Chi era Ferdinando II di Borbone? - Parte prima
Probabilmente fu, nel bene e nel male, tra le più incisive personalità che il Sud abbia mai prodotto in assoluta autonomia. Si dedicò con abnegazione e con assoluta onestà morale ed intellettuale allo sviluppo del Regno Meridionale. Il suo fu un totalitarismo antesignano e per molti versi originale, in quanto non di matrice militaristica come quelli che sarebbero sorti nel Novecento.
Il Regno, la capitale, i sudditi, la religione e la stessa monarchia, si fondevano, nella concezione ferdinandea, in un unico totale, teso all'autosufficienza e al miglioramento delle condizioni di vita, pur nel sostanziale mantenimento della vecchio assetto della società civile.
La sua opera rappresentò il tentativo, unico nella storia del Sud moderno, di dare un carattere unitario al Regno, della cui autonomia e indipendenza restò fino alla fine un tenace e geloso difensore. Nacque in Sicilia, dove la famiglia si era trasferita a seguito della seconda invasione francese del 1806. Arrivò a Napoli nel 1815, all'età di cinque anni, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone.
Salì al trono appena ventenne l’8 novembre 1830. Iniziò il suo regno con un'austera riforma finanziaria ed amministrativa [cfr. Atto Sovrano 11 gennaio 1831].
Sostituì i ministri, diminuì notevolmente le spese di Corte, concesse una larga amnistia ai detenuti politici e agli esuli, richiamò in servizio gli ufficiali murattiani sospesi dai moti del 1820. La politica adottata dal sovrano diede al commercio la possibilità di espandersi e favori l'iniziativa artigianale. Anche il numero dei piccoli proprietari terrieri aumentò e tutta l'economia del paese si risollevò.
La corona d'Italia
Correva l'anno 1831, che segnò la fine definitiva dei moti carbonari. L’entusiasmo provocato dall’attivismo del giovane re accese le speranze del movimento liberale italiano, tanto che gli fu offerta la corona d'Italia:
«in un congresso del partito liberale riunito a Bologna, si offrì, per mezzo del giovane esule calabrese Nicola del Preite, a Ferdinando di Napoli, la corona d'Italia, ch'egli non accettava, per non sapere che cosa fare del Papa, e tenne sempre fede al segreto al De Preite, volle che nel regno ritornasse, e spesso il rivedeva con speciale benevolenza. Certamente fino al 1833 nessun principe italiano aveva dato ragione ai liberali come Ferdinando II; se egli avesse voluto, la storia d'Italia mutava, ma egli non sentì il palpito dell'italianità, volle rimanere re assoluto, indipendente da tutti, anche dall'Austria».
Ma Ferdinando non era liberale, né tantomeno incline all’espansionismo ed alla turbativa. Era anzi profondamente convinto di essere re per grazia di Dio, e intendeva rispettare i diritti degli altri principi italiani e del Papa: perciò declinò l'invito.
La famiglia
Sposò a Genova il 21 novembre 1832 Maria Cristina di Savoia, quarta figlia del Re Vittorio Emanuele I, dalla quale avrà l'erede Francesco. Il matrimonio era stato più volte rinviato perché, come molti altri della sua famiglia, Ferdinando era affetto da una forma di epilessia, e la regina madre di Sardegna, essendone venuta a conoscenza, aveva avuto delle titubanze. Rimasto vedovo sposò in seconde nozze a Trento il 9 novembre 1837 Maria Teresa d’Austria.
La famiglia Borbone non fu certo tutta all'altezza di Ferdinando, o quanto meno a lui fedele: la prima defezione venne dal fratello Carlo, principe di Capua e Comandante della Real Marina. Questi aveva per amante Penelope Smith, nipote del primo ministro inglese lord Palmerston, e nel giugno 1833 partecipò alla congiura dell’Angelotti che si prefiggeva di uccidere il Re e di sostituirlo con lo stesso Carlo. Il complotto fu sventato e Ferdinando, come unico provvedimento, lo esonerò dalla carica.
Anche altri due fratelli del Re, Leopoldo Conte di Siracusa, e Luigi Conte d’Aquila tradiranno il Regno dopo la morte di Ferdinando. Particolarmente grave fu la defezione di Luigi, che tra il 1859 ed il 1860 riuscì a trascinare nella sua setta quasi tutti i comandanti delle navi da guerra, il cui comportamento rese possibile l'invasione piemontese e la conseguente spoliazione economica del Meridione seguita alla conquista militare del 1860-61.
La frattura con l'Inghilterra
In politica estera, cercò di sottrarre lo Stato alle mire delle potenze imperialiste (l'Inghilterra coloniale e Francia "post-1848" di Napoleone III) che cercavano - a turno - di conquistare con ogni mezzo il controllo economico di tutto il Mediterraneo. Utilizzò a tal fine gli strumenti del protezionismo e dell’autarchia. Nel settembre del 1838 il re si imbarcò per la Sicilia insieme alla regina, dove dispose la costruzione di orfanotrofi, asili ed ospedali, di un Monte di Pietà, di borse di valori, e di un porto franco a Messina. Cercò inoltre di favorire il commercio e l'industria locale agevolando la più valida ed esclusiva risorsa mineraria della Sicilia, quella dello zolfo (all'epoca indispensabile per la produzione degli esplosivi).
Fu stipulata una convenzione con ditte francesi più vantaggiosa di quella precedentemente in vigore con gli inglesi. Le relazioni con l'Inghilterra ne risultarono compromesse e Ferdinando, di fronte alla minaccia, si preparò alla guerra inviando in Sicilia ben 12.000 soldati mentre denunciava alle corti europee la condotta della Gran Bretagna. Poiché l'Austria non si dava da fare per un compromesso, il re si rivolse alla Francia. Luigi Filippo adoperò la sua diplomazia a vantaggio di re Ferdinando che nel frattempo aveva energicamente deciso l'embargo a tutte le navi britanniche.
Questo provvedimento fu poi revocato, e la crisi rientrò, ma il Regno dovette versare degli indennizzi alle ditte francesi. La vertenza per lo zolfo influì molto sulle relazioni tra regno delle Due Sicilie ed Inghilterra, attenta a conservare il monopolio dello strategico minerale siciliano. I britannici avviarono una politica destabilizzante nei confronti del Regno delle Due Sicilie, che culminerà con l'appoggio alla spedizione dei Mille nel 1860 ed alla annessione de Regno al fidato Piemonte.
Nel 1849 venne inviato a Napoli William Gladstone, deputato e già ministro delle Colonie del governo Peel, ufficialmente per seguire il processo contro gli adepti alla società segreta "Unità d’Italia" la cui attività culminò in atti terroristici come quello del settembre 1849, quando un ordigno esplose davanti al palazzo reale di Napoli. Tornato a Londra nel 1851, d’intesa col primo ministro Palmerston, Gladstone fece diffondere la lettera da lui inviate al ministro degli esteri, lord Aberdeen, nelle quali si etichettava il regno del Sud come la “negazione di Dio”.
Il Gladstone riferiva di una visita, in realtà mai avvenuta, alle carceri napoletane. L’Inghilterra gridò così al mondo intero il proprio sdegno per le asserite disumane condizioni in cui erano tenuti i detenuti politici e queste notizie trovarono ampie casse di risonanza sui giornali di Torino e nella stessa Napoli negli esterofili ambienti degli oppositori. A"giochi fatti", cioè dopo l'annessione piemontese, sarà lo stesso deputato inglese ad ammettere candidamente la menzogna: confessò che aveva scritto per incarico di lord Palmerston, che egli non aveva mai visitato alcun carcere.
Per inciso, il sistema giudiziario meridionale è stato riconosciuto da tutti gli studiosi come il più avanzato d’Italia preunitaria. Ferdinando II aveva inoltre abolito, il 25 febbraio 1836, la pena dei lavori forzati perpetui che invece decenni più tardi fu comminata, in gran copia, dal governo “unitario“ piemontese ai cosiddetti “briganti“ meridionali.
Scritto da Alfonso Grasso
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