Guerra 1940-1945 Inglesi e antifascisti: a futura memoria
In un servizio apparso sul numero 2 di “Storia Verità”, Luigi E. Longo ha trattato il tema dell’apporto fondamentale della BBC inglese alla propaganda di guerra, e in particolare dell’opera prestata a Radio Londra nelle trasmissioni per l’Italia dalla Italian Section, affidata a responsabili inglesi per il coordinamento, l’impostazione e la regia dei programmi. Nel pezzo è stato evidenziato il lavoro svolto dai collaboratori italiani al servizio del nemico.
E’già stato detto dell’importanza di organismi come il P.W.E. prima e P.W.B. successivamente, ma ora vorremmo approfondire la conoscenza sia delle persone che delle opinioni sulle stesse dei responsabili inglesi, il clima in cui si svolgeva detta collaborazione e, in conclusione, quale fu la valutazione obiettiva sull’apporto fornito allo sforzo di guerra britannico dagli antifascisti italiani.Chi si pose al servizio del nemico contro la Patria, fu coperto, a guerra finita, dall’art. 16 del Trattato di pace, espressamente imposto dagli Alleati per evitare l’addebito di reati previsti dalla legge vigente. Il premuroso intervento prova l’illiceità del comportamento di tanti “patrioti”.
Al Sud atmosfera ancora più pesante, creata dallo stato di “resa incondizionata”, gestito dagli Alleati con rigida chiusura verso le disprezzate istanze dei Savoia, di Badoglio e del suo non governo, e della stessa emergente classe politica. Il disegno di superare lo stato di resa offrendo la cobelligeranza appariva insensato e più ancora lo sperare “nell’ipotesi di una alleanza alla pari” (come ebbe a scrivere un alto esponente inglese).
L’incapacità politica di valutare realisticamente la situazione, non impediva agli esuli antifascisti in Inghilterra di lavorare contro gli interessi del loro Paese. A tale proposito interessanti spunti sono offerti dalla documentazione contenuta nel volume di Peter Sebastian I servizi segreti speciali e l’Italia 1940-1945 edito da Bonacci e curato da Renzo De Felice per la collana “I fatti della storia”. Da questa libro la classe antifascista italiana esce malconcia e svilita, spremuta come un limone gettato nella pattumiera. Ma non si salvano nemmeno gli inglesi, perché cade l’affermazione di Churchill che attribuiva al fascismo tutte le disgrazie italiane: infatti aver ricevuto dagli antifascisti richieste e indicazioni sui luoghi da bombardare, vanifica le giustificazioni morali e personali per l’attività terroristica dell’aviazione britannica nell’estate del 1943. Eppure il Sig. Churchill aveva già in passato espresso le sue opinioni su Mussolini e il Fascismo, anche in tono apologetico, e le sue contraddizioni sono ancor più complicate dall’irrisolto mistero della corrispondenza avuta con il Duce e delle sue visite sul lago di Como a guerra finita.
La classe politica antifascista aveva dimostrato nei rapporti con gli inglesi, durante la guerra, limiti morali e mancanza di progetti costruttivi, anteponendo sempre l’interesse di parte o personale al sentimento patriottico. L’impressione suscitata era sgradevole e sprezzante, purtuttavia facilitava il disegno politico alleato. Solo il Ministro degli Esteri Eden non abbandonava la sua nota ostilità verso tutti gli italiani indistintamente e, fautore convinto della resa incondizionata – Churchill all’inizio fu titubante – non volle mai riconoscere ufficialmente il Free Italy Movement, scaricandolo al Ministero della Propaganda, cui fecero capo i fuoriusciti italiani, vecchi e nuovi arrivati.
Facevano parte del movimento: Lussu, Tarchiani, Cianca, Garosci, Zanni, Gentili, Balzani, Crespi, Sforza, Pettoello, Petrone, Luzzatto, Orlando, Gentile, De Meo, Gavasi, Tartagli, Galli, panizzi, Fano, Zencovich, Montani, Mazzucato, Pio, Sampietro, Forti, Minio-Paluello, Priuli-Bon, De Bosi, Montruschi, Formigoni, Nissim, Vincis, Zanelli, utilizzati dal S.O.E. sia per la sezione propaganda (SO.1) della P.W.B. sia, in minima parte, per qulla operativa (SO.2). Alcuni furono inviati in Italia (sbarcati da sommergibili o aviolanciati) e tra essi Marini, Zapetti, Andreoli, Sisnaver, Sartori, Picchi, tutti catturati, processati e condannati alla fucilazione come spie al soldo del nemico.
Una relazione datata 30/09/42 del P.W.B. così descriveva i risultati della I.S.: “molti sforzi sono stati fatti con la propaganda per trovare una formula attraverso la quale potesse essere creato un movimento antifascista forte e popolare. Sono stati avvicinati leaders potenziali, rivolti appelli a gruppi politici e sociali. Tutto fallito. Persino la famiglia reale non offriva garanzia alcuna né possedeva tra i suoi componenti qualcuno con qualità carismatiche”.
Anche i più attivi e dinamici tra i fuorusciti antifascisti, ad esempio Emilio Lussu, affermavano quanto i fatti smentivano, ossia l’esistenza in Sardegna di una situazione prerivoluzionaria da far esplodere “con un semplice cenno della mano”: da qui i sarcastici commenti e la meritata taccia di millantatore.
Il movimento politico che riscuoteva qualche credibilità “Giustizia e Libertà”, specializzatosi purtroppo nel segnalare obiettivi da bombardare, non ebbe migliore fortuna ed il gruppetto composto da Tarchiani, Cianca, Garosci e Zanni fu trasferito alla sezione S.O.E. del Cairo nel 1943 in previsione di poter essere utilizzato dopo lo sbarco in Sicilia. Il S.O.E. rifiutò però di accettare volontari italiani (ad eccezione di elementi dotati di particolari qualifiche, tutti ufficiali e sottufficiali in S.P.E.) così che il divieto rimase in vigore in tutte le FF.AA. alleate. Accadde anche che un reparto logistico-amministrativo dell’esercito britannico rifiutasse decisamente di essere aggregato provvisoriamente ad un reparto militare italiano del Sud affermando che “…ciò costituirebbe un’indegnità troppo grande per il personale britannico”. Lo stesso conte Carlo Sforza, uno fra i più noti antifascisti (nel dopoguerra ministro degli esteri) venne definito da Churchill “stupido e sleale vecchietto” allorché si rifiutò di entrare nel governo Badoglio, giudicandolo prossimo alla liquidazione. Sforza si ebbe una pesante reprimenda dal premier inglese che lo accusò di “non stare al gioco prestabilito” nel più vasto contesto del “do ut des”, e fu grazie all’appoggio americano che rimase a galla fino a che il fatto venne ridimensionato, pur conservandosi l’acredine inglese.
La classe politica antifascista, emblematico il campionario londinese, era molto diversa da quella anglo-sassone, opposizione compresa, per dirittura morale, senso di patriottismo comportamento responsabile e coerenza di azione con il War Cabinet. Gli inglesi erano preoccupati non solo per il non edificante spettacolo offerto dagli esuli ma anche perché essi non riuscivano ad ottenere “…una analisi obiettiva ed omogenea delle personalità, delle tendenze, condizioni e opinioni, degli italiani, soprattutto per le contrastanti risultanze emerse…Il signor Orlando sottolineò tristemente che era pervenuto alla conclusione che i rifugiati contassero pochissimo e che ogni vero movimento di rinascita dovesse provenire dall’interno del paese stesso” (P. Dixon, funzionario del Foreign Office).
Soltanto con le relazioni dell’AMGOT gli inglesi poterono avere un quadro obiettivo anche se sconcertante della realtà politica italiana. Naturalmente nel clima di ostilità preconcetta, anche le autorità italiane del Sud non trovarono crediti e consensi, se non un generico e gratuito incoraggiamento. L’ipocrisia di fondo non offriva alcun serio contributo al miglioramento dei rapporti diplomatici e della politica generale, tanto che gli alleati sintetizzavano:“L’Italia è un nemico sconfitto e allo stesso tempo un cobelligerante che si aspetta di essere trattato da alleato”.
Con l’avvento di Ivanoe Bonomi al posto del defenestrato Badoglio le cose non cambiarono poiché Londra definì l’avvenimento sarcasticamente con la frase: “un grande disastro per l’avvento di questo gruppo di politici vecchi e affamati così poco rappresentativo”.
Pietro Nenni veniva classificato pericoloso a causa della sua amicizia con i comunisti, in specie Togliatti. O. Sargent, funzionario inglese, lo descrisse in un suo rapporto “un disastro” per le continue minacce del leader socialista nel prospettare la guerra civile in caso di rifiuto delle istanze social-comuniste sunteggiate nello slogan “o la repubblica o il caos”.
Il comportamento cinico e sprezzante degli inglesi non fu diretto, ad onor del vero, soltanto verso gli italiani , ma ne fecero le spese francesi e jugoslavi, polacchi e cecoslovacchi e si ebbero contrastanti comportamenti a seconda delle variazioni politiche internazionali inserite nel più grande ed egoistico gioco di Churchill. Si salvarono i reali d’Olanda e Norvegia, ma furono sacrificati quelli di Jugoslavia e d’Italia, emarginati quelli belgi e greci e caddero o sopravvissero uomini politici, specie dell’Est-Europa, secondo la logica di Yalta.
I politici antifascisti italiani confluiti in Inghilterra non furono molti, anche se di diverse ideologie politiche: non riscossero piena fiducia ed ebbero scarsa considerazione, non migliorarono i loro rapporti con gli inglesi e si alienarono le poche simpatie raccolte. Importante quella del Labour Party, più incline alla solidarietà internazionale che al miglioramento dei rapporti con gli italiani, i quali vissero e si agitarono disordinatamente, incompresi ed emarginati, utilizzati di volta in volta e poi accantonati, così che “…tutti i tentativi fatti per influenzare l’opinione pubblica inglese fallirono” scrisse lo storico M.R.D. Foot. Erano esuli fra esuli, anche se ci furono eccezioni, specie per la nutrita presenza ebraica, come i Colosso, i fratelli Piero e Paolo Treves e Carlo Petrone e più tardi Zencovich e Ruggero Orlando (già squadrista fascista e nipote dello statista siciliano – n.d.a.).
I loro appelli agli italiani rimasero senza risposta, e un completo insuccesso fu la tentata costituzione di una missione da inviare nei campi prigionieri dell’India, dell’Egitto e dell’Africa Orientale per fare proseliti antifascisti e costituire reparti militari da inviare contro i tedeschi.
Fallito anche questo tentativo oltre quello radiofonico, rimasti isolati per dissidi interni, non riuscirono ad accreditarsi presso gli inglesi come “esperti di problemi italiani” avendo mostrato di ignorare tutto della vita italiana. Lo stesso Stevens “il colonnello Buonasera” riconosceva la scarsa rilevanza della loro collaborazione. Essi correvano però il rischio, in caso di guerra vinta dall’Asse, di essere accusati di alto tradimento per intelligenza col nemico e di essere fucilati (come accadde al figlio di Lord Amery impiccato dagli inglesi in quanto colpevole di aver fatto propaganda per l’Asse in funzione anti-inglese).
Trovarono appoggio soltanto in Italia, spalleggiati dai loro partiti e dalla partecipazione prestigiosa di un filosofo come Benedetto Croce, che nel discorso di Bari del 28 gennaio 1944 antepose ad una vittoria del fascismo la sconfitta dell’Italia, tesi aberrante per l’odio che l’ispirava, per il fanatismo delle idee che smerciava, per l’assoggettamento della patria al nemico.
Nell’etere venivano profusi i germi più nefasti dell’anarchia, dell’odio insensato per le istituzioni nazionali, della demagogia politica, delle lacerazioni delle coscienze, della dissoluzione morale, del rifiuto dei valori di sempre e tutto per il trionfo del pensiero individuale e del particolare interesse.
Ben diverso il discorso tenuto da Giovanni Gentile il 24 giugno del 1943, rivolto a tutti gli italiani, fascisti o non, che incitava a credere nell’avvenire della Patria da far grande contro le avversità della natura e degli uomini: ..un popolo che salvi intatta la coscienza della propria dignità, che non smarrisca la nozione di quel che esso è e deve essere, potrà vedersi a un tratto oscurarsi il firmamento sopra di sé, ma a breve le stelle torneranno a brillare”. Ed ancora nella primavera del ’44, all’inaugurazione dell’anno accademico, egli diceva: “..è dovere civile di ogni italiano ricordare, ora e sempre, per avere viva e intera coscienza delle nostre colpe, del severo castigo meritato, dell’aspra fatica che ci tocca di affrontare per espiare il passato e riconquistare il posto a cui ci danno diritto il sacrificio dei morti, la nostra intelligenza, le virtù del nostro popolo sano e laborioso. Dico, delle nostre colpe, perché nessuno degli italiani che voglia lavorare alla ricostruzione e quindi alla concordia del Paese, vorrà declinare la sua parte di dignità umana. Soffriamo le conseguenze, quantunque sia anche giusto che l’onta e il danno ricadano maggiormente su coloro che abusarono della fiducia in loro riposta e nell’ombra tradirono la Patria e ne vollero dissennatamente lo sfacelo: annientato l’esercito, consegnata al nemico la flotta, sfasciata la compagine nazionale, spenta nei cuori ogni fede negli istituti fondamentali, fiaccata e distrutta la coscienza e la volontà della stirpe: l’Italia, già fiera della sua antica e nuova storia, e soprattutto della gloriosa parte avuta nella precedente guerra mondiale e del vigoroso impulso quindi impresso al ritmo di tutte le sue energie, ridotta un gregge senza capo, sbandata moltitudine senza un’anima, umiliata e spregiata dallo straniero, vile è ai suoi propri occhi, come se il disonore di un gesto avesse cancellato venticinque secoli di storia scintillante di genio, di virtù, di lavoro, di ardimenti. Un’Italia “libera”, a sentire una bugiarda ed empia leggenda; quando in verità non c’era più un’Italia, e le sue terre, i suoi uomini, i suoi tesori d’arte eran preda o ludibrio degli invasori, a cui sono state aperte le porte”.
Pochi giorni più tardi, Giovanni Gentile veniva assassinato dai GAP comunisti e, da Radio Londra, il velenoso Stevens dette la notizia dimenticando d’aver propiziato con gli inviti alla violenza.
Giovanni Spadolini, definì il 22 aprile 1944 sul periodico “Italia e civiltà” come: “…spregevole e infame per la nostra razza l’assassinio del filosofo”. Croce ebbe modo di pentirsi, fortunatamente per lui, sconfessando sé stesso nel luglio 1947 alla firma del trattato di pace con l’Italia, perché: “…profondamente deluso dagli anglo-americani, ai quali mi sono spiritualmente alleato, con la speranza che riconoscessero all’Italia un’eguaglianza di merito nella guerra civile e “religiosa” contro l’Asse: una speranza completamente tradita”. Ed ancora più avanti, ugualmente deluso dalla nuova classe politica antifascista generata dal tradimento, enunciava: “…la ricostruzione e l’assicuramento della libertà precede ed è fondamentale, e non bisogna mescolare e confondere i suoi problemi con gli altri di carattere variamente particolare, né illuderci che si possa, con gli allettamenti di particolari riforme e di vantaggi economici attirare a quella giacché, con procedimenti siffatti (che sono da dire simoniaci in quanto contaminano il sacro col profano) si otterrebbe in tal caso, non la libertà, ma la vana sua apparenza, la retorica democratica o piuttosto demagogica, rumorosa e vacua, energica a parole e debole nel fatto, e tale da crollare al primo urto”.
Noi non siamo particolarmente legati al Croce, come uomo in primis, ma dobbiamo riconoscergli il tardivo pentimento che ci dà ragione. Gli esuli antifascisti che in Inghilterra aiutavano il nemico di allora a vincere la sua guerra, miravano a ben più pingui e remunerativi obiettivi che al ristabilimento in Italia della libertà e della democrazia. Basta guardare le loro carriere del dopoguerra.
Scritto da Marsilio Bruzio
Indice delle sigle
- P.W.E.Political Warfare Executive
- P.W.B.Psychological Warfare Branch
- P.R.O. Public Records Office
- S.O.E. Special Operation Executive
- I.S. Italian Section
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