla quale si può attribuire il nome generale di Sabini o, nella loro propria fonologia, Safini.
Al nucleo originario si ricollegano, con una differenziazione verosimilmente più tardiva, diversi popoli dell’area abruzzese (Vestini, Marsi, Peligni, Marrucini, ecc.); mentre più a sud appartengono alla stessa stirpe i Sanniti del Molise (Pentri e Frentani di Larino) e della Campania (Irpini e Caudini), dalla cui diaspora gemmeranno in piena età storica i Campani, i Lucani, i Bruzi. Pertanto, erano discendenti dei Safini/Sabini/Sabelli/Sanniti: i Piceni, i Vestini, gli Aequi, i Marsi, i Peligni, i Marrucini, i Frentani, i Carecini, i Pentri, gli Irpini, i Caudini ed i Lucani.
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