In via Acca Larentia c'è uno stanzone chiuso da una saracinesca grigia che sprofonda tra i palazzoni ancor più grigi del quartiere tuscolano. Un luogo anonimo, una via non certo degna del suo nome che evoca i leggendari natali di Roma. Negli anni '70 in quello stanzone c'era la sezione del MSI, una sezione tanto attiva da animare quel quartiere dai colori spenti. Il 7 gennaio del 1978 c’è una riunione del Fronte della Gioventù.
Si programmano attacchinaggi in zone diverse di Roma, così alcuni giovani decidono di andare. Nella sede restano Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e altri tre. Decidono di chiudere la sede e anche loro andranno a raggiungere i camerati a Piazza Risorgimento. Sono le sei di un pomeriggio che l'inverno impietoso ha già coperto di buio. Franco apre la porta blindata e la luce che trafila dalla sezione annuncia l'uscita dei giovani militanti. Ha 19 anni, è figlio di un impiegato e studia medicina, e muore raggiunto da due colpi alla testa, esplosi prima che se ne potesse accorgere, appena uscito dal locale.
Il corpo si accascia lasciando la sua scia di sangue ancora caldo sulla gelida porta della sezione, dietro di lui Francesco avrà coscienza della sua fine, tentando invano di fuggire verso la fine della via, dove c’è una scalinata, ma una raffica di mitra lo travolge colpendolo al torace. Cade anche lui. Francesco aveva solo 18 anni, era figlio di un operaio.
Gli altri tre giovani riescono a barricarsi nella sezione, benché uno di loro viene ferito ad un braccio. Sentono la furia omicida appena fuori dal locale, che come è venuta vigliaccamente se ne va con il favore delle tenebre. I soccorsi tardano ad arrivare, Francesco spegnerà i suoi sensi tra le braccia dei suoi Camerati, la sua vita invece si spegnerà poco prima dell'arrivo in sala operatoria.
Una mitraglietta Skorpion ha messo fine alle loro esistenze, ma la tragedia, che in futuro segnerà i cuori e il destino di molte vite, non ha ancora visto il suo ultimo e doloroso atto. Sul luogo giungono i militanti da tutta Roma, increduli e infusi di rabbia per l'ennesimo vigliacco atto. Guardano pieni di dolore il sangue dei loro camerati sparso in quell’ormai non più anonima via. Non curanti del dolore, i giornalisti della Rai forzano la porta della sezione e cercano di rubare le emozioni dei militanti missini.
Un operatore della televisione butta con sprezzo un mozzicone di sigaretta sulla pozza di sangue di Francesco. Come se gettata su benzina, quella sigaretta dà la scintilla che infiamma i giovani, seguono così disordini ed il capitano dei carabinieri Edoardo Sivori spara contro il gruppo di ragazzi ad altezza d'uomo, ad altezza d'uomo! Un altro innocente Camerata, Stefano Recchioni, di appena 19 anni avrà spenta la propria vita con una pallottola in testa. Cambia la regia, ma non la sprezzante brutalità.
La mano che ha ucciso Stefano è nota, il duplice omicidio di Franco e Francesco verrà rivendicato dai Nuclei Armati Contropotere Territoriale e le confessioni di una pentita, Livia Todini, hanno portato all'arresto di un infermiere che, il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici, si toglie la vita in cella. Altri tre arrestati: Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis vengono assolti in primo grado "per insufficienza di prove", come pure Daniela Dolce, rimasta latitante.
Come tanti, troppi, che hanno bagnato con il sangue dei ragazzi di destra, una politica a colpi di P38 rimasta impunita, quando uccidere un fascista non era reato. I due giovani missini sono stati assassinati con una mitraglietta “Skorpion” la stessa che dieci anni dopo nel 1988 si scoprirà di aver firmato altri tre omicidi, marchiati dalle Brigate Rosse: quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Raffili. Prima di Acca Larentia la gioventù alternativa aveva mostrato la volontà di aprirsi all'esterno, sfidando a viso aperto la fracida partitocrazia, rispondendo con la politica alle intimidazioni armate dei "compagni" e all'impunità della giustizia e dei suoi alfieri scudocrociati.
Volontà stroncata da quel massacro, che regalerà giovani corpi e giovani menti alla lotta armata, vista come necessaria. Il punto di non ritorno, oltrepassato il quale la militanza non accettava più di essere carne da macello. La strategia del terrore ha trovato il tacito consenso, e forse anche la regia, nelle istituzioni, nei garanti della nostra patetica democrazia.
Quando ancora oggi è facile tenere in piedi il castello di menzogne su Ciavardini, ma è impossibile strappare al sole carioca Achille Lollo (uno dei responsabili materiali del rogo di Primavalle), Acca Larentia è una ferita lungi dal rimarginarsi. A Roma la volontà di intitolare una via alle vittime di quel massacro si è dovuta scontrare contro l'ostruzionismo comunista il cui unico gesto in via Acca Larenzia è stato quello di dare fuoco alla sezione, qualche anno fa...
FRANCO, FRANCESCO, STEFANO...
NEL VOSTRO RICORDO
LA NOSTRA LOTTA!
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