venerdì 4 dicembre 2020

Chi era Ferdinando II di Borbone? - parte seconda



Chi era Ferdinando II di Borbone? - Parte Seconda

Ferdinando II si dedicò, a differenza dei suoi avi, direttamente al governo del Regno, tanto da offuscare i suoi stessi ministri. All’interno cercò di privilegiare i ceti popolari, in antitesi con gli interessi dei proprietari terrieri, eredi del feudalesimo, e con le velleità di una borghesia (i disprezzati «paglietti» e «pennaruli») economicamente rapace quanto politicamente immatura e velleitaria. Il Re teneva ad assicurare la maggiore prosperità possibile al popolo. In tutte le istruzioni emanate agli intendenti delle Province, ai commissari demaniali, agli agenti del fisco, si avverte l’intenzione della monarchia di basarsi sull'amore della classi popolari. 

Famiglia Reale

La politica interna

Il Re raccomandava ai suoi funzionari di ascoltare chiunque del popolo. Li ammoniva di non fidarsi delle persone più potenti: li incitava a soddisfare con ogni amore i bisogni delle popolazioni. Fra il 1848 ed il 1860, gli anni più difficili a causa del crescente isolamento internazionale, cercò di economizzare su tutto, pur di non mettere nuove imposte: si evitarono principalmente le imposte sui consumi popolari. Il Re diede il buon esempio, riducendo il suo appannaggio, fatto questo non comune nella storia dei principi europei, in regime assoluto o in regime costituzionale.

Nel 1837 scoppiò l'epidemia colera che era stata prevista e contro cui ci si era premuniti: l'epidemia ebbe inizio ad Ancona ed il re dispose subito che venissero sospesi tutti i traffici con lo Stato Pontificio, e fissò delle pene molto severe per tutti coloro che avessero trasgredito alle disposizioni sanitarie e di igiene che erano state già emanate. Con l'energia che lo distingueva, Ferdinando ebbe cura sia del popolo che dell'esercito, e, quando in ottobre il colera invase Napoli e i comuni vicini, incurante di ogni pericolo, fu in prima linea nei rioni più popolari della città, interessandosi personalmente di tutto: con il suo inesauribile dinamismo dai rioni popolari passava agli ambulatori, poi ai lazzaretti e infine nelle caserme, dove consumava il rancio tra i suoi soldati. 

Il Re “bomba

Diede poi disposizioni affinché venissero distribuiti gratuitamente il maggior numero di medicinali atti a frenare la malattia, cosa che certamente non doveva essere facile a quei tempi. Con l'inverno il male terminò, dopo aver provocato circa 6.200 vittime. 

Napoli ebbe poi a subire una seconda epidemia di colera. Questa volta il colera invase tutto il regno raggiungendo anche Palermo e diverse città della Sicilia. Le vittime di questo secondo colera furono a Napoli circa 14.000, ma in Sicilia ve ne furono oltre 65.000.

Nel 1839 inaugurò la Napoli - Portici, primo tronco ferroviario costruito in Italia, cui seguirono numerose altre opere. Il 29 gennaio 1848 concesse la Costituzione e nel marzo seguente per volontà dei liberali al governo, interrompendo un lungo periodo di pace, fu inviato un contingente di truppe al comando di Guglielmo Pepe a combattere contro l'Austria a fianco dei Sardi. La rivoluzione in Sicilia e gli avvenimenti napoletani del 15 maggio, con cruenti scontri tra le truppe e i liberali, indussero Ferdinando a sciogliere la camera e richiamare l'esercito dal nord. Nel maggio 1849 la sommossa della Sicilia fu domata con le armi. La costituzione non venne abrogata ufficialmente: fu semplicemente messa in disparte. Questi avvenimenti pesarono non poco sul carattere e sull’entusiasmo del Re, che però continuò a perseguire il suo personale disegno di sviluppo della Regno: i popolani continuarono ad essere al centro della sua attenzione.

Perseguendo la politica dirigistica, realizzò industrie, strutture, strade, porti, sviluppò commerci e istituti sociali. Morì prematuramente a nemmeno 50 anni, mentre le nubi cominciavano ad ammassarsi sull'Antico Regno. I suoi resti riposano a Napoli in Santa Chiara.

Messina in rivolta (1848)

Il Re “bomba”

Già precedentemente osannato dai liberali con gli appellativi di “novello Tito” o “pacifico Giove”, divenne “Re Bomba” perché consentì il bombardamento di Messina del 5 settembre 1848. La città, come l’intera isola, era insorta con l'appoggio discreto dell'Inghilterra, interessata da una parte a "mettere le mani" sulla Sicilia, isola strategica per il controllo del Mediterraneo, dall'altra parte desiderosa di ostacolare la politica di Ferdinando II, a cui non aveva mai perdonato lo “sgarro” tentato con la questione degli zolfi siciliani.

Ma torniamo al bombardamento: la squadra navale napoletana era costituita da tre fregate a vela, 6 fregate a vapore, 5 piroscafi armati, 20 cannoniere, 24 scorridoie ed altri legni sottili. Il 1° settembre 1848 ancorò al largo di Catona, presso Reggio e nella notte si avvicinò alla costa dell’isola per impadronirsi di una batteria degli insorti, detta delle “Moselle”, situata a fior d’acqua nei pressi del villaggio di Contessa, fuori Messina, forte di 12 cannoni. 

La Reale Flotta

La flotta iniziò il bombardamento alla mattina del 2 settembre e poco dopo dal bastione Blasco della Cittadella di Messina, nelle mani dell’esercito regolare, effettuarono una sortita 4 compagnie di pionieri che, coperti dal fuoco navale, incendiarono gli affusti dei cannoni. Nel pomeriggio del 4 settembre si imbarcarono a Reggio, 250 ufficiali e 6400 uomini di truppa. Lo sbarco delle truppe regie in terra siciliana iniziò alla mattina del 5 settembre a 3 miglia da Messina, protetto dal fuoco delle pirofregate e delle cannoniere. I primi a scendere a terra furono gli uomini del reggimento Real Marina, al comando del colonnello Giustino Dusmet. Dopo tre giorni di aspri combattimenti, l’8 settembre le truppe regie entrarono in Messina, nel cui porto furono catturate 16 cannoniere. 

Si trattò di un combattimento tra due eserciti, eppure Ferdinando II è ricordato come il re “bomba”. Vittorio Emanuele II, che fece bombardare le case di Genova nel 1849, Gaeta, Capua ed Ancona (dopo la resa) nel 1860, Palermo nel 1866, fu “galantuomo” e "padre della patria"!

                                                              Scritto da Alfonso Grasso

Dov'è il tempio Caudino dedicato al Dio Priapo? - CAUDIUMISTERI

Lettere alla Redazione

Il tempio Caudino dedicato al Dio Priapo

CaudiuMisteri

Siamo molto soddisfatti dell'interesse che questa cinghia di trasmissione culturale sta riscuotendo in rete. Certo, ci manca la distribuzione del giornale cartaceo ed il contatto diretto con le carissime Lettrici ed i cari Lettori, con le edicole e le piazze, tappe fondamentali per misurare la temperatura delle critiche sulla notizia. Finalmente, dopo svariati appelli, è arrivata in redazione "virtuale" una lettera elettronica che riportiamo fedelmente. Prendiamo la palla al balzo per ricordare che Lo Schiaffo 321 è pronto a mettere in discussione tutto e il contrario di tutto. Non ci siamo mai fossilizzati sui dogmi.

Buona lettura e grazie al signor Michele Giordano di Cerreto Sannita per l'interessante contributo.

Arte ellenica dedicata a Priapo

Gentile redazione de Lo Schiaffo 321,

mi chiamo Michele e vi scrivo da Cerreto Sannita in provincia di Benevento. Ho trovato molto interessante il vostro articolo sulla Dea Cerere e sul ritrovamento della sua statua, avvenuto in maniera fortuita in Valle Caudina. Personalmente sto portando a termine una ricerca sulle divinità greco/romane, con attenzione particolare al Dio Priapo. Secondo le mie fonti legate agli archivi della nobile famiglia di Gian Pietro Carafa, il Papa Irpino conosciuto con il nome di Paolo IV., Priapo era molto adorato. Insomma, oltre alla Dea Cerere con annesso tempio, ci sono molti indizi legati al forte culto per il Dio Priapo, estremamente diffuso nelle aree appenniniche meridionali. Il legame tra devoti e divinità era difficile da estirpare viste le profonde credenze popolari. Priapo è una divinità affascinante e molto diffusa anche nelle società rurali come le provincie di Benevento, Avellino e Isernia. Cerere era la Dea della fertilità e dell'agricoltura, molto venerata in Valle Caudina, anche quando divenne vietato pregarla. Ne è testimonianza il ritrovamento della statua di Cerere ai piedi del Monte Taburno come da voi riportato qualche anno fa.

L'affresco di Pompei

Il Dio Priapo, invece, è un dio agreste, bucolico, rozzo, oggetto di culti definiti abbastanza semplici e poveri, ma molto entusiasmanti sia per le Donne, sia per gli Uomini dell'epoca. Priapo è un dio della mitologia greco romana, noto per la lunghezza del pene. Figlio di Afrodite, ma non si conosce il padre. Potrebbero essere, nell'ordine Dioniso, Ares, Adone e Zeus. Altri studiosi, invece, lo vedono come figlio Afrodite ed Ermes, e quindi fratello di Ermafrodito altro personaggio della mitologia greca, che venne trasformato in un essere androgino dall'unione fisica soprannaturale avvenuta con la ninfa Salmace. Mai come in questo caso l'unica sicurezza è la madre.

 La Crypta Neapolitana 

Nelle mie ricerche ho messo in risalto la Crypta Neapolitana alle spalle della chiesa di Piedigrotta. Il grande scrittore romano Petronio, autore del Satyricon, parla del culto di Priapo, famoso per i riti orgiastici che per millenni  hanno caratterizzato le pratiche espletate in onore della divinità. Dare libero sfogo alle più elementari pulsioni dava innegabili benefici per il corpo e lo spirito in special modo per le tribù guerriere come quelle che popolavano l'intero Samnium. Leggenda narra che la famosa "sfogliatella" reccia abbia la forma del pube femminile, un particolare molto importante per svegliare l'impeto dei devoti al Dio superdotato. L’antico spirito greco/romano delle feste è abbastanza simile alla Taranta molto di moda negli ultimi anni. Le venerazioni priapiche e le sfrenate danze liberatorie erano osteggiate e messe al bando dalle Santa Chiesa Cattolica. 

Il mito di Priapo si diffuse ovunque in Campania. Enorme successi ebbero le baccanali per celebrare Bacco. Il cerimonia rituale, frequente nelle grandi feste iniziatiche o agricole, celebrazioni misteriche in onore di divinità come Demetra, Dioniso, Bacco, Orfeo, Priapo durante le quali le baccanti partecipavano al furore sacro indotto dal culto orgiastico proprio di quel dio con forme di eccitazione parossistica che si coronava addentando vivo o mangiando crudo (omofagia) un cerbiatto, incorporazione di Dioniso. Vennero ufficialmente abolite a partire dal 186 a.C., ma sopravvissero in clandestinità.

Sempre secondo le mie fonti in Valle Caudina il culto rituale dedicato a Priapo ha radici antiche e profonde. Cerere non era sola a ricevere le preghiere e la venerazione dei Caudini, anzi, Priapo era una divinità molto longeva, capace di unire le culture mediterranee, dall'antica Grecia fino a superare la fine dell'Impero Romano. La Valle Caudina è storicamente una delle terre pagane più ostili, almeno inizialmente, al monoteismo. L'evangelizzazione dell'Impero Romano e la repressione verso i politeisti non fermò le celebrazioni verso gli Dei. La Chiesa corse ai ripari sostituendo gradualmente i Santi agli Dei. Probabilmente in Valle Caudina l'eco della parola di Cristo redentore tardò ad arrivare e quando il monoteismo arrivò trovò un clima ostile. Riporterò nella mia tesi parte dell'articolo sulla Dea Cecere e colgo l'occasione per chiederVi eventuale materiale sulla storia di Priapo nella nobile terra guerriera Caudina.

Ringrazio per la possibilità che mi state concedendo e faccio i miei migliori auguri all'unico giornale interessante che ho trovato in rete, senza nessuna fastidiosa pubblicità che distrae dai contenuti. Bravi. Ad Majora.

@Lettera elettronica inviata dal signor Michele Giordano 

Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo


mercoledì 2 dicembre 2020

COMUNITÀ MILITANTE CAUDINA 321 | volantino


 

René Guénon - L'esoterismo di Dante - Audiolibro

René Guénon - L'esoterismo di Dante


L'esoterismo di Dante (L'ésotérisme de Dante) è un saggio pubblicato nel 1925 da René Guénon, nel quale questi sostiene che Dante Alighieri sarebbe stato membro di un ordine iniziatico e che, scrivendo la Divina Commedia, avrebbe voluto lasciare ai lettori della sua opera un messaggio dottrinale nascosto nei versi.

Il messaggio nascosto nel poema sarebbe ricco di parallelismi massonici ed ermetici e come tale potrebbe essere letto e capito solo dagli iniziati, che disporrebbero delle giuste chiavi di lettura dei testi sacri ed antichi. A partire dai versi dell'Inferno, O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani l'autore ritiene che coloro che posseggono li 'ntelletti sani sarebbero gli "iniziati", i quali potrebbero scoprire la dottrina insita sotto il velame del poema.

Guénon sostiene che le tre cantiche della Divina Commedia rappresenterebbero un percorso iniziatico: l'Inferno rappresenterebbe il mondo profano, ovvero abitato da persone che non avrebbero ricevuto l'iniziazione; il Purgatorio riferirebbe le prove iniziatiche ed il Paradiso sarebbe la residenza degli "illuminati".

Nel "regno degli illuminati" Dante citò i Principi celesti, che sarebbero identificabili con uno dei gradi della Massoneria scozzese, e il grado di "Scozzese trinitario" sarebbe riferito al numero tre, ricorrente nel poema dantesco e riferito alla Trinità.

Lo stesso numero tre comparirebbe inoltre ripetutamente nel percorso iniziatico: tre sono i principi massonici (libertà, uguaglianza e fratellanza), tre le virtù teologiche (fede, speranza e carità) e tre gli elementi alchemici (zolfo, mercurio e sale), necessari per creare la "Grande Opera".

Guénon sottolineava inoltre che il viaggio di Dante attraverso i mondi o cicli cosmici avviene durante la settimana santa, cioè nel momento dell'anno liturgico che corrisponde all'equinozio di primavera, il periodo riservato alle iniziazioni dei Catari.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Chi era Ferdinando II di Borbone? - parte prima

 

Chi era Ferdinando II di Borbone? - Parte prima

Probabilmente fu, nel bene e nel male, tra le più incisive personalità che il Sud abbia mai prodotto in assoluta autonomia. Si dedicò con abnegazione e con assoluta onestà morale ed intellettuale allo sviluppo del Regno Meridionale. Il suo fu un totalitarismo antesignano e per molti versi originale, in quanto non di matrice militaristica come quelli che sarebbero sorti nel Novecento. 

Il Regno, la capitale, i sudditi, la religione e la stessa monarchia, si fondevano, nella concezione ferdinandea, in un unico totale, teso all'autosufficienza e al miglioramento delle condizioni di vita, pur nel sostanziale mantenimento della vecchio assetto della società civile. 

La sua opera rappresentò il tentativo, unico nella storia del Sud moderno, di dare un carattere unitario al Regno, della cui autonomia e indipendenza restò fino alla fine un tenace e geloso difensore. Nacque in Sicilia, dove la famiglia si era trasferita a seguito della seconda invasione francese del 1806. Arrivò a Napoli nel 1815, all'età di cinque anni, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone.

Salì al trono appena ventenne l’8 novembre 1830. Iniziò il suo regno con un'austera riforma finanziaria ed amministrativa [cfr. Atto Sovrano 11 gennaio 1831]. 

Sostituì i ministri, diminuì notevolmente le spese di Corte, concesse una larga amnistia ai detenuti politici e agli esuli, richiamò in servizio gli ufficiali murattiani sospesi dai moti del 1820. La politica adottata dal sovrano diede al commercio la possibilità di espandersi e favori l'iniziativa artigianale. Anche il numero dei piccoli proprietari terrieri aumentò e tutta l'economia del paese si risollevò.

Ferdinando II di Borbone


La corona d'Italia

Correva l'anno 1831, che segnò la fine definitiva dei moti carbonari. L’entusiasmo provocato dall’attivismo del giovane re accese le speranze del movimento liberale italiano, tanto che gli fu offerta la corona d'Italia: 

«in un congresso del partito liberale riunito a Bologna, si offrì, per mezzo del giovane esule calabrese Nicola del Preite, a Ferdinando di Napoli, la corona d'Italia, ch'egli non accettava, per non sapere che cosa fare del Papa, e tenne sempre fede al segreto al De Preite, volle che nel regno ritornasse, e spesso il rivedeva con speciale benevolenza. Certamente fino al 1833 nessun principe italiano aveva dato ragione ai liberali come Ferdinando II; se egli avesse voluto, la storia d'Italia mutava, ma egli non sentì il palpito dell'italianità, volle rimanere re assoluto, indipendente da tutti, anche dall'Austria». 

Ma Ferdinando non era liberale, né tantomeno incline all’espansionismo ed alla turbativa. Era anzi profondamente convinto di essere re per grazia di Dio, e intendeva rispettare i diritti degli altri principi italiani e del Papa: perciò declinò l'invito.

Carta del Regno delle due Sicilie

La famiglia

Sposò a Genova il 21 novembre 1832 Maria Cristina di Savoia, quarta figlia del Re Vittorio Emanuele I, dalla quale avrà l'erede Francesco. Il matrimonio era stato più volte rinviato perché, come molti altri della sua famiglia, Ferdinando era affetto da una forma di epilessia, e la regina madre di Sardegna, essendone venuta a conoscenza, aveva avuto delle titubanze. Rimasto vedovo sposò in seconde nozze a Trento il 9 novembre 1837 Maria Teresa d’Austria.

La famiglia Borbone non fu certo tutta all'altezza di Ferdinando, o quanto meno a lui fedele: la prima defezione venne dal fratello Carlo, principe di Capua e Comandante della Real Marina. Questi aveva per amante Penelope Smith, nipote del primo ministro inglese lord Palmerston, e nel giugno 1833 partecipò alla congiura dell’Angelotti che si prefiggeva di uccidere il Re e di sostituirlo con lo stesso Carlo. Il complotto fu sventato e Ferdinando, come unico provvedimento, lo esonerò dalla carica. 

Anche altri due fratelli del Re, Leopoldo Conte di Siracusa, e Luigi Conte d’Aquila tradiranno il Regno dopo la morte di Ferdinando. Particolarmente grave fu la defezione di Luigi, che tra il 1859 ed il 1860 riuscì a trascinare nella sua setta quasi tutti i comandanti delle navi da guerra, il cui comportamento rese possibile l'invasione piemontese e la conseguente spoliazione economica del Meridione seguita alla conquista militare del 1860-61.



La frattura con l'Inghilterra

In politica estera, cercò di sottrarre lo Stato alle mire delle potenze imperialiste (l'Inghilterra coloniale e Francia "post-1848" di Napoleone III) che cercavano - a turno - di conquistare con ogni mezzo il controllo economico di tutto il Mediterraneo. Utilizzò a tal fine gli strumenti del protezionismo e dell’autarchia. Nel settembre del 1838 il re si imbarcò per la Sicilia insieme alla regina, dove dispose la costruzione di orfanotrofi, asili ed ospedali, di un Monte di Pietà, di borse di valori, e di un porto franco a Messina. Cercò inoltre di favorire il commercio e l'industria locale agevolando la più valida ed esclusiva risorsa mineraria della Sicilia, quella dello zolfo (all'epoca indispensabile per la produzione degli esplosivi). 

Fu stipulata una convenzione con ditte francesi più vantaggiosa di quella precedentemente in vigore con gli inglesi. Le relazioni con l'Inghilterra ne risultarono compromesse e Ferdinando, di fronte alla minaccia, si preparò alla guerra inviando in Sicilia ben 12.000 soldati mentre denunciava alle corti europee la condotta della Gran Bretagna. Poiché l'Austria non si dava da fare per un compromesso, il re si rivolse alla Francia. Luigi Filippo adoperò la sua diplomazia a vantaggio di re Ferdinando che nel frattempo aveva energicamente deciso l'embargo a tutte le navi britanniche. 


Il Regno visto dagli inglesi

Questo provvedimento fu poi revocato, e la crisi rientrò, ma il Regno dovette versare degli indennizzi alle ditte francesi. La vertenza per lo zolfo influì molto sulle relazioni tra regno delle Due Sicilie ed Inghilterra, attenta a conservare il monopolio dello strategico minerale siciliano. I britannici avviarono una politica destabilizzante nei confronti del Regno delle Due Sicilie, che culminerà con l'appoggio alla spedizione dei Mille nel 1860 ed alla annessione de Regno al fidato Piemonte

Nel 1849 venne inviato a Napoli William Gladstone, deputato e già ministro delle Colonie del governo Peel, ufficialmente per seguire il processo contro gli adepti alla società segreta "Unità d’Italia" la cui attività culminò in atti terroristici come quello del settembre 1849, quando un ordigno esplose davanti al palazzo reale di Napoli. Tornato a Londra nel 1851, d’intesa col primo ministro Palmerston, Gladstone fece diffondere la lettera da lui inviate al ministro degli esteri, lord Aberdeen, nelle quali si etichettava il regno del Sud come la “negazione di Dio”. 

Il Gladstone riferiva di una visita, in realtà mai avvenuta, alle carceri napoletane. L’Inghilterra gridò così al mondo intero il proprio sdegno per le asserite disumane condizioni in cui erano tenuti i detenuti politici e queste notizie trovarono ampie casse di risonanza sui giornali di Torino e nella stessa Napoli negli esterofili ambienti degli oppositori. A"giochi fatti", cioè dopo l'annessione piemontese, sarà lo stesso deputato inglese ad ammettere candidamente la menzogna: confessò che aveva scritto per incarico di lord Palmerston, che egli non aveva mai visitato alcun carcere.

Per inciso, il sistema giudiziario meridionale è stato riconosciuto da tutti gli studiosi come il più avanzato d’Italia preunitaria. Ferdinando II aveva inoltre abolito, il 25 febbraio 1836, la pena dei lavori forzati perpetui che invece decenni più tardi fu comminata, in gran copia, dal governo “unitario“ piemontese ai cosiddetti “briganti“ meridionali.

Scritto da Alfonso Grasso

martedì 1 dicembre 2020

COMUNITÀ MILITANTE CAUDINA 321 | volantino


ZPM e AMICI DEL VENTO - Concerto per Ramelli (1988)

Concerto per Ramelli - Verona 23-04-1988 -
 ZPM e Amici del Vento
 

Registrazione del concerto svoltosi a Verona, il 23 aprile 1988 al cinema K2, in occasione dell’inaugurazione di Via Sergio Ramelli. 

Nel 1988, a 13 anni dalla morte di Sergio Ramelli, l’allora consigliere comunale veronese dell’M.S.I.-D.N. Nicola Pasetto (1961-1997) riuscì a fargli intitolare una una via nel capoluogo scaligero. 

Era la prima via che veniva intitolata ad un ragazzo di destra, un militante del Fronte della Gioventù, assassinato durante gli anni di piombo. Per il 23 aprile fu organizzata una manifestazione che prevedeva l’inaugurazione della via, un corteo ed un concerto con due dei gruppi storici della musica alternativa tornati a suonare per l’occasione: i milanesi Amici del Vento e i veronesi ZPM. (www.sergioramelli.it)


Materiale storico, fotografico e audio, archivi storici dell’Associazione Lorien.


SINISTRO CAUDINO, il fumetto (episodio 1)


 Sinistro Caudino, il fumetto
episodio numero1

Allo Stato, il Quarto potere costituzionale: la sovranità monetaria



Ca ira Ca ira Ca ira…

Allo Stato, il Quarto potere costituzionale: la sovranità monetaria.

L’Europa dei banchieri contro la Costituzione”: esattamente con questo titolo (cfr. Il Tempo, 22 giugno 2004, p. 7) o con titoli analoghi, la grande stampa ha dato la notizia sconvolgente che è iniziata la fase conclusiva della Rivoluzione Francese. Noi l’avevamo già preannunciata su Abruzzopress (3 giugno ’04, n. 180) con queste testuali parole: “Lo stato di diritto ha considerato nel proprio ordine costituzionale, solo i tre poteri: legislativo, giurisdizionale ed esecutivo".

Il quarto potere della sovranità monetaria se lo sono fagocitato, nel silenzio, le banche centrali, S.p.A con scopo di lucro…

Ecco perché dobbiamo completare la Rivoluzione Francese: la sovranità monetaria va attribuita allo Stato – come QUARTO POTERE COSTITUZIONALE – e tolta alla banca centrale. Non è più tollerabile che, in uno Stato di diritto, la funzione costituzionale della sovranità monetaria sia esercitata da una S.p.A. con scopo di lucro...

L’urlo del Ca ira deve tornare sulle piazze, davanti alle sedi delle banche centrali e nei Tribunali. Ci dobbiamo riprendere la proprietà dei soldi nostri.

Quando la governance economica programma “maggiori poteri alla Commissione nella sorveglianza dei conti pubblici…” pone necessariamente un conflitto di interessi tra la volontà del Padrone (la banca centrale) e quella dei camerieri (i popoli). Ha denunciato esplicitamente l’eventualità di questo conflitto Mario Borghezio: “Questa è una costituzione per l’Europa dei banchieri. Noi combattiamo invece per l’Europa dei Popoli…”. 

La diagnosi è esatta. Manca la terapia.

"Ça Ira", inno rivoluzionario francese

Si impone la necessità di uscire dalle formule approssimative e generiche per proporre:

  1. l’attribuzione allo Stato della sovranità monetaria come quarto potere costituzionale;
  2. la proprietà della moneta al Popolo come reddito di cittadinanza;
  3. l’emissione di moneta senza riserva, di proprietà del portatore, come oggetto di diritto sociale (a norma del 2° co. dell’art. 42 della Costituzione Italiana);
  4. poiché il mercato è saturo sia di beni che di moneta quando i prezzi coincidono con i costi di produzione, solo quando questa coincidenza si verifica, va sospesa sia la produzione dei beni che l’emissione di moneta in attuazione del quarto potere costituzionale della sovranità monetaria;
  5. va costituito il Ministero per il risarcimento dei danni da usura (come i danni di guerra);
  6. va sancita, con provvedimento di urgenza la moratoria dei debiti bancari e fiscali, perché basati sull’illecito del debito da signoraggio che ha trasformato il portatore da proprietario in debitore della propria moneta;
  7. dichiarata la moneta di proprietà dei cittadini, lo Stato deve trattenere all’origine, all’atto dell’emissione, quanto necessario per esigenze di pubblica utilità, eliminando il 100% dei prelievi fiscali.

il Prof. Giacinto Auriti scomparso l'11 agosto 2006

Questi fondamentali principi normativi si desumono dalla definizione del valore come rapporto tra fasi di tempo e conseguentemente del valore monetario come valore indotto. Solo su questi principi la governance economica proposta nel patto costituzionale europeo potrà realizzare l’Europa dei Popoli. Altrimenti si continuerà nella tradizione dei camerieri dei banchieri in cui la sovranità monetaria è retta dalla banca centrale, S.p.A. con scopo di lucro.

L’urlo del Ca ira deve tornare per scrivere la pagina conclusiva della Rivoluzione Francese. Ci dobbiamo riprendere la proprietà dei soldi nostri.

Scritto da Giacinto Auriti

Note:

Pubblichiamo un  articolo del prof. Giacinto Auriti, che fu docente universitario di Diritto della navigazione, di Diritto Internazionale e di Filosofia del Diritto. Geniale ideologo, “economista eretico”, rivelò al mondo la grande usura del mondo bancario ed elaborò la proposta di legge, ancora giacente in Senato, della Proprietà popolare della moneta.

tratto da: SOCIALE