Cervinara nel Regno di Napoli. Da Campobasso a Pietrastornina, tutti feudi ‘della Leonessa’ (1316-1806)
Nel quinquennio dal 1316 al 1320, Cervinara fu tassata per 31 once, 26 tarì e 2 grana. Se si considera che con una grana si potevano acquistare una quindicina di cavalli, ne risulta che era uno dei paesi più ricchi della provincia, in quanto pochi altri erano soggetti a pagare una somma così elevata. Evidentemente i De La Gonesse vi costruirono un palazzo cinto di mura con delle porte per entrarvi, una delle quali era detta “porta Sancti Angeli”, perché dava sul confine della chiesa di Sanctum Angelum ad Carros.
Carlo II della Leonessa fu il primogenito di Errico e possedé i feudi paterni nel 1325, lasciandoli poi in eredità, nel 1350, al fratello Roberto che sposò Caterina d’Aquino, dalla quale ebbe Errico, marito di Sveva Sanseverino. Guglielmo Leonessa, figlio di Errico, ereditati tutti beni nel 1386, sposò Isabella Stendardo ed ebbe il famoso Marino, che li incamerò nel 1400, a cui successe Giovanni nel 1446 e, nel 1474, Francesco.
La famiglia Della Leonessa, una delle più illustri del Regno, aveva addirittura coniato moneta, sostenendo i più alti incarichi del Regno, finendo con l’abitare in Napoli, alla via SS. Apostoli, quella stessa casa che era stata di San Tommaso d’Aquino.
Alfonso della Leonessa, nipote e successore di costui, mettendosi fra i ribelli al Re Ferrante d’Aragona, fallita la congiura, passò con tutti gli altri paesi della Valle Caudina dalla parte del duca Giovanni, figlio di Renato d’Angiò, mentre era in guerra con gli Aragonesi, proprio nel Sannio.
Persa la guerra, fu privato di tutti i beni che, nel 1461, furono affidati al fedelissimo Fabrizio della Leonessa, cugino di Alfonso, che nel 1488 aveva già venduto Cervinara a Carlo Carafa, marchese di Montesarchio e conte di Airola, ai quali, nel 1500, si aggiunse anche Rotondi.
Il Carafa sposò Eleonora della Leonessa, figlia di Alfonso, permettendo una certa continuità nella successione per tutto il dominio aragonese e spagnolo che declassava il Regno di Napoli, già senza Sicilia, a Viceregno.
Una volta morto Carlo Carafa, i feudi furono rilevati presso la Regia Corte, nel 1515, dal figlio Giovan Vincenzo, il quale, fu incaricato dall’imperatore di avere cura delle fortezze di Napoli. Ritiratosi a Montesarchio con l’arrivo dei Francesi, Vincenzo non ci pensò su due volte e passò dalla loro parte nell’invasione del regno e nella spedizione francese del Lautrec Odet de Foix.
Dichiarato ribelle dagli spagnoli, gli furono confiscati i beni; morì durante l’assedio di Napoli nel 1528. Avuta la meglio gli Aragonesi, in quell’anno, Cervinara, acquisita dal Vicerè Principe D’Orange passò alla Corte di Napoli. Nel 1532 il re di Spagna Carlo V la donò, insieme ai suoi 11 Casali e alle 240 famiglie, ad Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, Gran Camerario del Regno e capitano generale di fanteria, come ricompensa dei servizi resi durante l’assedio di Napoli.
A quei tempi Cervinara possedeva boschi e selvaggina e produceva vino in quantità e granaglie a sufficienza: era sempre uno dei Comuni più grandi del Principato Ultra. In più, nel 1590, fra le proprietà ecclesiastiche beneventane, abbiamo notizia certa di beni anche presso un altro Casale detto delli Rutundi (Rotondi). Si tratta di ben 13 chiese.
Altri d’Avalos che tennero Cervinara furono il figlio di Alfonso, Ferrante (1546), e il nipote Alfonso II (1571) che nel 1573 vendé il feudo, unitamente a quello di Rotondi e Campora per 17.000 ducati a Giovan Felice Scanalone (o Scalaleone) di Teano, illustre giureconsulto e professore dell’Università di Napoli, al quale seguì il figlio Giulio. Vale la pena di ricordare che in questo periodo Cervinara visse un momento culturale abbastanza alto per la presenza, nel campo ecclesiastico, di fervidi studiosi.
Il 29 maggio del 1597 ritroviamo il feudo di Cervinara nelle mani di Berardino Barionovi, segretario del Regno, cui fanno menzione tutti gli scrittori fra cui Toppi e Campanile, in favore del quale, Giulio, lo aveva alienato per 30.000 ducati; l’ufficialità sarebbe però avvenuta solo nel 1602, allorquando l’ebbe Barionovi (Barrionuevo), Consigliere del Re Filippo III di Spagna e Reggente del Supremo Consiglio d’Italia.
Questo nobile uomo donò Cervinara al figlio Francesco che aveva ottenuto da re di Spagna Filippo III il titolo di marchese di Cervinara ma, passato a miglior vita nel contempo, titolo e feudo ricaddero sul padre Bernardino che, nel 1606, ottenne dal re la possibilità di mutare il titolo con quello di marchese di Cusano, fino a vendere l’antico feudo (1607) a Beatrice Caracciolo, marchesa di Volturara Appula, per 40.000 ducati. Nel 1608, alla marchesa successe il figlio Giuseppe Caracciolo che, l’anno dopo, vendé all’Università di Cervinara diverse concessioni, rendendo esenti i cittadini da alcuni obblighi feudali.
L’Università si riuniva una volta all’anno, alla fine di agosto, per eleggere almeno tre cittadini modello tra magnifici (viventi del proprio), massari, commercianti ed artigiani proposti dalla stessa amministrazione uscente.
Il pubblico parlamento eleggeva i nuovi, “per voce” e con alzata di mano, per l’amministrazione annuale dei beni comuni, o della Comune, della Terra di Cervinara appunto, detti eletti (assessori), insieme ad un cancelliere del regno, che li aiutava nell’amministrazione delle tasse.
Eppure ci sarebbe stato un caso, nel 1777, in cui il parlamento si rifiutò di votare la formazione, provocando la reazione dei benestanti.
A Cervinara come a Rotondi vi dimorò per lungo tempo la nobile famiglia dei Caracciolo di Sant’Eramo, prima della vendita della Casa Palazziata cervinarese al conte Del Balzo di Presenzano, ai discendenti del quale è rimasto quello che fu detto Palazzo Marchesale che ancora vediamo a Ferrari.
Successo nel 1623 al fratello Giuseppe, il 7 aprile 1629, Francesco sposò Porzia Caracciolo e ottenne il privilegio di mutare nuovamente il titolo con quello di marchese di Cervinara, per sé e per i suoi discendenti Giovanbattista, Marino, Pasquale I, Antonio, Pasquale II, Carlo, Onorato, Marino IX marchese di Volturara e marchese di Sant’Eramo, Onorato e Marino, che mantennero le cariche per tutto il regno dei Borboni, fino all’abolizione della feudalità da parte dei Francesi con la legge del 1806.
In copertina Soldato in ascolto dell'Allocuzione di Alfonso d'Avalos, signore di Cervinara
Autore: Arturo Bascetta
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