Intervento su Orticalab del 3 aprile 2014
IL CAMERATA D'ERCOLE, LA COERENZA DI FINI E DI CHI LO HA CONTESTATO
In Irpinia il 31 Marzo 2014 passerà alla storia come il fatidico punto di non ritorno per una Comunità umana che ha visto la luce negli anni Novanta e che di fatto ha chiuso un ciclo ventennale, paradossalmente grazie alla presenza di Gianfranco Fini, il delfino di Giorgio Almirante, che per anni ha riempito le piazze.
La lettera del Camerata Giovanni D’Ercole è il preciso commento di chi ha vissuto in prima linea tutto un percorso all’interno di un mondo che ha creato una nuova classe politica a “destra” su tutto il territorio Irpino. La nostra militanza, lunga un ventennio, ci ha permesso di avere un’idea chiara nel vasto e frastagliato universo caratterizzato da una parola, che per molti è un’offesa per altri un vanto: fascista.
Gianfranco Fini è coerente.
Sembra quasi banale e assurdo, ma la prima mistificazione da svelare è proprio il concetto di destra sinonimo di fascismo. Gianfranco Fini ha definito “male assoluto” il Fascismo e ha chiuso moralmente le porte in faccia ai milioni di Italiani, tra cui la calda Federazione Irpina, erroneamente convinti che destra fosse il sinonimo dell’ idea mussoliniana. Da uomo di destra ha fatto la scelta giusta. Destino beffardo, un po’ come la scelta di avere una sede dei “topi neri” in Via Matteotti ad Avellino.
Gianfranco Fini ha portato a termine la linea di Giorgio Almirante, un percorso di defascistizzazione dei fascisti. Ossia, creare una destra antifascista dalle ceneri delle storia e incanalarla sull’assassinio dell’ideologia fascista, che di destra non è mai stata.
farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio».
Parole chiare finite, casualmente, nel dimenticatoio politico. Il contesto dove nacque il Movimento Sociale Italiano è oltremodo chiaro, a distanza di tempo. Mussolini morto, il Regime crollato, l’Italia rasa al suolo a suon di bombe. Avellino venne decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Civile, concessa dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi l’8 luglio del 1959 con la
seguente motivazione: “con animo fierissimo sopportò senza mai piegare numerosi bombardamenti aerei che causavano la perdita della maggior parte del suo patrimonio edilizio e la morte di 3000 cittadini. La popolazione tutta si prodigò con generosità ed amore encomiabile per la cura dei feriti, degli orfani, dei senza tetto. Settembre 1943”.
Il Movimento Sociale Italiano nacque il 26 dicembre del 1946 dai reduci della Repubblica Sociale Italiana, tra cui Giorgio Almirante, il padre politico di Fini. Nel 1977 Gianfranco venne nominato da Almirante a capo del Fronte della Gioventù, in barba alla scelta della base che votò Marco Tarchi, un
intellettuale fiorentino che incarnava la voglia di libertà interna. Fini ha iniziato la sua carriera politica in questo modo. Ha guidato i fascisti in democrazia, gli stessi che hanno resistito per oltre 40 anni agli attacchi di un intero sistema. Anche qui l’Irpinia gioca da protagonista. Il famoso arco
costituzionale creato da l’onorevole Ciriaco De Mita, all’epoca cervello della Democrazia di base, ossia la sinistra diccì, ha creato uno stato mentale permanente che ha via via portato i neo fascisti, in doppio petto, a cancellare l’ideologia che li avrebbe dovuti caratterizzare per essere legittimati.
Emblematico il motto Missino “non rinnegare non restaurare”, che dice tutto su un processo forse unico nella storia della politica. Trasformare un’ideologia che era la terza via tra liberalismo e socialismo in una destra presidenzialista, liberale, sociale, moderata e radicale ha dell’incredibile.
Alcuni eredi del Msi, trasformati in Alleanza Nazionale, scelsero addirittura una sigla che non avrebbe un significato logico, dal punto di vista politico. Destra Sociale. Un tentativo maldestro di giustizia ideologica, fallito nel peggiore dei modi grazie ai vari Colonnelli di Gianfranco.
I vertici di quel partito, colpevoli, costretti e consapevoli della scelta, però, tralasciano un particolare. Profondo e sporco di sangue, quello della base militante.
Gli anni Settanta hanno insanguinato le piazze di tutta Italia. Anni di piombo, strategia della tensione, scontri di piazza. Errori da non ripetere mai più. Tra tutti la tragedia di un irpino, Francesco Cecchin.
Il giovane militante di Nusco perse la vita il 16 giugno del 1979 a Roma, a diciotto anni dopo diciannove giorni di coma. Lanciato nel vuoto da una cruda logica antifascista, legittimata anche dall’arco costituzionale. Ancora oggi non c’è giustizia su quel caso. Francesco è morto perché fascista, non di destra. Non ha avuto il tempo di sorbirsi il Congresso di Fiuggi del 1995 e di
vivere la svolta moderata, partorita da Tatarella e affini. Per chi è morto, allora?
Di Berlusconi, Casini, Bossi, Mariotto Segni, la Santanchè e tutto il teatrino degli amici di Fini a noi, ultimi romantici, non ce ne frega minimamente. E’ un discorso fin troppo superficiale per passare inosservato. Il 31 marzo c’eravamo anche noi in quel presidio, organizzato dal Movimento Azione Sociale e dai Fratelli d’Italia. Non entriamo in merito al tipo di protesta, che poteva essere più efficace di una semplice vetrina, con addirittura le bandiere di partito post An, come attacca Giovanni.
Questa è coerenza, come quella di Fini. Alleanza Nazionale era un contenitore di correnti che non avevano nulla da spartire l’una con l’altra. In quel fazzoletto di città si è incarnato uno splendido momento emotivo, misero nei contenuti, ma essenziale. L’emotività è una cosa, la fredda e lucida analisi politica un’altra. Il funerale della Destra Irpina si è svolto grazie a Fini e a quei “4 gatti neri”, che hanno sventolato la propria rabbia pacifica, ognuno con la sua motivazione.
Per non disperdere nel nulla questa enorme comunità umana, bisogna analizzare con lungimiranza politica la situazione e cercare di studiare l’ideologia stessa e capirne l’identità, attualizzandola, nel rispetto delle idee altrui. Aggiornare un’ideologia non è un reato, se si rispettano tutti i canoni della
democrazia partecipativa e si punta al miglioramento della società.
L’obiettivo c’è e non è partitico. C’è la necessità di continuare ad onorare la memoria di Francesco e degli oltre 3mila irpini morti sotto le bombe dei Liberatori. Superiamo gli steccati ideologici e dialoghiamo, sia all’interno che all’esterno. La storia è utile quando non intralcia il presente e mina il
futuro. Combattiamo l’odio e la violenza politica e cerchiamo di unire le forze per il futuro dei nostri figli e per non infangare quella dei nostri nonni.
Ringrazio il Direttore di Orticalab per la professionalità.
tratto da
http://www.orticalab.it/Il-Camerata-D-Ercole-la-coerenza
http://www.orticalab.it/L-incoerenza-di-Fini-e-quella-di
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