sabato 8 maggio 2021

René Guénon - AUTORITÀ SPIRITUALE E POTERE TEMPORALE (1929) | cap. VII

 

LE USURPAZIONI DELLA REGALITÀ E LE LORO CONSEGUENZE _7

Si dice talvolta che la storia si ripete, il che è falso, perché non vi possono essere nell’universo due esseri o due eventi che siano perfettamente identici sotto ogni aspetto; se lo fossero, non sarebbero più due ma, coincidendo in tutto, semplicemente si confonderebbero, sicché non sarebbero che un solo e medesimo essere o evento. 

La ripetizione di possibilità identiche implica del resto un’ipotesi contraddittoria, quella di una limitazione della possibilità universale e totale, e, come abbiamo spiegato altrove con tutti gli approfondimenti necessari, questo è ciò che permette di confutare teorie come quelle della «reincarnazione» e dell’«eterno ritorno». 



Ma non meno falsa è l’opinione, diametralmente opposta, che sostiene che i fatti storici sono completamente dissimili e che tra essi non vi è nulla in comune; la verità è che ci sono sempre differenze per certi aspetti e, al tempo stesso, somiglianze per altri, e che, come in natura vi sono vari generi di esseri, così in questo ambito, come in ogni altro, vi sono del pari vari generi di fatti; in altri termini, esistono fatti che, in circostanze diverse, sono manifestazioni o espressioni di una medesima legge. 

Per questo motivo ci si imbatte talvolta in situazioni paragonabili che, se si trascurano le differenze per rilevare solo i punti di somiglianza, possono dare l’illusione di una ripetizione; 

in realtà non vi è mai identità tra i diversi periodi della storia, bensì corrispondenza e analogia, come tra i cicli cosmici o gli stati molteplici di un essere; e come esseri diversi possono passare attraverso fasi paragonabili nei limiti delle modalità proprie alla natura di ciascuno di essi, lo stesso accade per i popoli e le civiltà.

Così, come abbiamo segnalato sopra, nonostante differenze molto notevoli, esiste un’incontestabile analogia, forse mai abbastanza sottolineata, tra l’organizzazione sociale dell’India e quella del Medioevo occidentale; tra le caste dell’una e le classi dell’altro vi è soltanto corrispondenza e non identità, ma questa corrispondenza non è meno importante, giacché può servire a mostrare con particolare chiarezza che tutte le istituzioni con un carattere autenticamente tradizionale poggiano sugli stessi fondamenti naturali e differiscono in fondo soltanto per gli adattamenti necessari a circostanze diverse di tempo e di luogo. (pp. 92-93)

In Europa troviamo anche, sin dal Medioevo, l’analogo della rivolta degli Kshatriya; lo troviamo in particolare in Francia, dove, a partire da Filippo il Bello – che dobbiamo considerare uno dei principali artefici della deviazione caratteristica dell’epoca moderna, la regalità fu quasi costantemente impegnata a rendersi indipendente dall’autorità spirituale, pur conservando però, per una singolare incongruenza, il segno esteriore della sua dipendenza originaria, poiché, come abbiamo detto, l’incoronazione dei re era questo.

 I «legisti» di Filippo il Bello sono già, molto prima degli «umanisti» del Rinascimento, i veri precursori dell’attuale «laicismo»; ed è a quell’epoca, cioè all’inizio del secolo XIV, che bisogna in realtà far risalire la rottura del mondo occidentale con la propria tradizione. Per motivi che sarebbe troppo lungo esporre qui e che abbiamo del resto indicato in altri studi,1 riteniamo che il punto di partenza di questa rottura fu segnato in modo nettissimo dalla distruzione dell’Ordine del Tempio[…]. (pp.94-95)

Ne risulta che l’autorità spirituale, mentre può e deve sempre controllare il potere temporale, non può essere controllata da niente altro, almeno esteriormente

e il re non si accontenta più di essere il primo fra gli Kshatriya, cioè il capo della nobiltà, e di svolgere la funzione di «regolatore» che a tale titolo gli appartiene, perde ciò che costituisce la sua ragion d’essere essenziale e, al tempo stesso, si oppone alla nobiltà, di cui non era che l’emanazione e l’espressione più compiuta. 

Allora vediamo la regalità, nell’intento di «centralizzare» e assorbire in sé i poteri appartenenti collettivamente alla nobiltà nel suo insieme, entrare in lotta contro quest’ultima e applicarsi con accanimento alla distruzione del feudalesimo, dal quale tuttavia era nata; e d’altra parte la regalità non poteva condurre tale lotta se non appoggiandosi al «terzo stato», che corrisponde ai Vaishya; è la stessa ragione per la quale, proprio a partire da Filippo il Bello, vediamo i re di Francia circondarsi quasi costantemente di borghesi, soprattutto quelli che, come Luigi XI e Luigi XIV, svilupparono di più l’opera di «centralizzazione», di cui la borghesia doveva poi cogliere i benefici quando, con la Rivoluzione, si impadronì del potere.

La «centralizzazione» temporale è in genere il segno di un’opposizione all’autorità spirituale, di cui i governi si sforzano così di neutralizzare  l'influenza per sostituirvi la loro.

L’epoca moderna, che rappresenta la rottura con la tradizione, dal punto di vista politico potrebbe caratterizzarsi come la sostituzione del sistema nazionale a quello feudale; è nel secolo XIV che le «nazionalità» cominciarono a costituirsi grazie all’opera di «centralizzazione» di cui parliamo. (p.101)

Ma a noi ora preme soprattutto far rilevare che la formazione delle «nazionalità» è essenzialmente uno degli episodi della lotta del temporale contro lo spirituale; e se si vuol toccare il nocciolo della questione, si può dire che proprio per questo essa fu fatale alla regalità, la quale, quando sembrava stesse realizzando tutte le sue ambizioni, si stava invece avviando alla rovina.

Esiste una specie di unificazione politica, quindi del tutto esteriore, che implica il misconoscimento, se non la negazione, dei princìpi spirituali i quali soli possono creare l’unità autentica e profonda di una civiltà, e le «nazionalità» ne sono un esempio. Nel Medioevo vi era in tutto l’Occidente un’unità reale, fondata su basi propriamente tradizionali, ed era quella della «Cristianità»; quando si formarono quelle unità secondarie, di ordine puramente politico, cioè temporale e non spirituale, che sono le nazioni, la grande unità dell’Occidente venne irrimediabilmente spezzata, e l’esistenza effettiva della «Cristianità» ebbe fine. 

Le nazioni, che sono allora i frammenti dispersi dell’antica «Cristianità», false unità sostituite all’unità autentica dalla volontà di dominio del potere temporale, proprio per come erano sorte non potevano vivere se non opponendosi le une alle altre, scontrandosi senza sosta in tutti i campi: 

lo spirito è unità, la materia è molteplicità e divisione, e più ci si allontana dalla spiritualità, più gli antagonismi si accentuano e si amplificano. (pp.101-102-103)

D’altra parte, il costituirsi delle «nazionalità» rese possibili veri e propri tentativi di asservimento dello spirituale al temporale, implicanti un capovolgimento totale dei rapporti gerarchici tra i due poteri; questo asservimento trova la sua espressione più definita nell’idea di una Chiesa «nazionale», subordinata cioè allo Stato e rinchiusa nei limiti di quest’ultimo; 

il termine stesso di «religione di Stato», sotto la sua apparenza volutamente equivoca, infondo non significa altro: è la religione di cui il temporale si serve come mezzo per rendere bile il suo dominio; è la religione ridotta a fattore dell’ordine sociale. (pp.103-104)

Ma, via via che si sprofonda nella materialità, l’instabilità aumenta, i cambiamenti si producono sempre più rapidamente; anche il regno della borghesia non potrà che avere una durata piuttosto breve, in confronto a quella del regime a cui è succeduto; 

e poiché usurpazione chiama usurpazione dopo i Vaishya sono ora gli Shùdra ad aspirare al dominio: esattamente questo è il significato del bolscevismo.


modernità

Non vogliamo formulare previsioni al riguardo, ma non sarebbe certo molto difficile ricavare da quel che precede alcune conseguenze per l’avvenire: se gli elementi sociali inferiori hanno in un modo o nell’altro accesso al potere, il loro regno sarà verosimilmente il più breve di tutti e segnerà l’ultima fase di un determinato ciclo storico, giacché non è possibile scendere più in basso; se anche un tale evento non ha una rilevanza più generale, v’è da supporre che esso costituirà, almeno per l’Occidente, la fine del periodo moderno.(p.107)

Scritto da René Guénon

Stralci tratti da ADELPHI – Collana PICCOLA BIBLIOTECA ADELPHI n. 661 – 2014

Nessun commento:

Posta un commento