Chi siamo?
Ce lo siamo chiesti tante volte.
Tutte le storie iniziano con un viaggio alla ricerca della propria origine e tutti gli inizi si configurano con la descrizione dei protagonisti della storia; Campo Hobbit 40 non farà eccezione alla regola.
Quarant’anni fa nell’ambiente missino, che oggi in tutta Italia si incontra per celebrare i suoi sett’antanni, stava per avvenire un’accelerazione di passo o potremmo dire un cambio generazionale di dirigenza nel partito. Comunque la si voglia definire la stagione dei Campi Hobbit è anche stata la calda estate della volontà di una rivoluzione politica, globale, ideale, giovanile, culturale. Sui piedi piatti e grossi di questi piccoli uomini si trovò il coraggio di partire per un’avventura, alla volta della partecipazione al proprio tempo, della storicizzazione del fenomeno fascista, anche di una scelta simbolica che sia propria e che sia sentita. Ci si chiuse in una realtà fantastica disse qualcuno, per noi che oggi ricordiamo quel momento storico, ci si aprì alla realtà, rivendicando non tanto una presenza, quanto difendendo la consistenza di una presenza. E vennero le sperimentazioni editoriali, radiofoniche, musicali e infine politiche. Risposte al cosa si potrebbe essere, al come si potrebbe rappresentare una valida alternativa. Il passato sentito lontano senza doverlo rinnegare, il domani immaginato come spazio di vittoria e il presente vissuto come azione contro l’immobilismo plumbeo del nostalgismo missino.
La rivoluzione infine non ci fu.
Ma qualcosa si mosse, qualcosa si costruì, se ancora oggi noi che non calpestammo le pietre bollenti di quel campo a Montesarchio ci sentiamo di ripartire da lì, da quella che consideriamo una origine.
Era il 1977, fuori si sparava, nelle carceri sostavano spesso ingiustamente le menti degli schieramenti ai margini e nelle capitali dello scontro ragazzi ancora acerbi guardavano per l’ultima volta il cielo, ma in quel campo, per quanto diverse potessero essere le anime dei presenti, i neofascisti poterono ostracizzare la morte cantando alle stelle.
Noi non li abbiamo dimenticati e ci ritroveremo a Montesarchio il 23 – 24 e 25 giugno a parlare attraverso loro della opportunità che ha avuto la destra e di come ha ad essa risposto.
In tre giornate dense sapremmo far colloquiare con il linguaggio del presente passato e futuro, proposte e racconti, musica ed editoria, attualità e storia. Le porte della contea Hobbit saranno aperte a comunità di ogni estrazione partitica e a qualsivoglia individualità o schieramento, purché a presiedere rimangano le idee e non le bandiere di appartenenza.
Perché intraprendiamo questo cammino?
Perché “non è più il tempo dei tatticismi e delle formule, ma è il tempo dei discorsi globali, di quelli che parlano chiaro e senza mezzi termini. Solo alzando le nostre idee nel cielo polveroso di questi momenti confusi e corrotti ci potranno essere consensi e movimenti, ci potranno essere volontà ed energie pronte ad impegnarsi. Proponiamo la nostra alternativa, facciamolo il nostro discorso su tutto, parliamo senza retorica, senza orpelli, senza frasi fatte, con il linguaggio crudo del credente, del soldato; ma anche con il linguaggio di chi conosce, di chi ha visto ed analizzato ed è animato dalla forza altrettanto viva della convinzione.
E in tal modo alla domanda quale futuro? Potremo finalmente rispondere: il nostro futuro!”
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