«Scienza del governo, che in sostanza è semplice come la religione del cuore, e che i politici della bottega hanno fatta misteriosa come la teologia».
L'esempio è quanto mai pertinente, in un paese come il nostro nel quale le linee guida della politica nazionale sono dettate da personaggi molto sensibili alle sollecitazioni del clero. Si tratta in questo caso di gerontocrati, che controllano il sistema informativo, politico, burocratico, statale, con la mentalità affine ai gerontocrati del clero.
Secondo Vilfredo Pareto, studioso che dovrebbe essere considerato sempre un riferimento in Italia,
«all'opera degli uomini di Stato sovrasta quella delle forze profonde esistenti nella società, generalmente dei sentimenti e degli interessi ...»
E qui entriamo nel vivo del problema. «Se scrivere storia significa fare storia del presente, -scriveva Antonio Gramsci ne "II Risorgimento" (pag.63)- opera di storico vero sarà quella che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire più consapevoli dì sé stesse, e quindi più concretamente attive e fattive».
Tuttavia, se da un'analisi politica si esclude la componente sociologica non si viene a capo di nulla, perché ci si esclude aprioristicamente la possibilità di interpretare i movimenti della storia (o della cronaca) nelle loro varie componenti, per portare alla ribalta solo alcuni momenti, e probabilmente i meno importanti. È altresì vero che una corretta comprensione dei fenomeni richiede la capacità di affrontare la complessità.
Secondo Norbert Elias, citato da Maurizio Ghisleni e Roberto Moscati in "Che cos'è la socializzazione" Carocci, 2003, la società moderna è espressione di trasformazioni intervenute tanto sul piano delle strutture economiche che delle singole psicologie e che quindi vi sia stata una coevoluzione tra le strutture sociali e le strutture psichiche.
Tesi del tutto condivisibile in quanto i comportamenti, soprattutto nella società moderna e postmoderna sono stati molto più condizionati dagli apporti culturali di quanto non lo fossero nelle società precedenti, nelle quali buona parte delle popolazioni vivevano di pratiche agricole tramandate per via famigliare da secoli.
E tuttavia, l'incontro-scontro vissuto all'interno della classe dirigente della Rivoluzione Francese, apparentemente un monolite dal punto di vista sociologico (neoborghesia massonico-postilluminista) rivela ad uno studio più attento la reciproca interferenza fra gruppi sociali differenti e contrastanti su posizioni apparentemente coperte da asserzioni ideologiche o puramente verbali.
E forse l'unico momento unificante di tutte queste componenti è stata la ribellione contro i diritti signorili. Dall'analisi sociologica possiamo tranquillamente estrarre un'interpretazione del fascismo come movimento dei ceti medi.
Di sicuro i ceti medi, che in tutte le società, quando sono emersi, hanno agito come mediatori fra le forze in gioco, sono stati sempre compressi se non schiacciati nel nostro paese, anche oggi che dell'attualità e necessità del coinvolgimento diretto dei "ceti medi professionalizzati" la coscienza nazionale sembra non rendersi conto, vista l'esclusione delle organizzazioni dei Quadri da ogni dialettica sull'evoluzione nazionale, da sempre strutturata a favore di un'alleanza concordataria e sottobanco fra sindacati operai, privi ormai di autentica rappresentatività e legittimazione storica, ridotti a pura rappresentazione feudale, come previsto da Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca ad inizio secolo XX, e porzioni datoriali egemoniche composte per lo più da esponenti di un'industrializzazione di tipo "pesante", superata dall'evoluzione della ricerca.
Per anni abbiamo dovuto subire un'impostazione politica del giudizio sul fascismo basata esclusivamente su presupposti marxisti scolasticamente interpretati, cioè classisti, che anacronisticamente giudicavano l'evoluzione sociale solo in termini di conquista del potere da parte del cosiddetto proletariato.
In realtà il problema deve essere visto solo in funzione della positività evolutiva di una società, ed in questo caso è evidente che portare alla ribalta ed affidare la guida di una nazione ai ceti medi ha rappresentato, e lo rappresenterebbe ancora oggi, un innegabile progresso, proprio nell'ambito del superamento delle vecchie formulazioni classiste, dove la logica operaista è la logica del capitale dell'industria pesante, e quella alternativa, gestita fino ad oggi dalle forze più o meno sindacalizzate del cattolicesimo politico, è costituita per lo più dalla burocrazia statale e dal contadinato.
Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, nel discorso del 12 febbraio 1944 pronunciato in occasione dei funerali di Ettore Muti a Ravenna, parlò di un fascismo nato nei borghi. Questo concetto che era stato ripreso dalle opere di due toscani di razza, Ardengo Soffici e Curzio Malaparte, contiene buona parte di verità. Perché quello che in Toscana sono i borghi, in altre parti d'Italia sono altre forme di vita associata, ma tutte fulcro di quella borghesia che fece grande il Medioevo italiano.
Un ricordo particolare merita Ardengo Soffici che, nato a Rignano sull'Arno nel 1879, fu una delle personalità artistiche più complete, a livello mondiale, del novecento. Fra i tanti suoi libri, editi quasi tutti dall'editore d'avanguardia Vallecchi, "Lemmonio Boreo, l'allegro giustiziere", ed "Il taccuino di Arno Borghi". Già i titoli sono significativi. Dal "Taccuino" ricaviamo una pensiero che proprio in questi giorni dovrebbe far riflettere.
«L'architettura è lo specchio della civiltà. Ogni popolo veramente civile ha la sua, e dal perpetuarsi o l'imbastardirsi dei caratteri di essa si può argomentare del vero rigoglio e della decadenza civile dei popoli e delle nasoni».
Quando, nell'immediato dopoguerra, Soffici fu interrogato dalla commissione alleata di epurazione, alla domanda di quando si fosse iscritto al fascismo, egli rispose di esserlo sempre stato, avendo scritto il libro "Lemmonio Boreo", che anticipava le avventure scanzonate ma politicamente molto consistenti, degli squadristi. Altri due autori che occorre ricordare per non contribuire alla dispersione della memoria, sono Lorenzo Viani ("Parigi", "Angiò uomo d'acqua") e Fabio Tombari, del versante adriatico dello stesso parallelo geografico d'Italia. ("I ghiottoni", "Tutta Frusaglia", "La Vita", "L'Incontro").
La storia del fascismo è semplice ma è viziata dall'ignoranza di coloro che pretendono scriverne senza conoscere gli avvenimenti.
Ernesto Massi, in una delle interviste concesse a proposito del programma del 23 marzo 1919, ricorda: «C'è chi vedeva nel nuovo movimento l'ala sinistra del nazionalismo, chi un sindacalismo nazionale, chi come Massimo Rocca, (Libero Tancredi), l'ala marciante e riformatrice del liberalismo. Mussolini vi vide qualcosa di nuovo.
La continuazione del sindacalismo interventista, il riabbraccio del lavoro con la nazione; vi vide la possibilità di svuotare il socialismo del suo contenuto, trasferendo alcune delle sue istanze sul piano nazionale, affermando la solidarietà dei fattori produttivi e la subordinatone degli interessi dei singoli e dei gruppi ai fini etici della Nasone e della Giustizia sociale.
Se non ci è lecito qui esprimerci sul grandioso tentativo, ci è consentito invece affermare in sede di critica storica che e proprio in tale evoluzione dal socialismo che sta l'originalità della concezione. Respingere questa parte dì Mussolini ed immaginarsi il fascismo senza di essa significa immiserirlo e snaturarlo. Al di sopra della funzione innovatrice svolta dal capo, il fascismo senza Mussolini sarebbe forse divenuto quella sintesi di sindacalismo, di liberalismo e di nazionalismo, di cui Rocca auspica ancora oggi l'avvento nel nostro paese, e di cui abbiamo avuto con il "Qualunquismo" un inconcludente anticipo».
Va aggiunto che, il programma Rocca-Gorgini della primavera del 1922, che iniziava la trasformazione in senso liberale del fascismo, fu benevolmente commentato dal "Corriere della Sera" come
«…un trionfo della pura concezione liberale manchesteriana ...».
Questo per dire che nel fascismo erano necessariamente presenti molti aspetti delle concezioni politiche presenti nella cultura europea, e tuttavia Mussolini si sbarazzò di questa concezione con quattro frasi, in un breve articolo di fondo sul "Popolo d'Italia", definendolo inutile e sorpassato.
D'altronde Maurizioe Barrès ed altri autori francesi ci permettono di individuare la successione delle generazioni nel fascismo. La generazione dei precursori e dei padri va all'incirca da Giorgio Sorel (1847-1922), passando per il marchese de Morès (1858-1896) fino a Barrès (1862-1943) e Renato Quinton (1865-1925). Punto di comparazione, Gabriele D'Annunzio (1863-1938) e Goffredo Benn (1886-1956). La generazione intermedia, quella che incarna il fascismo in senso stretto, nata tra il 1890 e 1905, è costituita da:
Drieu La Rochelle, Celine, Monthérlant, Rebatet, Ernst Junger, Roberto Farinacci, Oswald Mosley, Doriot, Codreanu, José Antonio Primo de Rivera, Leon Degrelle, Brasillach (1909-1945). (Armin Mohler, "Lo stile fascista", Settimo Sigillo.).
Ci sembra evidente, anche dal non piccolo numero di nomi coinvolti, che il fascismo non possa essere definito movimento di destra e tanto meno nuova forma di liberalismo. È esattamente il contrario. Basti leggere gli autori citati. Di recente, in occasione della pubblicazione dei discorsi di Mussolini con "l'Espresso", il commentatore faceva notare che in quei discorsi non si notavano critiche alla Russia comunista mentre erano sempre presenti precise accuse al mondo anglosassone liberal-massonico. Lo stesso commentatore aggiungeva che il Duce criticava la liberaldemocrazia perché è sempre stato socialista.
La stessa RSI è la dimostrazione storicamente evidente (ma ancora non esattamente percepita) che lo Stato ideale per il Duce era una repubblica che fondeva i princìpi fondamentali del socialismo con quelli del mazzinianesimo. Infatti il nome assegnatole, come ripeteva sempre Nicola Bombacci durante i suoi affollati comizi, era proprio quello scelto da Mazzini stesso. Ed alla fine il duce intendeva trasmettere proprio al Partito Socialista, che non aveva gli uomini capaci di gestirla, l'eredità del "suo" Stato. Carlo Silvestri, nel libro "Turati l'ha detto", pubblicato da Rizzoli nel 1947, trascrive la lettera che Mussolini gli fece scrivere, indirizzata ai dirigenti del PSI. Di questa è giusto riportare le primissime frasi.
«All'esecutivo del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Al Comitato Centrale. Compagni socialisti, Benito Mussolini mi ha chiamato e mi ha dettato (il 22 aprile 1945) questa dichiarazione che mi ha autorizzato a ripetervi: poiché la successione è aperta in conseguenza dell'invasione anglo-americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale Italiana ai repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi».
Questi ultimi anni hanno visto una svolta epocale degli studi storici sul Fascismo. Dopo De Felice l'approfondimento sui temi essenziali emersi con i documenti via via recuperati hanno permesso una conferma delle tesi defeliciane, nonché di tutti coloro che hanno seguito, fino ad oggi con linearità le direttive lasciate dal Fascismo Repubblicano.
Negli USA, una recente ricchissima ricerca di Giacomo Gregor, professore di Scienze Politiche alla Università della California, Berkeley, ("The search for Neofascism. The use and abuse of social science", Cambridge University Press, Nuova York, 2006, pag.306), ricostruisce sinteticamente, ma bibliograficamente completa, l'evoluzione del fascismo dalla nascita fino ai giorni nostri. Un lavoro simile era già stato fatto da Maurizio Bardèche, che aveva preso in esame il regime di Nasser, quello di Castro ed altri, verso la fine degli anni sessanta.
Quello di Gregor ne può essere considerato un proseguimento, perché arriva ad analizzare movimenti politici più recenti, come il "Black Nationalism", con le figure di Marcus Garvey, leader dell'"Universal Black Improvement Association" e di Elijah Muhammad del movimento "Nation of Islam".
L'autore esamina anche l'influenza esercitata dal pensiero italiano nel Medio Oriente ed in India (con la chiara influenza di Mazzini sull'ideologo indiano Savarkar, già esaminata in una precedente opera dello stesso, pubblicata in Italia negli anni sessanta). Infine è molto interessante l'esame del Fascismo Cinese movimento politico che sta nascendo dopo il crollo dell'esperienza maoista.
Ma non è tutto. Lo scrittore Giovanni Goldberg, giornalista del "Los Angeles Times" e del "National Review" nel suo recente libro dal titolo significativo: "Liberal Fascism", Penguin Book, pp.488, dichiara stentoreamente:
«Tutto quello che sapete sul fascismo è sbagliato!».
Con questo libro che sta avendo successo nel mondo anglosassone e che speriamo di leggere presto in italiano, egli dimostra, prove alla mano, che il fascismo non è affatto un movimento di destra o, ancor peggio, reazionario, bensì uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria, figlio diretto di quella rivoluzione francese da cui trae origine tutto il pensiero di sinistra e progressista.
Tutta la politica del Ventennio deriva dai medesimi princìpi di giustizia sociale che hanno ispirato anche la rivoluzione bolscevica ed il "New Deal", ottenendo però risultati assai migliori.
Infine non potrebbe mancare la voce di Ernesto Nolte, che invitato dall'Istituto Jacques Maritain per una tre giorni a Treviso sul "Concetto e realtà dei movimenti radicali di resistenza del XX e XXI secolo" ha dichiarato che
Mussolini fu un marxista erudito che sapeva ciò che la maggioranza dei marxisti non sapeva. È stato il più importante marxista convertito al socialismo nazionale.
Questo revisionismo in atto è doveroso e, a nostro parere, anche anticipato se si procede secondo i ritmi della storia che sono, disgraziatamente per l'umanità, molto lunghi. Basti pensare che solo oggi alla luce di ricerche e scoperte fondamentali è possibile una riflessione storica pacata sul cristianesimo.
Eppure, ci vuole una minima intelligenza per capire che l'idea di fascismo come reazione non poteva che nascere dalla frustrazione dei movimenti antagonisti dopo la sconfitta degli anni venti.
L'odio e l'istinto di rivalsa hanno obnubilato le coscienze, l'elaborazione concettuale di queste primitive forme di emozionalità scomposta è arrivata in un secondo tempo, con elucubrazioni farraginose (e basti pensare alla massa di opere, provenienti per lo più dagli USA, pubblicate negli anni sessanta che hanno costituito alcune fortune editoriali e provocato anche parte del '68, lette, se lette, frammentariamente, e finite inesorabilmente al macero).
Siamo comunque felici che possa definitivamente essere chiarito un grande equivoco, che ha falsato la storia nazionale per tutto il dopoguerra fino ad oggi, con l'identificazione tanto del MSI (fascismo in doppio petto), quanto dei gruppi della Destra Radicale (naziskin etc), con il movimento fascista che dimostra oggi una vitalità proprio dove meno lo immaginiamo.
Come previsto da Mussolini il quale aveva dichiarato che i suoi veri figli non saranno quelli che dicono di esserlo.
Scritto da Giorgio Vitali
Federazione Nazionale Combattenti della RSI (FNCRSI)
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