Amante di strade alternative, come l’esercito romano accampato presso Capua, a Calatia, ho la “presuntuosa” convinzione che le pietre, come la matematica, parlino una lingua universale, ed utilizzo toponimi, detti popolari e leggende per avere una chiave di lettura personale di qualche pagina di storia locale, come quella della N’zilla, la ballerina che comparirebbe, in abiti discinti, vicino alla Chiesa di San Giovanni, che mi sembra proprio nata dalla boccaccesca vicenda di Suor Giulia De Marco rinchiusa dall’Inquisizione nel Monastero di Cerreto Vecchia, e quella, forse, dell’origine “popolare” del nome Cusano. E poi, anche se fossero caxxate, se ben congegnate e mescolate alla realtà dei luoghi, generano quella curiosità che è lo stimolo per guardare oltre, magari partendo da una versione dal latino, come successo per le Forche Caudine.
Quando, studente liceale, tradussi il brano di Livio, e ne ho parlato fino alla nausea, fu istintivo chiedere al prof.:
“ma che c’azzecca la gola di Arpaia se i Romani per quella strada, l’ex via del Mare poi Via Appia-Traiana non ci sono proprio passati?”.
Ebbi le prime mazzate ed i primi consigli:
“Morone, ma tu vuoi cambiare il mondo?”.
Nacquero così quei timori che mi sono portato appresso per anni: in fondo, chi ero-sono io per sconfessare i grandi che ne hanno parlato? Però, a furia di rodermi dentro, ho trovato la forza, da qualche tempo, di esternare quella che in fondo è l’unica verità possibile, stando a chi ha narrato l’episodio, relativamente alla localizzazione delle Forche Caudine.
E, se ad essere buono assegno l’1% di possibilità alla gola di Arpaia e compagnia, intendendo per compagnia tutti i percorsi che poi finiscono inevitabilmente sulla Via Appia-Traiana, il 98% spetta di diritto alle gole del Titerno. E l’1%? All’imponderabile…ovvero al fatto che Tito Livio abbia mentito.
Penso che sia impossibile accettare certe motivazioni relative alle diversità tra quanto lo storico ha de-scritto minuziosamente e quanto oggettivamente si riscontra nella gola di Forchia. Qui, sulle orme dei “grandi ingegni, ma poco intelligenti di latino” (Francesco Danieli-Le forche Caudine-1811), tanti pensarono inopinatamente di “traslocare” le gole dell’agguato “sconfessando” lo storico patavino. Come dire: “Il Colosseo? Cercatelo a Firenze!”.
Così, pur di far collimare le caratteristiche delle gole con quelle descritte nel libro IX di Ab Urbe Condita, si tirano in ballo mutamenti geologici che solitamente avvengono in milioni di anni, tali da stravolgere le gole. “Sim sala bim…abracadabra” e, per magia, le gole si uniscono, si allargano, i monti diventano dolci colline, i massi con cui sbarrare il percorso si sbriciolano e, dulcis in fundo, scompare il fiume che le attraversava:
“Iacet inter eos satis patens clausus in medio campus herbidus aquosusque”.
Ma non finisce qui! Livio dice che le strade per Lucera erano due? “duae ad Luceriam ferebant viae”, una seguiva il percorso decisamente più lungo “… tanto fere longior”, quello della Via Appia-Traiana che menava al “Superi maris”, il mare Adriatico, l’altra “viam brevior” attraverso i monti. Momsen, non conoscendo il tratturo lungo le gole del Titerno, inopinatamente sentenziò:
“Per arrivare in tempo non si poteva prendere che una via…là dove in continuazione della via Appia fu poscia costruita la via romana che da Capua, per Benevento, sbocca verso l’Apulia…"cioè la Via Traiana, l’ex Via del Mare.
Saranno miei limiti, ma non capisco in base a cosa si sia collocato su tale percorso i luoghi della grande beffa! A meno che, non c’è chi pensa di conoscere il teorema di Pitagora…meglio di Pitagora!
A suffragare le mie convinzioni c’è il testo “in latino”: carta canta, è vero, ma manca…la leggenda. Ho accolto così come manna caduta dal cielo quanto letto sul sito ufficiale di Cusano Mutri. Spiegando l’etimologia del nome Cusano, si riporta quanto raccontato da Vito Maturo, uno studioso locale “con i baffi” che dà i numeri a parecchi esperti. Secondo l’appassionato, una gustosa, direi pure qui boccaccesca storiella popolare di antica tradizione racconta di un gruppo di soldati romani che, sfuggiti alla trappola tesa dai Sanniti nelle Forche Caudine, si sarebbe rifugiato nei dintorni di Cusano dando origine al nome dovuto alla loro “integrità” fisica.
L’interrogativo che mi/vi pongo è: d’accordo! E’ solo una celia, un “pettegolezzo” che nulla leva e nulla mette a quanto da me sostenuto. Ma come è venuto in testa al buontempone che fosse possibile per un manipolo di soldati fuggire da Forchia, attraversare la pianura Caudina per poi avventurarsi, da Faicchio, nelle gole impervie del Titerno, nel cuore del territorio Pentro?
Forse, per l’anonimo burlone, le Forche Caudine che lui aveva conosciuto attraverso “vox populi”, erano le gole del Titerno, proprio davanti l’uscio di casa, la via più breve per raggiungere Lucera da Capua ove l’esercito Romano stazionava. Un tratturo pericoloso per gli insediamenti Pentri, ma che non faceva paura perché i terribili Sanniti erano tutti ad assediare Lucera, alleata di Roma, stando all’inciucio fatto girare ad arte da alcuni pastori sanniti. Trappola perfetta per attirare i Romani in gole selvagge, sul terreno adatto agli agguati, proprio come voleva la strategia escogitata da Gaius Pontius che, “Telesinus”, ben conosceva i luoghi.
Affrontare i Romani in campo aperto, come nell’ampia Gola di Forchia, sarebbe stato un suicidio!
Tornando a Cusano, non ho idea da dove possa provenire il nome, e la cosa mi intriga da tempo, penso però che un filo di Arianna unisse lo splendido borgo del Matese alla storia di Saipins e di Cominium. Il filo era costituito proprio da quel tratturo
“..due gole profonde, strette e coperte di boschi, collegate da una catena ininterrotta di montagne…. In mezzo a queste si apre una strada scavata nella roccia…”
che partiva dalla “postierla” orientale di Terravecchia, difesa da “soli” due ordini di terrazzamenti, raggiungeva i pascoli degli altopiani della Parata e Cominium, protetta da una fortificazione di ben cinque terrazzamenti (Tutium rouinata?), che sono ancora lì ad aspettare tempi migliori: recuperate, sarebbero la più imponente opera di fortificazione sannita esistente…, e poi, attraverso le gole del Titerno, sboccava sulla pianura allora Caudina, come Telesia.
Ecco perché il toponimo Furculas Caudinas: gole a forma di forca accessibili dalla pianura Caudina. Non meravigli la maggiore “possanza” delle fortificazioni di Monte Cigno rispetto a quelle di Sepino: il pericolo, per i Pentri, veniva dalla pianura campana!
Cosa ne fu del pagus sannita di Cominium l’insieme di villaggi (vici) ubicati tra Monte Maschiaturo e Monte Coppe (Ocritum? = tra i monti)?
Pochi anni dopo l’umiliazione delle Forche Caudine, nel corso della terza guerra sannitica, Cominium fu conquistata dai Romani e distrutta con Terravecchia ed Aquilonia. Molti sopravvissuti si rifugiarono a Bojano, altri, acquisito il titolo di “civis Romanus”, si spostarono più a valle, fondando nuove comunità, la più famosa delle quali fu Saepinum. I tratturi esistenti, secondo la strategia di Roma, furono migliorati e sul nostro furono magistralmente costruiti i ponti di Fabio Massimo e di Annibale. Quello del Mulino, come narrano le sue pietre, era, almeno in parte, preesistente e collegava, penso, la Rocca con Civitella. Ma di ruderi la gola è piena…
Basta indagare con occhi nuovi, scavare nella necropoli dei dimenticati perché “spesso la storia viene scardinata e rivoluzionata dalla lettura più attenta di opere in lingua originale, e mentre noi andiamo avanti, il passato si muove con noi, si trasforma perché di tanto in tanto da uno scavo, reale o immaginario, vengono fuori testimonianze dimenticate e di straordinaria qualità CHE LO RIVELANO DIVERSO DA COME CREDEVAMO”. Secondo Vittorio Sgarbi…e secondo pure me.
Scritto da Renzo Morone
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