Dei due nuovi fattori che sono stati indicati come caratteristici del conflitto e cioè il rapporto tra occidente e oriente e quello tra democrazia, bolscevismo e Fascismo, la prima revisione, che molti occorre che facciano per facilitare l’ulteriore cammino, riguarda proprio il «Fascismo» e cioè l’ideologia politica in nome della quale il mondo ha preso le armi.
Oggi il Fascismo, dopo venticinque anni di vita dalla riunione di piazza San Sepolcro, si trova ancora di fronte al bolscevismo, ma si trova, inoltre, direttamente impegnato contro la democrazia. Vorremmo dire, tra oriente e occidente. Ed è proprio questa situazione di fatto nel conflitto che vale a chiarire l’intima natura del Fascismo e della rivoluzione politica e sociale ch’esso rappresenta.
Il Fascismo ha avuto sempre questo volto bifronte e tutta la sua storia si comprende davvero solo quando si approfondisca la duplice esigenza informatrice e il conseguente bisogno di sintesi.
Nella sua storia interna, il Fascismo, sorto dalla lotta contro il disordine, fu sostenuto dalla borghesia e apparve movimento di reazione borghese. E da questo punto di vista è stato giudicato da tanti, anche dopo l’8 settembre 1943. Ma il movimento assunse ben presto una diversa fisionomia e, se di reazione si volle continuare a parlare, bisognò pure riconoscere l’affermarsi di una tecnica di governo, la cui caratteristica fondamentale è il così detto totalitarismo. Cominciò, in altri termini, un processo di statalizzazione, che a poco a poco ha investito tutta la vita politica e sociale, preparando l’inevitabile processo di unificazione delle classi sociali. Sì che, a poco a poco, se si è voluto continuare nell’opposizione contro il Fascismo e contro il Corporativismo, l’opposizione stessa si è venuta scindendo in due estremi significativi.
O volete, invece, la fine di ogni residuo borghese, uno statalismo di ferro atto a frantumare ogni ulteriore velleità del privato, la subordinazione assoluta dell’individuo all’organismo politico, la dittatura ad oltranza e la minaccia continua dell’esecuzione capitale? Liberali o comunisti? Ma, alla domanda, gli antifascisti rispondono ponendosi a destra e a sinistra, dimostrando per ciò stesso, con palmare evidenza, che il problema politico dell’oggi è appunto quello del rapporto tra liberalismo e comunismo, vale a dire quello di cui il Fascismo rappresenta il primo geniale tentativo di soluzione.
Al posto della destra contro la sinistra e della sinistra contro la destra si forma una nuova posizione politico-sociale, che è contemporaneamente di destra e di sinistra.
Eguale destino ha avuto il Fascismo nella sua storia esterna. Da una parte, le democrazie, scandalizzate dell’autoritarismo, della fine della libertà, dello statalismo, dell’autarchia; dall’altra, il bolscevismo, che nel Fascismo ha ravvisato un regime borghese e capitalistico, anzi il più borghese e il più capitalistico di tutti i regimi. E, come all’interno liberali e comunisti hanno di comune soltanto l’antifascismo, così all’esterno democrazia e bolscevismo si son trovati insieme soltanto in funzione di antifascismo. Ma, se sul piano interno e su quello internazionale il Fascismo fosse abbattuto, quale sarebbe il domani? La risposta a questa domanda comincia ormai a diventare evidente, perché alla fine del Fascismo non potrebbe succedere che il rinnovato scontro di liberalismo e comunismo, e quindi un nuovo fatale Fascismo.
Ancora contro il Fascismo, dunque, ma assumendone sempre più il problema e avvicinandosi alle sue soluzioni. Ancora contro il Fascismo, ma, nonostante tutto, per il Fascismo.
Il Fascismo ha già vinto la guerra, perché ha vinto sul piano rivoluzionario. Gli è che il Fascismo prima di ogni altra ideologia politica, ha compreso che il problema veramente rivoluzionario era quello della sintesi di liberalismo e socialismo, e che vano è ormai ogni altro tentativo politico che voglia affermarsi trascurando uno dei due bisogni essenziali dell’attuale vita politica:
il riconoscimento della personalità dell’individuo e un’effettiva soluzione del problema sociale.
Democrazie e bolscevismo hanno finora compreso uno solo dei due bisogni e non ne hanno perciò compreso sul serio nessuno. Ma, se il principio informatore del Fascismo è già divenuto esigenza più o meno consapevole di ogni altro regime politico, sì da consentire la previsione del suo generalizzarsi, un’obiezione fondamentale si sente spesso muovere contro di esso, ed è quella che concerne il modo col quale il principio è stato tradotto nella realtà. Allora non si nega più l’esigenza dal Fascismo espressa, ma si continua a negare che il Fascismo abbia saputa assolvere il compito propostosi e si insiste sulla necessità di perseguire lo stesso intento per altra via, e in maniera ben altrimenti efficace.
Ora, a nessun fascista sincero può venire in mente di negare un qualche fondamento, almeno fino all’8 settembre, a questa obiezione, ed anzi l’obiezione stessa è nata e continua a nascere prima che in altri proprio nei fascisti più consapevoli. Essa costituisce, infatti, per quel tanto che è giustificata, l’interna forza di propulsione del movimento rivoluzionario, lo stimolo per la continua revisione di se stesso, l’insoddisfazione che è feconda di miglioramenti anche radicali. Il Fascismo per quanto possa vantare una storia lunga e creatrice non è che all’inizio del suo cammino e ben altri passi dovrà compiere prima che il suo ideale possa dirsi purificato dalle scorie che lo hanno compromesso nel passato e che volentieri tenterebbero di comprometterlo ancora.
Il Fascismo perciò rivendica a se stesso il diritto e il dovere di farsi lui questa obiezione e di poggiare su di essa le speranze e la volontà dell’avvenire. Il Fascismo conosce le sue insufficienze, i pericoli che incombono su di esso, la distanza che ancora lo separa del fine proposto; conosce le forze che ne hanno spesso reso faticoso e ambiguo il cammino; ha conosciuto, soprattutto, la resistenza attiva e passiva, interna e esterna, che lo ha alterato e sfibrato. Tutto questo conosce e si confessa il Fascismo, ma, appunto per questo, nega con tutte le sue forze che l’obiezione possa essere pronunciata da altri che fascisti non siano. Perché il Fascismo non è una astratta ideologia che possa giudicarsi sul piano delle astrazioni, non è un’utopia che possa aspirare alla perfezione di una logica formale, ma è un movimento politico che si inserisce e opera in una determinata realtà storica e non può prescindere da essa.
Troppo facile contrapporre a una difficile prassi una perfezione soltanto teorica. A una siffatta pretesa il Fascismo risponde denunciando gli attuali catoni come i veri responsabili degli aspetti negativi del Fascismo. E non soltanto, si comprenda bene, i catoni interni che, rifugiandosi nel passato, hanno creduto di poter straniarsi dal Fascismo depauperandolo della propria esperienza e contribuendo direttamente o indirettamente alle sue deviazioni; ma anche, e soprattutto, i catoni esterni che con la loro venticinquennale incomprensione hanno sino al 25 luglio costretto il Fascismo a irrigidimenti e reazione di cui ora tutti pagano le conseguenze e soprattutto l’intera nazione.
Sono state le forze reazionarie di dentro e di fuori che nell’asprezza della polemica, nel sordo ostruzionismo, nell’alterazione più o meno cosciente dei fatti, hanno giorno per giorno attentato alla vita del Fascismo e hanno cercato di logorarlo intellettualmente e moralmente. Ma ora costoro invano rivendicano il diritto di contrapporre al Fascismo un altro ipotetico regime, che del Fascismo abbia la stessa ragion di essere pur non avendone le imperfezioni. Essi non possono contrapporre realtà a realtà e non possono quindi garantire la bontà di un futuro di cui si sono mostrati radicalmente incapaci per il passato.
Scritto da Carlo Alberto Biggini
Verità e menzogna sul Fascismo (1945)
Tratto dal “Corriere della Sera" di martedì 16 e venerdì 19 Gennaio 1945-XXIII nn. 14 e 17
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