QUARANTA ANNI FA E' MORTO MIO FRATELLO.
Lo so, non è un granché come titolo. Ma questo è. Quaranta anni sono molti. Io ne ho sessanta, quindi sono due terzi della mia vita, trascorsi con un ricordo fisso in mente che appare quando meno lo cerchi, quando stai per addormentarti o quando ti svegli all'improvviso. Il 5 ottobre del 1980 lo ricorderò per sempre, ogni minuto. Con chi ero, chi disse cosa, dove. Possiamo solo dire che Nanni, a ventidue anni, quel giorno concluse il suo transito terrestre. Ognuno poi ci metta il suo.
Non ho mai accettato che mio fratello venisse considerato un eroe dei fumetti, un personaggio eccezionale: per me era e sarà sempre solo mio fratello. Quando dopo dieci anni di esilio e tre di carcere tornai in circolazione, nel 1992, non mancava occasione che qualche sconosciuto mi dicesse: "tu forse non te lo ricorderai, ma io ero il miglior amico di tuo fratello Nanni...". La mitomania e lo sciacallaggio non hanno limiti.
Un giorno uno, che non avevo mai visto prima, mi disse: "tu non te lo puoi ricordare perché eri troppo piccolo...". Non riuscii a trattenermi dal dirgli che in realtà ho poco più di un anno meno di Nanni e che abbiamo dormito tutta la vita nella stessa stanza, quindi era un tantino improbabile che io non mi ricordassi chi fosse il miglior amico di mio fratello... Lui nemmeno si scompose.
Forse Nanni morì ammazzato di botte dalla polizia. Non può essere provato, ma le istituzioni fecero di tutto e senza esclusione di colpi perché non si svolgesse una vera indagine. Non voglio ripercorrere i dettagli del trattamento che subì e di come arrivò in carcere, ancora ho mal di stomaco a parlarne. Di certo è che, anni dopo, il patologo professor Umani Ronchi scrisse, a proposito della sua vicenda, che un suicidio per strangolamento è il modo più diffuso che si utilizza nelle carceri per dissimulare una morte per altre cause.
C'è poi la storia del suo coinvolgimento nella inchiesta per la strage di Bologna. Siamo davanti ad una vicenda ufficialmente lurida e squallida, eppure ci sono ancora giovani cronisti improvvisati istruiti su Wikipedia, troppo giovani anche solo per immaginare i tempi di cui stanno scrivendo, che improvvisano storie sulfuree buttandoci dentro il nome di mio fratello. Perché non hanno rispetto di nulla. Forse solo per stupidità e presunzione.
Chi ordì il depistaggio che doveva addossare la strage a mio fratello dopo la sua morte, così che non si potesse difendere da un'infamante accusa, non ha un nome. Chi ordinò alla sedicente pentita Raffaella Furiozzi di fare il suo nome, per fortuna all'interno di un teorema che non resse 48 ore, nessuno ha mai cercato di scoprirlo. La magistratura se n'è totalmente disinteressata.
C'è un'altra vicenda in cui ricorre il nome di mio fratello ed è quella della morte di Valerio Verbano. Come tutte le vicende di cui non si è mai trovato il bandolo, sono convinto che anche in questo caso la verità non emerga perché ci si ostina a guardare in una direzione che qualcuno ha stabilito ignorando o occultando altri elementi. Come con la strage di Bologna e tanti altri "misteri" che misteri non sarebbero se qualcuno avesse indagato con gli occhi aperti e senza paraocchi ideologici.
Ma non spetta certo a me montare teorie, non è il mio mestiere.
Il solo fatto certo e incontrovertibile, è che l'unico legame di Nanni con Valerio Verbano è stato il fatto di essere stato accoltellato alla schiena da quest'ultimo, con altri dieci o quindici, alla fermata dell'autobus.
Per un curioso artificio lui, vittima di un tentato omicidio, viene da quarantanni tirato fuori, di tanto in tanto, come se fosse invece un sospetto criminale. Un'altra vicenda di cui fa male allo stomaco parlare. Detto questo, solo per soddisfare le curiosità dei cultori della materia, non ho altro da dire.
Solo che mi manca. Ma ormai mi mancano così tante altre persone che, paradossalmente, il dolore della sua perdita sembra minore. Più che essere attenuato, è confuso. Confuso con la mancanza di Giorgio, con il quotidiano struggimento per la morte di mio padre. E con quello per la perdita di tante altre persone che ho amato, che fa sembrare questo mondo sempre più vuoto.
Ma poi anche con la tenerezza le gioie, sempre nuove ma antiche, che provo vedendo i miei figli e i miei nipoti crescere, notando le somiglianze. A testimoniare che il sangue è forte ed è una catena dalla quale nessuno può sfuggire.
Per fortuna. Gloria a Dio.
Scritto da Marcello de Angelis
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