Dott.ssa Coccia: Epigenetica e paesaggio nella società multietnica
Nei programmi dei corsi universitari o scolastici di scienze e di biologia si parla di Gregor Mendel, del monaco agostiniano che pose i fondamenti della leggi della genetica, ma di questa figura di scienziato, così estraneo alle logiche della moderna ricerca scientifica - direzionata dagli interessi economici -, poco si conosce. Quando iniziò a scrivere i suoi quaderni sugli "Esperimenti sugli ibridi delle piante", il monaco di Brunn, nel suo orto dell'abbazia di San Tommaso, voleva comprendere quale fossero le modificazioni che le specie subiscono quando i loro caratteri, ovvero le loro forme, forgiati dalle selettive leggi naturali, si ibridano, contaminandosi con quelli di altre varietà non discendenti dal ceppo originario. Lo studioso si pose delle domande precise, che furono il suo obiettivo, alle quali doveva dare risposta con gli studi che condusse sulle piante di Pisum sativum e su altre piante a fiore: si interrogava sulle leggi ereditarie che facevano seguito all'introduzione di caratteri nuovi attraverso l'ibridazione, in una e più generazioni, e si domandò se la stessa ibridazione, arrecando variazioni all'interno delle specie, fosse collegata alla nascita di nuove varietà da alcune preesistenti.
Come apprese Mendel, i caratteri, come particelle distinte (che si ripetono nelle generazioni come unità, come entità discrete) non si mescolano mai, piuttosto si accostano. Alcuni sono dominanti su altri e possono combinarsi sia in modo indipendente sia dipendente nelle generazioni.
Ci sono due principi che Mendel comprese essere fondamentali nell'ereditarietà: la differenziazione morfologica derivante dall'espressione dei caratteri negli organismi e nelle specie, e la gerarchia dei caratteri, ma anche di quelli che poi scoprì essere gli alleli.
Queste sono le basi delle leggi della trasmissione genetica.
Successivamente orientò i suoi studi verso la questione del destino degli ibridi, il tema centrale delle considerazioni conclusive della sua opera.
Giunse alla conclusione che gli ibridi, per loro natura, sono instabili e sostenne che "Questo fenomeno è di particolare rilevanza per l'evoluzione, in quanto gli ibridi che si mantengono costanti acquistano il valore di nuove specie."
Se noi, però, adesso pensiamo a una costante ibridazione, provocata da persistenti flussi genici esterni che investono una popolazione, sfibrandone la forma originaria, possiamo facilmente intuire che, nel breve e medio termine, basandoci sugli studi di Mendel, si otterrà un effetto omogeneizzante delle frequenze geniche che ridurrà al silenzio i caratteri recessivi, a favore di quelli dominanti nelle diverse popolazioni, stabilendo, inoltre, anche nuove 'gerarchie' e nuovi assetti genetici, quindi anche fenotipici.
In seguito, inizieranno, quindi, a generarsi delle conformazioni, relativamente stabili - ma, più spesso, instabili e dinamiche - che, se arriveranno a stabilizzarsi in via definitiva, anche in relazione agli influssi ambientali, daranno origine a nuove forme e a nuove specie, ben distinguibili nel momento in cui alcune precise caratteristiche fisiche, quindi fenotipiche, diverranno fisse, diffuse in tutta la popolazione e poi in ogni popolazione di quella specie o di quella razza (che altro non è una specie in potenza).
Si potrebbe avere, in questo modo la nascita di nuove specie, anche nei gruppi umani, ma, per la prima volta nella storia umana, esse non saranno radicate in alcun luogo, non saranno integrate in alcun paesaggio. Questo è l'elemento più tragico e interessante.
Noi sappiamo, adesso, a differenza di quanto si sapeva al tempo di Mendel. che non esiste solo il genotipo di un individuo o il genoma di una popolazione o di una specie, ma esistono anche delle modalità con le quali queste possibilità genetiche si relazionano alle influenze e agli elementi esterni. Si conosce, il altri termini, quell'insieme di processi biochimici che va sotto il nome di 'epigenetica', che è in senso etimologico quanto si trova al di sopra della genetica.
L'epigenetica, con i suoi processi dinamici, è ciò che decide il destino di ogni singola cellula nel nostro corpo, la quale, da cellula totipotente, diviene cellula differenziata che va a costituire il tessuto nervoso, quello muscolare e via discorrendo. La genetica scrive il libro, l'epigenetica mette i segnalibri e le annotazioni sulle parti del testo che devono essere ricordate e che vanno a segnare la nostra formazione intellettuale e la nostra esistenza o vanno a costituire le parti di un uno studio, di una analisi, di un saggio. Si stabilisce, in questo modo, l'attivazione o l'inattivazione, di alcuni o di altri geni presenti nel corredo genetico. Va da sè che se un gene non è presente in un assetto genetico individuale, non potrà comparire ed esprimersi in una forma, quindi in un fenotipo.
Cosa definisce questi processi epigenetici? L'esterno: la dieta, i fattori ambientali - quindi il paesaggio -, le emozioni, la lingua, le consuetudini culturali di un gruppo umano, la socialità, le interazioni con i nostri simili. Ne derivano dei comportamenti, delle malattie, l'espressione di alcune caratteristiche o di altre.
Nella società multirazziale, multietnica, i flussi genici sono inarrestabili, continui e l'incessante mobilità delle persone non consente più la stabilità, quindi la stabilizzazione di un popolo, non consente radicamento, quindi non consente la definizione di un paesaggio, momento di sintesi tra un gruppo umano e un ambiente che gli è conforme. Le nuove specie, in questo modo, non si generano più e così non si possono più generare i popoli con delle loro lingue specifiche e distinguibili. Siamo il modo in cui interagiamo con il mondo, siamo il modo in cui pensiamo e ci rappresentiamo il mondo. Siamo la nostra 'visione del mondo'.
Dobbiamo tuttavia renderci consapevoli del fatto che, così facendo, perseverando nella creazione di una comunità multietnica, non sarà più possibile una rappresentazione del mondo e gli unici processi epigenetici che si attiveranno e che andranno a sovrapporsi sul nostro DNA non rispecchieranno più l'integrazione in un elemento naturale, non più un paesaggio e una visione del mondo, ma una forma di propaganda mondiale che andrà e incidere la forma mentale degli individui e di questa nuova umanità. Questa sarà l'unica forza operante sulle menti, sui sistemi nervosi e sulla memoria epigenetica transgenerazionale. Questa trasmissione sarà dettata solo dall'esterno, non dall'equilibrio con un paesaggio, ma dalla propaganda, dalle emozioni che essa vorrà suscitare, dalla paura, dalle spinte disgregative o aggregative che in un dato momento faranno più comodo al mercato sovranazionale e internazionale, dalla dieta che imporrà l'industria alimentare, dalle parole chiave dell'unica lingua mondiale e non dal radicamento o dalla coesione interna di un popolo, di tanti popoli, ognuno con una sua propria lingua, cultura, tradizione, con una sua propria e unica e irripetibile visione del mondo da tramandare. Viene da domandarsi, a questo punto, cosa stiamo tramandando.
Nel caos etnico e genetico non ci si potrà più riconoscere tra una generazione e l'altra, nemmeno tra padri e figli, perché le forme non saranno fisse, ma sempre sfuggenti, fluide ed evanescenti.
"Il padre non sarà simile ai figli, né a lui i figli."
(Esiodo, Le Opere e i giorni, v.183, Il mito delle età: l'età del ferro)
Nell'età del ferro ci sarà solo caos, solo discontinuità genotipica, epigenetica, fenotipica e quindi culturale.
E' questo il mondo che vogliamo?
Cristina Coccia, biologa nutrizionista. Autrice di saggi sulla demografia e la salute della popolazione italiana e di articoli divulgativi per siti web e riviste.
sito: https://curanutrizionale.blogspot.com/
tratto da: https://www.youtube.com/c/AlimentiemalattiediRobertoAndreoli/featured
immagini tratte dalla rete