Da che parte va il mondo?
All'indomani dell'armistizio il pendolo oscillò violentemente verso sinistra: sia nel campo politico che nel campo sociale. Due imperi crollarono: quello degli Hohenzollern e quello degli Absburgo mentre un altro quello dei Romanoff li aveva preceduti. Sorsero delle repubbliche, molte troppe repubbliche, alcune delle quali come la tedesca non rappresentavano nemmeno un tentativo supremo disperato di patriottismo come la Comune del '71, ma un espediente per ottenere una pace wilsoniana.
Negli anni '19-20 tutta l'Europa centrale ed orientale è travagliata dalla crisi politica di consolidamento dei nuovi regimi aggravata e complicata dalla crisi che chiameremo socialista, cioè dai tentativi di realizzare qualcuno dei postulati delle dottrine socialiste.
Nei paesi vinti la crisi politico-sociale attinge forme acutissime — come in Prussia in Baviera in Ungheria — ma non risparmia nemmeno i paesi vincitori come la Francia e l'Inghilterra che devono fronteggiare giganteschi movimenti di masse e assume forme inquietanti — dal moto del caro-viveri del 1919 all'occupazione delle fabbriche nel 1920 — nel paese più povero fra i paesi vittoriosi: l'Italia.
L'impressione generale di quegli anni è che il mondo va ormai a sinistra con moto vorticoso: che la sinistra storica, non nel senso parlamentare italiano, è rappresentata dalla Russia la quale ha segnato la strada che tutti i popoli dell'Europa e del Mondo dovranno percorrere:
tutti i valori tradizionali vengono capovolti; l'eroismo di guerra è vilipeso e viene esaltata la diserzione;
tutte le gerarchie tradizionali spezzate (un cosacco diventa generalissimo della guarnigione rossa di Pietrogrado e un Krilenko qualsiasi viene elevato alla dignità di generalissimo dell'esercito sovietista) le gerarchie economico-tecniche — frutto di una lunga selezione e di un faticoso travaglio scientifico — non sfuggono ai destino delle altre: gli ingegneri delle officine Putiloft vengono cacciati nei forni. Sembra che da quel momento le officine non abbiano fuso altro materiale.
Anche in questo campo le diverse società europee ci offrono una scala di sfumature che sono in relazione col loro grado di civiltà e colla maggiore o minore profondità dello sconvolgimento sociale.
In Russia la famiglia dello Zar viene massacrata senza processo; in Germania quella degli Hohenzollern può andarsene in esilio. In Russia tutto il sistema economico, cosiddetto capitalistico, viene interrotto e paralizzato — anche attraverso l'eccidio fisico dei «borghesi» in Germania, compresa la stessa Baviera, non si è mai arrivati agli estremismi russi né in materia politica, né in materia sociale.
Tuttavia le linee di questa crisi del primo biennio del dopo-guerra europeo apparivano così paurose che molti elementi — in ispecie politicanti — delle classi borghesi si erano rassegnati all'ineluttabile e credendo oramai nell'imminenza del cataclisma, avevano abbandonato ogni forma di resistenza anche passiva: mentre i bottegai italiani consegnavano le chiavi alle Camere del Lavoro, gli ideologi della democrazia e gran parte dell'intelligenza borghese inclinavano a sinistra nel pensiero e nell'azione, molto spesso sventatamente riformatrice, diffondendo sempre più vastamente nelle masse la convinzione che il vecchio mondo — quello della destra — era destinato a morire.
Come tutta questa aspettazione si colorisse nell'anima e nell'azione delle masse lavoratrici, è cronaca triste di ieri.
Articolo pubblicato sulla rivista Gerarchia il 25 febbraio 1922
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