COMPLESSITA' ARABE
Pubblichiamo su richiesta dell’autore, il Caudino Giuseppe
Perrotta, un’interessante e dettagliata analisi sulla questione Siriana diffusa a febbraio da Eurasia, la nota rivista di studi geopolitici che copre il
territorio nazionale e, ovviamente, si espande sul Mediterraneo e sul Vicino
Oriente.
Il pensiero del giovane di Paolisi ha trovato spazio sulle prestigiose
pagine di settore e Lo Schiaffo 321 accoglie con stima la firma dello studioso
Caudino, affinché la nostra cinghia di trasmissione culturale possa essere sempre
più efficace.
Buona lettura.
Mediterraneo e Vicino Oriente
VIVERE E MORIRE A DAMASCO: IL VERO VOLTO DEL DISASTRO
SIRIANO
“Congratulazioni alla Siria, il cui popolo ha resistito ad
ogni forma di egemonia e di oppressione con tutti i mezzi disponibili: con la
sua ragione, con l’intelletto e con la coscienza patriottica. Ci sono coloro
che combattono con le armi in pugno, coloro che combattono raccontando la
verità e coloro che continuano a combattere con il loro grande cuore nonostante
tutte le minacce”.
Queste sono le parole del Presidente Bashar al-Assad,
pronunciate nel discorso alla cerimonia di insediamento per il suo terzo
mandato presidenziale, conquistato con l’ 88,7% dei suffragi espressi, circa il
65% dell’elettorato.
Un vero e proprio plebiscito: mai e poi mai il timido
oculista di Damasco avrebbe immaginato di ritrovarsi in una tale situazione.
Certamente il Paese dovette affrontare una prima delicatissima fase – dopo
l’indipendenza del 1946 – caratterizzata da una lunga serie di colpi di stato,
che terminarono con l’arrivo di suo padre al potere, Ḥāfiẓ al-Asad (1970-2000)
e del suo partito Ba‘th (Rinascita), grazie al quale si pervenne a una certa
stabilità.
Il Ba’th fu fondato nel 1943 da Mišīl ‘Aflaq e Ṣalāḥ al-Dīn
al-Bīṭār, l’uno di religione ortodossa e l’altro sunnita, i quali nel corso dei
loro studi a Parigi vennero in contatto con teorie di carattere socialista che
poi applicarono al loro nascente movimento, caratterizzato appunto dalla
triade:
Unità, Libertà, Socialismo.
Tale movimento aveva come base il rilancio
del patrimonio storico-culturale arabo, reputando l’Islam come elemento
sicuramente importante ma non esclusivo, e presentandosi come partito che
avrebbe potuto garantire una certo equilibrio in un Paese diviso e frammentato
sia socialmente che culturalmente. Parliamo di una nazione multiconfessionale,
nella quale il Governo e l’Assemblea Nazionale sono composti da tutte le
rappresentanze etniche e religiose del popolo siriano.
Tornando ai nostri giorni, si può senza alcun dubbio
affermare che il marzo 2011 ha rappresentato un punto di non ritorno per la
Siria. Da quelle proteste di piazza che scossero il Paese per chiedere riforme
si avviò una spirale di morte, distruzione, infiltrazione di mercenari e
servizi segreti stranieri che stanno tuttora mettendo a dura prova il governo
in carica. D’altronde, come diceva lo scrittore e giornalista Chuck Palahniuk:
“Non sai mai quanto sei forte, finché essere forte è l’unica scelta che hai”.
Probabilmente era scritto nel destino di Bashar al-Asad che doveva sbarazzarsi
di quell’aria riservata ed apparentemente mite per divenire il condottiero
capace di guidare l’intero popolo siriano in questa tragica tempesta scatenata
da potenze straniere ostili.
Laureatosi in medicina a Damasco nel 1992, Bashar al-Asad si
trasferì a Londra per continuare la sua formazione post laurea nel campo
oftalmologico. Né la vita politica né tanto meno quella militare erano ritenute
confacenti alla sua persona: ma il destino, com’è noto, spesso e volentieri
riserva tutt’altro.
Nel 1994, infatti, in un tragico incidente stradale muore
il fratello maggiore Basil, l’erede designato alla successione. A questo punto
il giovane Bashar viene richiamato in patria e indirizzato direttamente
all’Accademia militare, in quanto destinato a essere investito di quel ruolo
che sarebbe spettato al povero Basil.
Quando nel 2000 muore il padre, Ḥāfiẓ al-Asad, l’attuale
premier siriano ha circa 34 anni. Nei primi difficili anni di governo dovette
far fronte al pericolo di una possibile spaccatura nel Paese e cercare in
qualche modo di liberarsi del vecchio sistema autoritario che aveva ancora una
certo potere, imboccando una tortuosa strada verso un processo di
democratizzazione cominciato con alcune riforme economiche.
La situazione in Siria ancora adesso però resta gravissima e
le dichiarazioni del Nunzio apostolico a Damasco Mons. Mario Zenari costituiscono
un’ulteriore conferma: "La popolazione civile ormai non ne può più, la
situazione è in progressivo deterioramento, a cominciare dalla mancanza di
lavoro, dalle fabbriche distrutte, dalle case in rovina, la mancanza di scuole…
Quella che un tempo era la classe media, ora è in povertà e i poveri di un
tempo, oggi sono in miseria".
Le tristi immagini di persone brutalmente crocifisse da
uomini del gruppo takfirista dell’ISIS, che negli ultimi tempi sono provenute
dalla provincia siriana di Raqqa, sono il simbolo della tragica guerra civile
vissuta da circa tre anni da un intero popolo. Il conflitto, in cui l’ESL
(Esercito Siriano Libero) e una serie indistinta di gruppi takfiristi (tra i
quali spiccano il Fronte Al-Nusra, il Fronte Islamico e lo stesso ISIS)
combatte l’esercito regolare siriano, ha provocato oltre 140.000 morti e circa
2 milioni e mezzo di sfollati, traducendosi in una vera e propria catastrofe
umanitaria.
Traffico d’armi, “aiuti” di ogni genere provenienti da Paesi
stranieri vicini e lontani, distruzione, esecuzioni sommarie: storia
dell’inferno siriano. I Governi occidentali di Stati Uniti, Francia, Gran
Bretagna, Germania e Israele con il sostegno della Turchia e delle monarchie
wahhabite dell’Arabia Saudita e del Qatar appoggiano la fazione dei cosiddetti
“ribelli” contro il governo di Assad, il quale è a sua volta sostenuto da
Russia, Cina, Iran e dal gruppo libanese Hezbollah.
Per capire la complessità dell’odierno mondo arabo bisogna
in realtà tornare un po’ indietro, precisamente negli anni appena successivi
alla Prima Guerra Mondiale. Caduto l’Impero ottomano, alleato di Germania e
Austria-Ungheria nel primo conflitto bellico, furono Francia e Inghilterra a
porre le basi per la costruzione della realtà geopolitica del Vicino Oriente,anche
allo scopo di controllarne le ingenti risorse di petrolio e di gas naturale.
Con l’accordo Sykes-Picot, difatti, le due suddette potenze europee si
suddivisero le spoglie dell’Impero Ottomano.
La Siria e l’Irak, sulla base delle concessioni accordate
dalla Società delle Nazioni, furono affidati rispettivamente alla Francia e
all’Inghilterra. L’accordo Sykes-Picot ha realizzato i presupposti per la
futura instabilità dell’area, con la creazione di 19 Stati caratterizzati da
differenze etniche, culturali e religiose che hanno comportano notevoli
problemi di convivenza. A ciò si aggiunga la famigerata “Dichiarazione
Balfour”.
La Siria, com’è noto, ha importanti giacimenti di gas nelle
sue acque territoriali e questi, insieme alla sua collocazione geografica, la
rendono uno snodo fondamentale per il trasporto di idrocarburi fino ai mercati
europei. La guerra civile e le successive sanzioni che sono state accordate al
Paese nel corso di questi ultimi anni hanno non solo bloccato le esportazioni
siriane di greggio in Europa, ma anche le importazioni dei prodotti
petroliferi, obbligando in tal modo il governo siriano a rivolgersi a Paesi
come il Venezuela, l’Iran e la Russia. Indubbiamente la politica energetica è
stata all’ordine del giorno del governo di Assad, in particolare una forte
attenzione è stata garantita al settore del gas: non solo sfruttamento di tale
risorsa, ma anche piani infrastrutturali capaci di garantire, oltre
all’approvvigionamento anche un ruolo strategico di transito per i produttori
dell’area e per il mercato finale del vecchio continente.
Una politica – in poche parole – quella che nel 2009 lo
stesso premier siriano definì “La strategia dei quattro mari”, cioè un piano
per posizionare Damasco come centro vitale per il transito e commercio di
carattere energetico, più la previsione di una sostanziosa parte di
investimenti nella realizzazione di gasdotti tra il Mar Caspio, Golfo Persico,
Mar Nero e Mediterraneo. In una conferenza congiunta ad Ankara con il
presidente turco Abdullah Gul, Assad aveva dichiarato che tale piano strategico
era utile per integrare lo spazio economico tra Siria, Iran, Iraq e Turchia e
consacrare il suo paese come hub regionale di transito del petrolio e del gas,
grazie alla sua posizione tra l’Europa e le principali zone di produzione tra
il Golfo Persico e il Mar Caspio.
Progetto davvero ambizioso, ma che certamente avrebbe creato
non poche tensioni con gli altri “competitor” regionali.
Per qualcuno un tal tipo di politica voleva significare
spingersi un po’ troppo oltre certe ambizioni, e il governo Assad fin da subito
ha dovuto subire spiacevoli conseguenze: il bombardamento all’oleodotto
Kirbuk-Banias nel 2003 ne è stato una conferma. Il premier siriano condannò
pubblicamente la guerra degli americani in Iraq e come ritorsione vi fu il
bombardamento di tale conduttura che aveva servito per circa 50 anni i due
confinanti Paesi: l’Iraq e appunto la Siria.
Altra “spiacevole” conseguenza fu
il “Syria Accountability Act” che nel 2004 fu varato dal Congresso statunitense,
col quale furono previste una serie di sanzioni commerciali e finanziarie con
lo scopo di mettere in ginocchio il Paese. La costruzione inoltre
dell’oleodotto Kirkuk-Ceyhan ha avuto come fine “punitivo” quello di escludere
la Siria dai benefici derivanti dalle royalty, in quanto l’infrastruttura non
passa per il Paese.
A tutt’oggi questa è l’unica conduttura che trasporta il
greggio nel vecchio continente.
Le domande adesso che potremmo porci sono queste: perché?
A
chi giova?
Tentando di fare una più attenta analisi della situazione,
subito balza all’occhio un particolare di non poco conto. La produzione
petrolifera della Siria è gestita dalle sue compagnie nazionali: la Syrian
Petroleum Company e la Syrian Gas Company, con piccole quote di minoranza per
gli stranieri.
Tutto questo ovviamente tenendo bene in mente le importanti
riserve di gas, soprattutto nelle sue acque territoriali, e la posizione di
transito strategica, come detto poco prima.
Ricerche recenti hanno infatti confermato che le risorse di
gas nel mediterraneo sono ingenti e alla Siria tocca una bella fetta.
Rovesciare Assad quindi vuol significare poter mettere le mani su un “tesoro”
che fino ad oggi è rimasto in gran parte inesplorato.
Se c’è inoltre uno stato che guarda con un occhio malevolo
il tutto è il Katar, concorrente regionale per il gas con una riserva che è
ritenuta la terza su scala mondiale (Qatar Morth Dome con 900 miliardi di metri
cubi).
Tra l’altro, anche il trasporto del gas in Europa è una priorità
per i produttori mediorientali, ed in questo vi sono progetti contrapposti in
merito. Qualche anno fa la Turchia cercò di negoziare invano con i sauditi la
costruzione di un gasdotto che sarebbe passato proprio sul territorio di
quest’ultimi per poi agganciarsi al Nabucco (infrastruttura di marca
statunitense che ha lo scopo di portare il gas centroasiatico verso il
Mediterraneo e poi, da lì, in tutta Europa, col fine di sganciare il vecchio
continente dall’orbita russa e dai suoi programmi energetici antagonisti e cioè
il Southstream e il Northstream).
Il rifiuto dei sauditi a tale progetto ha complicato i
piani, e allora si sarebbe dovuto optare per una soluzione di ripiego che
avrebbe previsto il passaggio del gasdotto non solo in Giordania e Irak, ma
anche in Siria, fino alla Turchia snodo finale delle forniture qatariote. Ecco
che Turchia e Qatar, l’uno perchè aveva già accordi di fornitura con alcuni
Stati europei, l’altro con la speranza di incrementare le proprie forniture,
hanno avvertito la necessità di abbattere un “ostacolo” che sbarrava loro la
strada per il compimento finale di tale progetto: la Siria di Assad.
Subito
pronta allora la propaganda occidentalista contro il giovane medico di Damasco,
additato come sanguinario dittatore e grave pericolo per l’ordine
internazionale. Campagne denigratorie, finanziamenti a ribelli anti-regime
(Isis o Daesh) tutto per cercare di rovesciare il governo in carica siriano.
Certamente, la storia ce lo ricorda, il possesso di grandi
quantità di risorse di gas, come nel caso della Siria, al di là di ogni
valutazione indubbiamente positiva, costituisce non poche volte una vera e
propria dannazione.
La zarina Caterina II affermava che proprio cominciando
dalla Siria si può “possedere la chiave di casa Russia”: l’allusione è anche
all’opportunità di agganciarsi alla famosa via della seta della Cina.
Assad,
infatti, ben comprendendo il tutto, si era affrettato a concludere accordi per
il trasporto del gas iraniano verso il Mediterraneo in modo da mettere fuori gioco
i competitor del progetto Nabucco.
Il mosaico è realmente complesso: interessi economici,
accaparramento di fonti energetiche, questioni religiose. Ogni tassello a sua
volta è dotato di un’ulteriore complessità di valutazione.
Il mondo arabo rappresenta evidentemente un fondamentale
campo di battaglia per tutti i motivi poc’anzi enunciati. Poco prona al
richiamo della logica mondialista e globalista, una tale realtà resiste ancora
imperterrita e ben salda nelle sue radici e nella sua cultura.
Le primavere arabe tra l’altro sarebbero servite appunto a
questo: cercare d’imporre regimi facilmente manovrabili dalle potenze
occidentali (USA in primis) e inoltre minare la convivenza pacifica tra le
diverse confessioni religiose: sciiti, sunniti e cristiani.
Paese a maggioranza sunnita, ma con un presidente alawita,
la Siria è reputata il centro del nazionalismo arabo non integralista. Gli
alleati regionali del regime sono: Iran, Iraq, Libano e Palestina, che possiamo
anche definire probabilmente come gli ultimi ostacoli da abbattere per la
creazione di un nuovo ordine mediorientale disegnato da Israele e USA che hanno
finanziato e utilizzato in tutti questi anni l’universo combattente wahhabita
per favorirne la realizzazione.
Non solo quindi risorse energetiche. Penetrare nel Vicino
Oriente vuol significare contrastare e in qualche modo provare ad arginare
l’avanzata russa e cinese nello scacchiere internazionale.
Il 2014 è stato un anno segnato da eventi che avranno
probabilmente importanti ripercussioni negli equilibri geopolitici mondiali: la
crisi ucraina, il fenomeno ISIS, il “santo Graal” energetico cino-russo, le
sanzioni al governo di Mosca e l’attacco speculativo al rublo.
Non solo questo però. E’ di questi giorni infatti la notizia
che lo scorso 4 dicembre la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti con 410
voti a favore e 10 contrari ha approvato una risoluzione che sostanzialmente
concede al Presidente, in caso di necessità, senza alcuna autorizzazione da
parte dell’organo legislativo, di usare ogni mezzo possibile, dalle sanzioni
agli atti di guerra: è chiaro il riferimento in questo caso alla Russia.
La
stessa legge prevede inoltre un’ulteriore stanziamento di circa 350 milioni di
dollari nella fornitura di armamenti all’esercito ucraino con la “speranza” da
parte di Obama di poter fermare l’avanzata russa nell’Est nel Paese. Mossa quanto mai rischiosa e pericolosissima quella degli
USA.
Mosca nel frattempo, colpita dall’attacco speculativo al
Rublo, è sempre più spinta tra le braccia dei cinesi, i quali tra l’altro hanno
annunciato da poco l’inizio della convertibilità dello Yuan, seguita da un
processo di de-dollarizzazione. Da fine mese infatti gli scambi fra Cina,
Malesia, Russia e Nuova Zelanda potranno effettuarsi con le valute locali, senza
alcun bisogno del dollaro.
Si prevede un 2015 carico di nuove tensioni e colpi di
scena. Non resta semplicemente che augurare che possa essere un anno
all’insegna del buon senso e del dialogo costruttivo.
Ai posteri poi l’ardua
sentenza.
Scritto da Giuseppe Perrotta*
*Giuseppe Perrotta è laureato in Giurisprudenza presso
l’Università del Sannio
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