Campo Hobbit trent' anni dopo Quando eravamo topi di fogna
Un topo di fogna che esce da un tombino: sono passati 30 anni dal 1977 e la destra ricorda così «la sua meglio gioventù», quella dei campi Hobbit, dei primi raduni giovanili, inventati da Pino Rauti, che facevano il verso alla sinistra, che tentavano di sfidarla culturalmente, che cercavano di entrare in sintonia con la società, sostituendo ai santini del Duce gli eroi della Fantasy di Tolkien, al fez di Salò la croce celtica. I fascisti-ratti, i fascisti-carogne che escono alla luce e si guardano intorno. Un' immagine uscita allora sulla pubblicistica del «nemico» e adottata oggi, con una buona dose di ironia, dagli stessi protagonisti di quell' esperienza (Il topone nero è la scelta di copertina del mensile Area, vicino alla destra sociale).
11 giugno 1977: a Montesarchio, Benevento, i camerati si ritrovano per la prima volta per una due giorni di musica alternativa e dibattiti sulla questione giovanile e femminile, sulla musica pop, sul teatro d' avanguardia. Una sorta di Parco Lambro di destra, una Woodstock, un po' inquietante, con le bandiere di Ordine nuovo e slogan come: «Né Marx né Coca Cola, né banche né Soviet».
Inseguendo la scia di quel passato, Benevento, giunta di centrosinistra, ospiterà questo sabato un raduno della memoria organizzato da un periodico locale, non senza il malumore dei locali gruppi anarchici. Ci saranno Rauti e tutti i duri e puri ancora in circolazione, da Roberto Fiore alla Mussolini, da Adriano Tilgher a Luca Romagnoli, molti dei quali, per la verità, poco hanno a che fare con la solarità fascista dei Campi Hobbit e molto invece con gli Anni di Piombo e con la speranza, attuale, di aprire un cantiere della destra estrema.
«Mi sembra un' appropriazione indebita del ricordo», commenta Gianni Alemanno. Lui sì ragazzo Hobbit per eccellenza. Storia di una generazione, di complicità, amicizie, amori, propiziati da quel clima di ribellismo, di iniziazione, di «mutazione antropologica», molto malvisto dal Msi di Almirante, poco conosciuto a sinistra perché non c'era comunicazione, se non quella fisica, di sangue, tra i due mondi. «Io e Isabella Rauti ci siamo conosciuti nel 1981 ad un campo Hobbit, il quarto, l' ultimo, forse il meno noto. Un Hobbit senza musica e senza festa. C'era stato il terremoto in Irpinia e ci trovammo tutti là con una colonna di soccorsi. Fu in quell' occasione che vidi lei per la prima volta. Era molto giovane, ci fidanzammo in seguito». In effetti la figlia di Pino Rauti aveva 18 anni: «Mi ricordo benissimo che apparve questo Alemanno da Roma. Di lui avevo sentito parlare molto. Lo vidi, ci parlammo, memorizzai il suo viso, poi io fui assalita da una febbre a 39 e me ne andai. L' amore venne dopo. Ricordare i campi Hobbit per me significa ricordare un pezzo di vita. Li ho fatti tutti, anche quello del 1977. Avevo 14 anni, ci andai con mia sorella Alessandra e per la prima volta dormimmo all' aria aperta, in una canadese a due posti. Il posto era bruttissimo, era un campo di calcio pieno di pietre, battuto da un sole cocente». Che cosa pensavate di fare? «Ci stavamo aprendo al mondo in anni terribili, cercavamo di esorcizzare il sangue, il lutto con la festa. Siamo noi che abbiamo imposto al Msi dei temi che oggi si definirebbero no global: la questione dell' indipendenza irlandese, la questione palestinese, il mercato senza regole, l' ambiente, addirittura il pacifismo di Gandhi, poi evocato nelle sezioni più blindate».
«Era la rottura con la cultura simbolica del partito - spiega Alemanno - l'affermarsi di un gramscismo di destra che prevedeva l' uso della metapolitica per conquistare la società civile». Ma c' era anche l'aspetto «ludico», con i loro gusti, i falò nella notte, la musica della Compagnia dell'Anello, i murales sulle lamiere, le croci celtiche umane. L'altra faccia dell' Italia. 1977: un anno prima di Moro, di Acca Larenzia, tre anni prima della strage di Bologna.
«Io e Gianni ci siamo mossi in questa cornice». Una cornice tremenda, come ricorda Flavia Perina, ora direttore de «Il Secolo», anche lei una reduce Hobbit: «Abbiamo vissuto il nostro '77 danzando sull' orlo degli Anni di Piombo. Eravamo stupidi, mitizzavamo un' epica quotidiana nutrita di scontro fisico, prigione e lutti, mentre c' era solo il disastro di una guerriglia asimmetrica in cui soccombevano i ragazzi lasciati di guardia al bidone di quella stagione di follia». Il terzo Campo Hobbit, 16-20 luglio 1980, a Castelcamponeschi, borgo disabitato vicino a L' Aquila, è quello che è rimasto nel cuore politico di Alemanno che ritaglia per sé e il suo gruppo il ruolo di buono: «Hobbit III è l'apogeo, il punto di massima intensità ma è anche l' inizio della diaspora. Erano ormai evidenti le due anime, quella estremista della violenza, rappresentata da Terza Posizione, che venne lì a provocarci, e quella dei giovani legati all' esperienza di un '68 di destra, le radio libere, la musica, la grafica, la Fantasy di Tolkien, la voglia di superare la logica degli opposti estremismi».
E' il Campo Hobbit che segna l' abbandono di un intellettuale come Marco Tarchi, deciso a prendere la sua strada, sempre più lontana e critica, è il Campo Hobbit che produce la sorpresa più incredibile per quel mondo: «Finimmo sulla prima pagina de «il manifesto» - ricorda Alemanno - Si erano finalmente accorti di noi!». Roberto Fiore, Forza Nuova oggi, Terza Posizione allora, non ha struggimenti di alcun tipo: «Eravamo noi i veri rivoluzionari. Contestavamo il Pci a Roma mentre loro ascoltavano musica sul prato».
Scritto da Alessandra Longo
la Repubblica, 8 giugno 2007
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