Quando – in un domani non so quanto lontano – gli storici scriveranno la storia della svendita alla finanza anglosassone della nostra economia nazionale, citeranno certamente tre eventi che sono all’origine di questa drammatica pagina:
la legge-delega Amato-Carli che avviava la privatizzazione della Banca d’Italia (30 luglio 1990), il trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea (7 febbraio 1992) e, appunto, il convegno del “Britannia” (2 giugno 1992).
Di quest’ultimo evento ho già delineato il contesto politico e diplomatico (oltre che giudiziario) che gli fece da cornice. Adesso scenderò nel dettaglio, dando conto delle partecipazioni più significative, sia da parte inglese che da parte italiana. Per evitare di incorrere in qualche errore od omissione (sono ormai trascorsi vent’anni) sorreggerò la mia memoria con i dati riportati in quattro interrogazioni parlamentari di cui sono stato co-firmatario insieme ai colleghi Parlato (la prima) e Landolfi (le altre tre). Si tratta, per l’esattezza, della n. 4/00234 del 29 aprile 1994 – due settimane dopo l’inizio della XII Legislatura – e delle nn. 4/00778, 4/00779, 4/00780 del 20 maggio del medesimo anno. Tutte rimaste senza risposta da parte del governo del tempo.
La prima interrogazione era per certi versi anomala, perché quasi interamente dedicata ai prodromi di privatizzazione della Società Autostrade. In premessa si affermava che i dirigenti della predetta Società erano stati fra i partecipanti al convegno del “Britannia”, nel corso del quale «fu deciso, oltre al resto, la dismissione delle aziende italiane a partecipazione statale».
Si proseguiva con la notizia – rimbalzata addirittura da Pechino – che
«le procedure di vendita sono a buon punto per Maccarese e Italstrade, e c’è la conferma della volontà di quotare in borsa, scendendo sotto il 51 per cento, anche le azioni ordinarie della Società Autostrade».
PRIVATIZZAZIONI CON LO SCONTO DEL 30%
Le altre interrogazioni seguivano a distanza di un mese, ed erano sostanzialmente un unicum suddiviso in tre puntate. È da notare che gli atti ispettivi riguardavano fatti avvenuti durante gestioni governative precedenti (il 7° governo Andreotti, il 1° governo Amato ed il governo Ciampi), ma che comunque il nuovo gabinetto (il 1° governo Berlusconi) non riterrà di fornire risposta alcuna: come se – al di là delle divisioni partitiche – i governi di ogni colore politico fossero tenuti a non ostacolare il disegno di spoliazione dell’economia italiana.
La seconda interrogazione (la prima della terna principale) esordiva citando le rivelazioni contenute nell’articolo de “L’Italia settimanale” del 3 febbraio 1993. Riporto testualmente il brano:
«2 giugno 1992: muore il giudice Falcone. Mentre l’Italia si indigna e scende in piazza, qualcun altro dà il via alla svendita dello Stato. Prime vittime “annunciate”, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi. Il nome dell’operazione è “privatizzazione”. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che, invece, nasconde una serie di affari dalle proporzioni incalcolabili, patti di sangue tra le famiglie più influenti del capitalismo, dinastie imprenditoriali, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise con un minimo comun denominatore: scippare agli Stati, considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno alla globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria.
L’Italia un’espressione geografica delle lobbies, dell’impero multinazionale anglo-americano?
E' quanto viene deciso, anzi, ufficialmente sancito il 2 giugno 1992, a bordo del regio panfilo “Britannia” (che si trova “per caso” nelle nostre acque territoriali)
dai rappresentanti della BZW (la ditta di brocheraggio della Barclay’s), della Baring & Co, della S.G. Warburg e dai nostri dirigenti dell’ENI, dell’AGIP, da Mario Draghi del ministero del Tesoro, da Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop e da alti funzionari della Comit, delle Generali e della Società Autostrade. Lo rivela un documento dell’Executive Intelligence Review.
Poche ore di discussione e l’affare prende corpo. Al Governo il compito di giustificare la filosofia dell’operazione (con una adeguata campagna-stampa di drammatizzazione dei dati del deficit pubblico). Anche la svalutazione della lira [avvenuta tre mesi dopo] è stata soltanto un comodo affare per le finanziarie di Wall Street. Calcolato in dollari, l’acquisto delle nostre imprese da privatizzare, è diventato infatti, per gli acquirenti americani, meno costoso del 30 per cento. La stessa lira si va assestando, ormai, sul valore politico di circa 1.000 lire a marco, esattamente come da richiesta (imposizione) internazionale. Ma non bisogna stupirsi. Il disegno di espansione delle grandi finanziarie anglo-americane è noto, e viene da lontano».
Scritto da Michele Rallo
Nessun commento:
Posta un commento