Perché in Italia non si riesce a giungere ad una verità – una sola – sui tanti fatti luttuosi che hanno costellato la storia del dopoguerra fino ad oggi?
Perché la classe dirigente, in tutte le sue componenti, non può consentire di raccontarla. Non può farlo perché dovrebbe ammettere, come prima verità, di non aver mai rappresentato l’Italia, il popolo italiano, ma coloro che l’hanno creata ed imposta agli Italiani con la forza delle armi. Ancora oggi i vertici politici e istituzionali ricordano con orgoglio la data dell’8 settembre 1943, come quella della rinascita della Patria.
È la prima menzogna, perché la data della proclamazione dell’armistizio (che era stato firmato in segreto il 3 settembre) segnò l’inizio della guerra civile e decretò la fine dell’Italia come nazione libera e indipendente.
Dalla prima menzogna discende necessariamente la seconda, quella relativa alla liberazione dell’Italia dai Tedeschi ad opera dei partigiani, per la cui celebrazione è stata fissata la data del 25 aprile.
In realtà, l’unica città in cui il presidio tedesco si arrese al CLN, il 24 aprile 1945, fu Genova. Sul restante territorio nazionale, controllato dalle truppe tedesche e fasciste, i partigiani rimasero prudentemente in montagna. A Milano i partigiani giunsero solo nel pomeriggio del 26 aprile, quando in città non c’erano più fascisti, ed i Tedeschi si erano concentrati presso l’hotel Regina, in attesa dell’arrivo della truppe alleate, senza che nessuno osasse attaccarli.
Il 27 aprile 1945, l’Alto Comando tedesco in Italia decretò il cessate il fuoco, e la guerra finì di fatto. Questa è la verità storica.
La terza non è una menzogna ma un’omissione – relativa al massacro di migliaia di Italiani (forse 50mila), compiuto dai “liberatori” nei mesi di aprile, maggio e giugno del 1945. La classe dirigente dell’Italia democratica e antifascista si forma, quindi, col tradimento della Patria in guerra, poi in una guerra civile e infine con un massacro senza precedenti.
Accantonata, perché grottesca, la storiella del popolo composto da milioni di antifascisti oppressi da una dittatura feroce e spietata, per la cui libertà i capi dell’antifascismo hanno strenuamente combattuto da Nuova York, Londra, Parigi, a giustificazione di costoro rimane l’odio ideologico, i risentimenti ed i rancori personali, il tradimento interessato per acquisire futuri vantaggi personali, la “cupidigia di servilismo”. Non uno dei dirigenti chiamati dai vincitori anglo-americani della Seconda Guerra mondiale alla ricostruzione del Paese ha i requisiti morali per farlo.
Hanno pianto per ogni vittoria italo-germanica, hanno esultato per ogni sconfitta italiana, hanno pianificato ogni tradimento, mandando a morire migliaia di soldati italiani, hanno richiesto agli alleati di bombardare le città italiane per “ammorbidire” il morale della popolazione provocando la morte di altre migliaia, di Italiani, civili, uomini, donne, bambini – oltre 60mila.
Hanno fomentato una guerra civile che, sul piano militare, non ha abbreviato il conflitto di un solo giorno, ma ha scatenato le rappresaglie tedesche sulla popolazione. Hanno infine festeggiato la loro vittoria, da altri conseguita, con un massacro di cui ancora oggi preferiscono non parlare perché farlo renderebbe bene l’idea di chi siano stati i “liberatori” di un popolo che è stato tradito proprio da chi doveva incarnarne l’unità e l’onore, l’infame Savoia, Vittorio Emanuele III.
Quale coscienza nazionale potevano avere questi personaggi, selezionati dai vincitori proprio perché avevano dimostrato di non possederne alcuna, di essere solo pronti a servire i loro interessi, quelli dei vincitori, facendo dell’Italia un Paese asservito e, quando necessario, un nuovo campo di battaglia?
Gran parte dei protagonisti della sconfitta e della rovina dell’Italia erano ancora saldamente al potere negli anni Sessanta e Settanta, quando gli Stati Uniti d’America iniziano un’offensiva planetaria contro il comunismo internazionale guidato da Mosca.
L’Italia, dove è presente il più forte Partito Comunista occidentale, è la prima ad essere coinvolta in una guerra che non è più “fredda” perché richiede il suo tributo di sangue, quello della strategia della tensione.
Cosa fa l’antifascismo al potere dinanzi alla guerra americana?
Non si oppone, non la contrasta, non ritiene di dover difendere l’Italia e gli Italiani, di proteggere le loro vita, di garantire la loro sicurezza. Fa quello che aveva fatto nel corso della Seconda Guerra mondiale:
obbedisce alle direttive americane e scatena in Italia una guerra civile a bassa intensità. Chi ha fatto fortuna e carriera ammazzando migliaia di italiani in nome dell’antifascismo, perché dovrebbe esitarne ad ammazzarne altri in nome dell’anticomunismo?
I politici, i militari, i capitalisti Italiani non hanno remore morali, non hanno alcun senso di appartenenza alla Nazione, sono italiani solo di nascita: quindi, favorire ancora una volta gli interessi della potenza egemone è per costoro doveroso e, naturalmente, utile per se stessi, le loro fortune, le loro carriere. Non sono nemici della Patria coloro che hanno ucciso per liberarsi di questa classe dirigente, lo sono coloro che avrebbero avuto il dovere, perché ne possedevano i mezzi, di opporsi alle direttive americane, di rifiutarsi di partecipare ad un nuova guerra, di risparmiare vite italiane, e non lo hanno fatto.
Ancora oggi, costoro e i loro degni eredi sono al potere vantandosi di aver vinto una guerra che loro hanno iniziato, condotto, controllato facendo leva sulle illusioni di chi aveva ideali e non sordide ambizioni di potere.
Ancora oggi, certo, e forse per tanti anni ancora.
Ma il tempo e la storia portano lentamente ma inesorabilmente alla luce la verità sui loro tradimenti e sulle loro infamie. Un giorno saranno giudicati per quello che sono stati e sono: nemici dell’Italia e degli Italiani. Questa non è un’illusione.
Scritto da V.Vinciguerra
segnalato dalla lettrice Miriam Julia
tratto da I Volti di Giano
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