Marcuse e l’integrazione della classe operaia.
A metà 1968 “L’uomo a una dimensione” di Eriberto Marcuse, uscito negli USA nel 1964 e tradotto in diverse lingue ha già venduto 350 mila copie. È un testo che condensa diversi aspetti dell’analisi di quella che Marcuse chiama “società industriale avanzata”, mentre altri intellettuali preferiscono utilizzare la definizione di “tardo capitalismo” o “neocapitalismo”.
In questo saggio, tra molti altri aspetti teorici, Marcuse sostiene l’avvenuta integrazione della classe operaia nel sistema. Va detto che tutto l’impianto analitico di Marcuse si fonda sulla realtà degli Stati Uniti, egli ritiene che la situazione in Europa occidentale sia ancora diversa, ma che è destinata a seguire la realtà statunitense.
Marcuse ribadisce che “la borghesia e il proletariato sono ancora le classi fondamentali del mondo capitalista”, ma oramai il sistema non è più bi-dimensionale (classe operaia - capitale) ma è diventato ad una sola dimensione, gli antagonisti di un tempo nella società industriale avanzata sono uniti da “un prepotente interesse per la conservazione e il miglioramento dello status quo”.
A cosa è dovuta secondo Marcuse l’integrazione della classe operaia nel sistema? A quattro fattori fondamentali:
a) Alla fine dell’impoverimento progressivo della classe operaia.
b) All’impossibilità per essa di autoidentificarsi come “classe” a causa della stratificazione professionale prodotta dalla innovazione tecnologica.
c) Alla scissione che si è creata fra “proprietà” e “gestione” dei mezzi di produzione per cui “l’odio e la frustrazione sono privati del loro bersaglio specifico, ed il velo tecnologico maschera la riproduzione della disuguaglianza e dell’asservimento”.
d) Oltre al fatto che si è realizzata una integrazione effettiva dei lavoratori a livello di consumi e manipolazione dei bisogni, la nuova tecnologia provoca in fabbrica un atteggiamento collaborazionistico: “il desiderio di partecipare alla soluzione dei problemi produttivi”.
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