DIPENDENZA DELLA REGALITÀ DAL SACERDOZIO_5
Qui si vede che il rapporto tra i due poteri può anche essere rappresentato come quello tra «interno» ed «esterno», rapporto che in effetti ben simboleggia quello tra conoscenza e azione, o, se si vuole, tra «motore» e «mobile», per riprendere l’idea che abbiamo esposto sopra, riferendoci tanto alla teoria aristotelica quanto alla dottrina indù. (p. 72)
In cambio della garanzia che l’autorità spirituale dà alla loro potenza, gli Kshatriya, con la forza di cui dispongono, devono assicurare ai Brahmani il modo di svolgere in pace, al riparo dal disordine e dall’agitazione, la propria funzione di conoscenza e di insegnamento; è ciò che il simbolismo indù rappresenta nella figura di Skanda, Signore della guerra, che protegge la meditazione di Ganesha, Signore della conoscenza. (pp. 73-74)
I Brahmani devono esercitare solo un’autorità in certo modo invisibile, che, come tale, può restare ignota all’uomo comune, ma non per questo cessa di essere il principio immediato di ogni potere visibile; questa autorità è come il perno intorno al quale ruotano tutte le cose contingenti, l’asse fisso intorno a cui il mondo compie la sua rivoluzione, il polo o il centro immutabile che dirige e regola il movimento cosmico senza parteciparvi.
La dipendenza del potere temporale dall’autorità spirituale ha il suo segno visibile nell’incoronazione dei re: essi non sono veramente «legittimati» se non quando abbiano ricevuto dal sacerdozio l’investitura e la consacrazione, che implicano la trasmissione di un’«influenza spirituale» necessaria all’esercizio regolare delle loro funzioni. (pp. 75-76)
Ciò dimostra come essa non appartenga in proprio al re, ma gli sia conferita da una specie di delega dell’autorità spirituale, delega in cui consiste propriamente il « diritto divino », come abbiamo già detto; il re, quindi, non ne è che il depositario, e di conseguenza in certi casi può perderlo; per questo motivo, nella «Cristianità» medioevale, il Papa poteva sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà verso il loro sovrano. Nella tradizione cattolica, del resto, si rappresenta san Pietro che tiene in mano non soltanto la chiave d’oro del potere sacerdotale, ma anche la chiave d’argento del potere regale; presso gli antichi Romani queste due chiavi erano uno degli attributi di Giano, ed erano allora le chiavi dei «grandi misteri» e dei « piccoli misteri», i quali, come abbiamo spiegato, corrispondono anche, rispettivamente, all’«iniziazione sacerdotale» e all’ «iniziazione regale». (p.77)
Quanto è stato detto definisce i rapporti normali tra autorità spirituale e potere temporale; e, se questi rapporti fossero osservati sempre e dovunque, mai nessun conflitto potrebbe nascere tra l’una e l’altro, perché ciascuno occuperebbe così il posto che gli spetta in virtù della gerarchia delle funzioni e degli esseri, gerarchia che, torniamo a insistervi, è strettamente conforme alla natura stessa delle cose.
Purtroppo, di fatto, le cose son ben lontane dallo stare così, e troppo spesso le relazioni normali sono state misconosciute o addirittura rovesciate; a questo proposito va innanzitutto rilevato come sia già un grave errore considerare lo spirituale e il temporale semplicemente come due termini correlativi o complementari senza rendersi conto che il secondo ha il suo principio nel primo. (pp. 78-79)
[…]tale complementarità non è sbagliata, ma soltanto insufficiente, perché corrisponde a un punto di vista pur sempre esteriore, qual è del resto la divisione stessa dei due poteri, resa necessaria da uno stato del mondo in cui il potere unico e supremo non è più a portata dell’umanità ordinaria. (p.79)
Se quindi è un errore considerare lo spirituale e il temporale semplici correlativi, ve n’è un altro, ancora più grave, che consiste nel voler subordinare lo spirituale al temporale, cioè in definitiva la conoscenza all’azione; questo errore, che capovolge completamente i rapporti normali, corrisponde alla tendenza che è, in linea generale, quella dell’Occidente moderno, e che può manifestarsi soltanto in un periodo di decadenza intellettuale molto avanzata.
Oggi, peraltro, alcuni si spingono ancora più lontano in questa direzione, fino a negare il valore stesso della conoscenza in quanto tale e anche, come conseguenza logica essendo le due cose strettamente correlate, fino alla negazione pura e semplice di ogni autorità spirituale; quest’ultimo gradino nella degenerazione, che comporta la dominazione delle caste inferiori, è uno dei segni caratteristici della fase finale del Kali-Yuga. (pp.82-83)
[…]oggi non si vuole vedere nella religione niente più che uno degli elementi dell’ordine sociale, un elemento fra gli altri e al loro stesso livello;
è l’asservimento dello spirituale al temporale, o addirittura l’assorbimento del primo nel secondo, in attesa della completa negazione dello spirituale, che ne è l’inevitabile esito.
Di fatto, considerare le cose a questo modo conduce necessariamente a «umanizzare» la religione, a trattarla cioè come fatto meramente umano, di ordine sociale, o meglio «sociologico», per gli imi, di ordine forse più psicologico per gli altri; e allora, a dire il vero, non è più religione, perché la religione comporta essenzialmente qualcosa di «sovraumano», senza il quale non siamo più nell’ambito spirituale, giacché temporale e umano sono in realtà identici, in base a quanto dicevamo sopra; si tratta quindi, a dispetto delle apparenze, di una vera e propria negazione implicita della religione e dello spirituale[…]. (pp.83-84)
Scritto da René Guénon
Stralci tratti da ADELPHI – Collana PICCOLA BIBLIOTECA ADELPHI n. 661 – 2014
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